sabato 18 marzo 2017

Quando il “BPA-free” non basta…

Buona parte delle plastiche che per anni abbiamo utilizzato per la conservazione alimentare contengono sostanze potenzialmente capaci di destabilizzare il sistema endocrino con conseguenze anche gravi sulla  nostra salute. Tra gli esempi più noti di interferenti endocrini trovati negli alimenti, infatti, oltre a pesticidi, diossine e i PCB, ci sono quelle sostanze che per contatto passano dalla materia plastica al cibo, come il Bisfenolo A o BPA, vietato nei biberon, ma ancora presente in molti oggetti e utensili da cucina in plastica, come il rivestimento interno di scatole, lattine e bottiglie di plastica.  Diverse associazioni ambientaliste e di consumatori hanno più volte lanciato l’allarme contro questa sostanza che diversi studi hanno dimostrato può interferire con ormoni steroidei come gli estrogeni provocando anomalie nei sistemi riproduttivi degli animali. E nelle persone?

Non è ancora chiaro se le persone esposte a dosi sufficientemente elevate di BPA possano subire conseguenze di questo tipo, ma il rischio esiste. Se nel 2015 un gruppo dei esperti dell’Autorità Europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha stabilito che il livello di esposizione al  BPA, attraverso la dieta o l’insieme delle diverse fonti (alimenti, polvere, cosmetici, giocattoli, prodotti plastici alimentari…) non rappresenta un rischio per la salute delle persone di tutte le fasce di età (compresi i neonati e le donne in gravidanza), un rapporto del 2013 dellAgenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare, sanitaria ambientale e del lavoro (Anses) ha invece confermato gli effetti negativi della sostanza sulle donne incinte, sottolineato il danno in termini di rischi potenziali nei confronti del feto. Per l’Anses di fatto “L’esposizione materna al Bpa può determinare una modifica nella struttura della ghiandola mammaria del feto e tale cambiamento potrebbe a sua volta favorire lo sviluppo di tumori”.

Se oggi alcuni Paesi hanno cominciato a vietare l’utilizzo del BPA e molti produttori hanno iniziato a sostituirlo con il fluorene-9-bisfenolo o BHPF, noi consumatori non possiamo ancora dirci al sicuro. Stando allo studio “Fluorene-9-bisphenol is anti-oestrogenic and may cause adverse pregnancy outcomes in mice”, uscito il 1 marzo scorso su Nature Communications e prodotto da un team di ricercatori cinesi e giapponesi  dell’università di Pechino e dell’università farmaceutica di Gifu, il BHPF risulta essere dannoso come il BPA interferendo anch'esso con i recettori degli estrogeni del corpo. “A differenza del BPA, lo fa senza stimolarli,  ma bloccando la loro normale attività" si legge nell’indagine. "Il  BHPF testato sulle femmine di topi ha portato gli animali ad avere uteri più piccoli e cuccioli di dimensioni ridotte e a un aumento di aborti rispetto a quelle non sottoposte alla sostanza”. L’analisi chimica di diversi contenitori di plastica di cibo e bevande, che di solito non rivelano informazioni dettagliate sulla loro composizione, se non la vistosa etichettatura “BPA-free”, ha rilevato che il BHPF era stato rilasciato in 23 dei 52 articoli testati, compresi tutti e tre i biberon analizzati.  

Insomma bisognerebbe cercare di utilizzare la plastica per il più breve tempo possibile a scopo alimentare evitando di mettere i contenitori di plastica nel microonde o in lavastoviglie, dato che con il tempo e il calore facilitano il rilascio di BPA e BHPF. Ma purtroppo non è solo attraverso questa più o meno consapevole via che entriamo in contatto con gli interferenti endocrini contenuti nella plastica. Secondo il rapporto “Primary microplastics in the oceans: a global evaluation of sources”, presentato lo scorso 22 febbraio dall’Iucn Global Marine and Polar Programmeminuscole particelle di plastica potrebbero contribuire fino al 30% alla “zuppa di plastica” che inquina gli oceani del mondo. Il rapporto che esamina solo le microplastiche primarie, cioè le plastiche quasi invisibili che entrano negli oceani sotto forma di piccole particelle rilasciate da prodotti domestici e industriali, dimostra che “Tra il 15 e il 31% dei circa 9,5 milioni di tonnellate di plastica sversate ogni anno negli oceani potrebbero essere microplastiche primarie”. La logica conseguenza è un accumulo di queste sostanze nella catena alimentare, con conseguenze potenzialmente negative per la salute umana, oltre che per l'ambiente.

Nonostante le criticità evidenziate da BPA e BHPF, per la EDC Free Europe, la coalizione di 70 organizzazioni della società civile per la messa al bando degli interferenti endocrini, le normative attualmente in discussione in Commissione europea sono tali che solo pochissime sostanze saranno bandite per legge dal commercio all'interno dell’Unione europea. “A differenza di altre sostanze tossiche, per le quali è sufficiente che ci sia la prova della loro tossicità in esami in vitro o sugli animali da laboratorio, la proposta della Commissione europea esige che per regolamentare un interferente endocrino esista una elevata evidenza di danni causati agli esseri umani dopo la loro esposizione a queste sostanze”. Una posizione contraria a quel principio di precauzione che sta alla base di tutta la normativa europea, ignorando le scoperte di quella comunità scientifica che più volte ha invitato a ridurre l’esposizione, in particolare alle donne incinte e ai bambini, a queste sostanze. 

Alessandro Graziadei

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