domenica 15 gennaio 2017

La conservazione "creativa" della fauna selvatica…

Il 2017 da poco inaugurato lascia intravedere alcune buone notizie sul fronte della conservazione, della tutela dei diritti degli animali selvatici e della biodiversità. Se è vero, infatti, che il sempre più diffuso commercio internazionale di fauna selvatica ha ridotto le popolazioni di molte specie nei loro habitat originari, è anche vero che la natura ha saputo autonomamente far fronte a questa appropriazione indebita da parte dell’uomo. Uno studio pubblicato su Ecology and the Environment da Luke Gibson dell’università di Hong Kong e Ding Li Yong dell’università nazionale dell’Australia ha certificato che “In alcuni casi, il rilascio intenzionale o accidentale di animali trafficati ha portato alla creazione di popolazioni al di  fuori del loro areale nativo, nei centri urbani o nelle wilderness adiacenti, spesso con conseguenze negative per l’ambiente”. Così non è raro scoprire che molte specie sono diventate invasive e dannose per le specie autoctone nel loro nuovo ambiente mentre contemporaneamente sono minacciate di estinzione nel loro areale originario.  Secondo i due ricercatori, tuttavia, la gestione delle nuove popolazioni rappresenta una soluzione per alcuni problemi di conservazione. Certo non si tratta della migliore soluzione possibile, ma di conservazioni "creative" che partendo da un problema reale e da arginare “potrebbero intanto contribuire ad arginare il continuo degrado della biodiversità a livello mondiale” perché le popolazioni secondarie di animali importati illegalmente e poi fuggiti dalla cattività “potrebbero essere utilizzate per ridurre o arrestare la pressione predatoria antropica sulle popolazioni autoctone di queste stesse specie arrestandone l’estinzione”.

Gibson ha spiega che si è reso conto del problema quando ha letto la notizia del sequestro di 23 cacatua cresta gialla (Cacatua sulphurea), ognuno dei quali era stato nascosto dai trafficanti dentro una bottiglia di plastica. La cosa che più ha sorpreso il ricercatore è stata che i cacatua cresta gialla sono una specie in via di estinzione nel loro areale nativo nell’Indonesia orientale per via del commercio di fauna selvatica, ma molti esemplari della stessa specie, in salute e completamene autosufficienti, volano indisturbati attorno agli uffici dell’università di Hong Kong, una delle città più inquinate e caotiche del mondo. Come è potuto accadere? Semplice! Alcune delle persone che detenevano illegalmente individui di questa specie a Hong Kong li hanno accidentalmente o intenzionalmente rilasciati e alla fine i cacatua cresta gialla hanno creato una nuova popolazione autosufficiente che si è stabilita sull’isola autonoma cinese e che il  governo di Hong Kong ha dichiarato illegale catturare, anche se si tratta di una specie non autoctona. Una situazione che non ha dell’incredibile visto che i due ricercatori hanno scoperto ben 49 casi di specie globalmente minacciate che hanno costituito popolazioni vitali lontane dal loro areale.

Ma la perdita di biodiversità animale è un problema globale così attuale che anche la Cina ha recentemente annunciato, entro la fine del 2017, la chiusura del commercio nazionale di avorio. La prima fase prevede che entro il 31 marzo alcuni negozi che commerciano avorio vengano chiusi e restituiscano le loro licenze, nei mesi successivi il divieto di commerciare avorio sarà esteso a tutta la Cina. Per Sze Ping, direttore del WWF Cina siamo davanti ad “una svolta storica che segna la fine del più grande mercato legale di avorio e un maggiore impegno della comunità internazionale nel combattere il bracconaggio degli elefanti africani”. Con buona probabilità la lenta chiusura del mercato d’avorio legale sarà fondamentale per dissuadere le persone in Cina e nel mondo ad acquistarlo e renderà più difficile ai trafficanti la vendita delle loro scorte illegali. Fino ad oggi, infatti, il fatto che nel mondo esista ancora un commercio legale di avorio (in alcuni anni e in alcuni paesi è stato ed è ancora possibile abbattere elefanti) ha spesso creato una drammatica copertura al commercio illegale responsabile della strage di elefanti nel mondo. Per Ping “Ora che  i più grandi mercati d’avorio nel mondo come la Cina, Hong Kong, Sudafrica e Usa stanno per chiudere, speriamo che anche altri Paesi possano seguire il loro esempio”.

Con la stessa velocità gli Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno da poche settimane annunciato il bando sul possesso privato di animali selvatici come tigri, leoni e ghepardi, una moda molto diffusa nel Paese tra le facoltose famiglie arabe. Questi animali hanno rappresentato a lungo uno status-symbol da sfoggiare non solo nelle abitazioni private (ad ottobre spopolava sul web un video in cui alcune tigri bianche e del Bengala facevano il bagno nelle acque antistanti una spiaggia di Dubai), mentre oggi i proprietari rischiano pesanti multe, se non il carcere in caso di violazioni. Più che per la tutela degli animali, il provvedimento delle autorità degli Emirati sembra la conseguenza del pericolo costituito dagli animali, che più volte sono stati sorpresi a girare liberi per le strade del Paese. Per gli esemplari in cattività consegnati alle autorità non è prevista, infatti, una destinazione sempre in linea con il benessere animale e oltre a centri di ricerca, di conservazione e di studio delle specie selvatiche gli animali selvatici potranno essere destinati a zoo e circhi.

Intanto mentre si fanno passi avanti nella conservazione della fauna selvatica lo studio “How Many Kinds of Birds Are There and Why Does It Matter?” da poco pubblicato su Plos One da un team di ricercatori statunitensi ipotizza che  le specie di uccelli viventi siano molte di più di quel che pensavamo fino ad oggi. Per i ricercatori “la morfologia e la genetica suggeriscono che le ricerche precedenti potrebbero avere sottovalutato la biodiversità degli uccelli almeno della metà, senza contare le migliaia di specie precedentemente non descritte che si nascondono in bella vista e che cominciano ad essere scoperte grazie al DNA”. Per Joel Cracraft uno degli autori dello studio e membro Dipartimento di ornitologia dell’American museum of natural history di New York, “Stiamo proponendo un cambiamento importante per il modo in cui contabilizziamo la diversità. Questi nuovi numeri ci dicono che non abbiamo contato e conservato le specie nei modi che dovevamo”. La nuova ricerca dimostra che la biodiversità delle specie di uccelli in tutto il mondo potrebbe raddoppiare con una “forchetta” che varia dalle 15.845 alle 20.470 specie. Un aspetto importante anche perché per Robert Zink, un altro degli autori dello studio della School of biological sciences dell’università del Nebraska: “Abbiamo socialmente deciso che l’obiettivo della conservazione è la specie. Quindi ne consegue che dobbiamo davvero essere chiari su ciò che è una specie, quante ce ne sono e dove si trovano”. Assieme ai nuovi diritti degli animali e forse tempo di prendere in considerazione anche una nuova tassonomia.

Alessandro Graziadei

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