sabato 14 gennaio 2017

Si muore di povertà, non di freddo!

Dei senzatetto si parla solo quando muoiono di freddo e in queste settimane, quindi, se ne è parlato tanto. Ma queste persone, che la vita ha spesso rovesciato in strada, muoiono veramente solo di freddo? Per Cristina Avonto, presidente di Fio.PSD, la Federazione italiana che da 30’anni riunisce gli organismi che si occupano di persone senza dimora “Si parla delle persone senza dimora solo quando muoiono per il freddo, ma se si lavorasse in una logica di programmazione, durante tutto l’anno, quando arriva l’inverno non si sarebbe in questa situazione”. L’impressione che ho ascoltando le sue parole è che oggi in Italia si muore ancora di povertà e non tanto di freddo e che “Interventi strutturali durante l’anno, promozionali all’uscita dall’homelessness” dovrebbero rappresentare un antidoto a questo processo di esclusione sociale . “Adesso diamo il tè caldo e le coperte e si fa tutto quello che è possibile per aiutare chi è in strada. Ma non si può aspettare il freddo per intervenire”, ha spiegato l’Avonto la scorsa settimana nel pieno dell’emergenza metereologica che ha colpito l’Italia, perché a fronte di una situazione climatica come quella attuale era più che prevedibile che ci “scappassero i morti”, soprattutto se ci si occupa di questi temi solo quando arriva l’emergenza freddo.

Oggi in ogni città ci sono Piani freddo che prevedono interventi salvavita per chi è in strada, “forse il Sud è meno preparato a queste temperature mentre al Nord un po’ dappertutto si aprono strutture con posti letto per accogliere chi è in strada”, ha precisato l’Avonto, ma ci sono in ogni caso molte persone che non accedono a questi servizi. “Sono i migranti senza permesso di soggiorno o che non si rivolgono alle strutture che non lo richiedono per entrare per paura di essere identificati e le persone particolarmente in difficoltà ovvero quelle che sono da più tempo in strada che, spesso, associano alla condizione di senza dimora problematiche legate alla salute mentale”, ha aggiunto l’Avonto. Il numero di queste ultime secondo le stime di Fio.PSD “è in aumento perché, spesso, i servizi non sono promozionali all’uscita dalla condizione di senza dimora, ma tendono a cronicizzare la situazione”.

Per questo motivo per la presidente della Fio.PSD “Servono servizi promozionali all’aggancio della persona in strada e all’uscita dalla condizione di senza dimora, servizi che siano realmente di tutela e di tregua rispetto alla strada, cosa che a volte i dormitori non sono”. Con le stesse risorse economiche messe in campo per l’emergenza, infatti, è possibile riconvertire i servizi e puntare sull’housing first, il passaggio cioè dalla strada alla casa, “un obiettivo alto, ma vanno bene anche le situazioni intermedie, come l’abitare sociale o altre forme che restituiscano la dignità e l’umanità alle persone”. Iniziative come quelle dell’associazione Piazza Grande, che a Bologna si occupa di senza dimora e gestisce l’Help Center della stazione e il servizio mobile, che ha inserito “operatori sanitari e psicologi nelle unità di strada”, rappresentano per la Avonto “un servizio importante per agganciare le persone in strada. L’erogazione di beni materiali, tè e coperte, non è sufficiente ma deve essere uno strumento per incontrare la persona. Da questo punto di vista, gli operatori devono avere la capacità di percepire la pericolosità della situazione e valutare le condizioni in cui si trova la persona per poi agganciarlo”.

Di fronte al picco del gelo anche il Progetto Arca ha potenziato a Milano i suoi servizi a disposizione delle persone senza fissa dimora. I centri di accoglienza sono in questi giorni aperti 24 ore su 24 e le unità di strada sono attive nel centro e nelle periferie di 7 giorni su 7. A questi servizi si aggiunge un’unità mobile di emergenza disponibile per le segnalazioni più urgenti. Accanto a questi servizi straordinari c’è poi il lavoro quotidiano messo in atto per l’accoglienza e l’assistenza con 4.500 pasti caldi distribuiti gratuitamente e 2.000 posti letto offerti ogni giorno a Milano, Roma, Torino, Napoli, Ragusa le città dove Progetto Arca è presente. Anche per Alberto Sinigallia presidente di Fondazione Progetto Arca, l’emergenza però deve lasciare il posto a politiche volte a "prevenire il processo di impoverimento, che in questi anni ha subito una fortissima accelerazione e sempre più spesso non coinvolge solo i singoli ma intere famiglie”. Offrire un letto e un pasto insomma non basta più: "il Terzo settore ha il compito di intervenire prima che sia troppo tardi per evitare l’emarginazione e favorire la più rapida integrazione sociale”.

Per questo a Milano il Progetto Arca, all’interno di una pianificazione che con la regia del Comune di Milano prevede circa 2.700 posti letto a disposizione dei senza dimora fino a metà marzo, ha da poco dato vita a un progetto pilota di “Case sociali” che ha messo a disposizione 5 appartamenti in grado di ospitare 20 persone, pensati per accogliere e restituire stabilità soprattutto alle famiglie in condizioni di gravi indigenza, ma anche ai singoli realmente motivati a risollevarsi e a intraprendere un’esperienza di autonomia abitativa. Un progetto innovativo di housing sociale che, attraverso formule di coabitazione e grazie al sostegno di uno staff educativo, affianca le persone in un reale percorso di reintegro sociale e lavorativo inspirato proprio ai principi dell’housing first promosso dalla Fio.PSD. Per Stefano Galliani, responsabile dell’area servizi per le persone senza dimora e famiglie in difficoltà di Progetto Arca “Non è proprio l'housing first. Ma è importante l’idea, il concetto di essere accolti non da un’istituzione come un dormitorio, ma in un appartamento”. Inutile dire che in poche settimane dall’avvio del piano freddo le strutture sono già piene e gli appartamenti e i servizi sono al massimo delle loro possibilità.

Anche a Roma dall’Elemosineria apostolica, per volontà di papa Francesco, sono stati aperti dormitori 24 ore su 24 e per i senza fissa dimora che non vogliono muoversi da dove stazionano di solito, sono stati distribuiti sacchi a pelo speciali, resistenti fino a 20 gradi sotto zero e auto. Le automobili per motivi di sicurezza non si possono lasciare accese la notte, ma come rifugio sono risultate fondamentali, come nel caso di una senzatetto di 85 anni che staziona in Piazza della Città Leonina, a ridosso delle mura vaticane, e che in queste notti ha dormito nella Fiat Qubo dell’elemosiniere pontificio. “Vista l’emergenza abbiamo messo a disposizione anche le nostre auto - ha spiegato monsignor Konrad Krajewski - per dormirci dentro la notte e anche se nei dormitori non ci sono più i posti letto, chiunque bussa viene accolto e può restare al caldo, ricevendo tè, caffè e da mangiare”. Attualmente collaborano con l’Elemosineria anche i soldati dell’Esercito, mentre per tutto l'anno c’è una squadra di Guardie Svizzere che ai senza dimora porta minestre calde, tramezzini e cioccolata calda. Non si tratta di housing first o di quel percorso di uscita dalla povertà inseguito dalla Fio.PSD, ma certo è anche questo un primo passo per non parlare di “freddo assassino”.

Alessandro Graziadei

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