domenica 28 settembre 2014

Pet teraphy: con empatia e senza pregiudizi

Lo psichiatra infantile Boris Levinson alle prese con un piccolo paziente affetto da autismo, scoprì che il bimbo al contatto col suo cane, si mostrava più spontaneo e disponibile all’interazione. Ne dedusse che l’animale fosse un mediatore utile a ristabilire i contatti sociali e lo usò in maniera sistematica nella relazione psicoterapeutica con i suoi piccoli pazienti ottenendo risultati soddisfacenti. L’animale, insomma, era diventato un buon facilitatore, il terzo elemento di una relazione terapeutica tripartita, dando luogo a comunicazioni e a rapporti ripetibili anche con le persone. Appariva chiaro che oltre ai farmaci e alle terapie tradizionali, il contatto umano e i rapporti sociali, non solo mediati attraverso le persone, ma anche grazie agli animali, miglioravano e aiutavano la salute di chi è affetto da patologie fisiche e psichiche.
Erano gli anni ‘60 e nasceva così la pet therapy, in italiano zooterapia, una terapia dolce per curare diverse patologie fisiche e psichiche non solo infantili, basata sull’interazione delle persone con certi animali con l’obiettivo di migliorarne il comportamento, le capacità fisiche e cognitive, psicosociali ed emotive. A livello internazionale, i benefici derivanti dall’attuazione di programmi di cura assistiti con animali sono stati accertati scientificamente, al punto che negli Stati Uniti la pet therapy è stata riconosciuta dal Ministero della Salute come “terapia alternativa” al pari dell’omeopatia e dell’agopuntura. Pienamente operativi oltreoceano da più di un trentennio, da alcuni anni i programmi assistiti con gli animali hanno fatto il loro timido ingresso anche in Italia, dove sono stati riconosciuti a livello legislativo dal 2002 (definiti dalla Carta di Modena .pdf) e incominciano ad interessare il mondo accademico.
Oggi gli animali coinvolti nei programmi di pet-therapy sono normalmente animali domestici e più spesso si preferiscono cani e gatti, poi i criceti, conigli, e a seguire asini, capre, cavalli, e infine i delfini. Qualunque sia l’animale che il psicoterapeuta scelga per quella determinata situazione, la sua presenza normalmente aiuta a risvegliare l’interesse del paziente, catalizzando la sua attenzione proprio grazie all’instaurazione di relazioni affettive senza pregiudizi e canali di comunicazione privilegiati tra paziente e animale, stimolando così le sue energie positive e distogliendolo o rendendogli più accettabile il disagio di cui è portatore. Le applicazioni sono tante. La pet-therapy si è dimostrata molto utile nella riabilitazione di pazienti anziani, per esempio quelli ospiti di case di riposo. Si è osservato infatti che a periodi di convivenza con animali è corrisposto un generale aumento del buon umore, una maggiore reattività e socievolezza, contatti più facili con i terapisti e un miglioramento nello stato generale di benessere per coloro che spesso, soffocati dalla solitudine e dalla mancanza di affetti, si chiudono in se stessi rifiutando rapporti interpersonali.
Ma un campo che ha ancora grandi margini di sviluppo è l’applicazione della terapia ad alcune forme di disabilità. In terapie specifiche rivolte ai disabili neuromotori, gli animali aiutano il paziente a rilassare i muscoli, consentendo una maggiore apertura relazionale con l’operatore, offrono un conforto tattile a persone che non hanno altri sensi abili, sanno relazionarsi senza pregiudizio alcuno e sanno mettere in atto atteggiamenti adeguati a seconda del paziente con il quale si trovano a interagire. Il contatto fisico con l’animale, tramite carezze ed abbracci, suscita nel paziente emozioni intense e nuove. Anche attraverso il gioco è possibile stabilire un contatto, una partecipazione: lanciare la pallina al cane, spazzolarlo, portarlo al guinzaglio, o semplicemente annusarlo e sentirlo vicino sono tutti gesti che coinvolgono e permettono l’apertura di nuove vie di comunicazione e di interesse. In caso di gravi disabilità motorie l’ippoterapia o terapia equestre è una delle più apprezzate perché l’animale riesce spesso a sollecitare la partecipazione di tutto l’organismo. Ma anche per i bambini affetti da autismo e sindrome di Down, il contatto con un animale ha reso possibile soddisfare certi bisogni come mancanza d'affetto, insicurezza e difficoltà nelle relazioni interpersonali, oltre a permettere il recupero alcune abilità che sembravano perse.
In molti altri casi gli animali si sono dimostrati capaci di alleviare disturbi psichici e la depressione, tipica soprattutto nei bambini che a causa di una malattia si trovano ricoverati per lunghi periodi in ospedale ed è stato possibile constatare, negli ospedali dove si pratica la pet-therapy, che i bimbi che sono stati a contatto con gli animali hanno superato con maggiore serenità la trafila degli esami e della degenza, riuscendo a riacquistare il sorriso e un po’ di tranquillità e stabilità psicologica, abbandonando quella serie di disturbi (enuresi nottura, disturbi del sonno, disturbi dell'appetito e del comportamento) che si erano venuti a creare proprio a causa dello stress, della paura e della noia tipici dei periodi di degenza. Da poco tempo, infine, la pet-therapy si sta sperimentando anche nelle scuole italiane ed è rivolta a quei bambini o adolescenti che hanno difficoltà ad integrarsi con gli altri e con l’ambiente circostante serenamente. Si può trattare di ragazzi con disturbi neuromotori, cognitivi e/o comportamentali o che semplicemente hanno difficoltà a socializzare con i coetanei. In questi casi gli amici a quattro zampe riescono ad attivare la loro curiosità, ma non solo, pare che risvegli la voglia di mettersi in gioco e di migliorarsi con ottimi effetti sulla qualità della vita e dell'apprendimento all'interno della scuola favorendo la socializzazione e i rapporti interpersonali con gli altri bambini normodotati.
Se il metodo riabilitativo della Pet Therapy, anche grazie alle sue indubbie potenzialità, ha incontrato negli ultimi anni una grande diffusione è importante rimanga uno strutturato modello di intervento e non una “moda”, dannosa tanto per gli utenti quanto per gli animali. Per evitare che questo accada è necessario venga applicata con una precisa preparazione da parte degli operatori e che non si dimentichi il fine: consentire alle persone affette da patologie di poter comunicare con il mondo esterno, ed in particolare con altre persone che non potranno mai essere sostituite dall’animale. Diceva Charles Darwin “La compassione e l’empatia per il più piccolo degli animali è una delle più nobili virtù che un uomo possa ricevere in dono”. Un dono che dovremmo fare nostro e applicare anche a qualsiasi essere umano, proprio come fanno gli animali. Ai loro occhi noi siamo semplicemente esseri umani senza alcuna differenza, ed è il caso di dire che, almeno in questo, possono essere dei veri e propri mediatori educativi, ricordandoci come le persone con disabilità siano importanti agenti di trasformazione di una società che troppo spesso dimentica e trascura il contatto umano, l’empatia e la solidarietà. La pet teraphy, insomma, sembra ricordarci quello che alcune persone hanno dimenticato…
Alessandro Graziadei

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