domenica 10 settembre 2017

“Ma che che che occasione, ma che affare…”

Ogni volta che un comunicato stampa arriva in redazione annunciando l’ennesima concessione alla deforestazione petrolifera, mineraria, energetica, agricola o dovuta all’allevamento, sempre in nome di un’economia votata ad uno sviluppo considerato potenzialmente illimitato, mi torna in mente Edoardo Bennato e la sua “Vendo Bagnoli”, con quel ritornello provocatorio: “Ma che che che occasione, ma che affare, vendo Bagnoli chi la vuol comprare, colline verdi mare blu, avanti chi offre di più…”.  Canticchiando questo motivo, alcune settimane fa, ho letto il comunicato del WWF brasiliano che annunciava come “Il 23 agosto il governo federale di centro-destra del Brasile ha pubblicato un decreto che abolisce la Reserva Nacional de Cobre e Associadas (Renca), un’area protetta che si estendeva su 47.000 Km, più grande della Danimarca e estesa quanto lo stato brasiliano di Espírito Santo, a cavallo degli Stati di Pará e  Amapá”. Guarda caso si tratta di una riserva forestale ricca di minerali preziosi quali oro, rame, titanio e acciaio, nonché di tante altre risorse naturali di cui abbonda l’Amazzonia

Come ha ben spiegato Lorenzo Di Muro su LimesIl tempismo non è casuale: la massima carica dello Stato a inizio agosto ha scongiurato l’apertura di un processo d’impeachment a suo carico - sono altre 20 le richieste nel cassetto della presidenza della Camera - anche grazie ai voti dei ruralistas; parlamentari espressione degli interessi latifondiari, vicini ai colleghi armamentistas ed evangelici, con i quali forma il vituperato fronte Bbb: Bibbia, bovini e pallottole, dall’acronimo portoghese Bíblia, Boi e Bala. Soprattutto, la misura di Temer, al centro del dibattito politico da mesi, fa parte di un più ampio pacchetto di riforme del settore minerario, tra cui la riduzione del 27% della foresta di Jamanxin nel Pará e la variazione del regime delle royalties, e più in generale di una privatizzazione dell’economia, in linea con l’impostazione neoliberista seguita all’estromissione di Dilma Rousseff”. 

La Renca era stata dichiarata area naturale protetta e pertanto esclusa dallo sfruttamento economico nel 1984, durante la dittatura militare, per limitare la penetrazione di capitali privati e stranieri in settori strategici dell’economia brasiliana. Per ora il decreto firmato da Temer sostiene che “L’abolizione di cui tratta l’art. 1º non esclude l’applicazione di norme legislative specifiche sulla protezione della vegetazione autoctona” e più in generale la legislazione brasiliana proibisce l’attività mineraria nelle Unidades de conservação classificate come a protezione integrale e quindi anche nelle 9 aree protette della Renca, dove l’attuale legislazione brasiliana permette attività estrattive solo nella Floresta Estadual do Paru. Ma c’è chi non si fida. Così, nonostante Temer abbia deciso di fare una parziale marcia indietro, apportando nelle scorse settimane delle modifiche al decreto per la salvaguardia dell'ambiente e delle comunità indigene, 8 senatori brasiliani hanno presentato un Projeto de Decreto Legislativo (PDC 160/2017) per cercare di bloccarlo e un giudice federale di Brasilia, Rolando Valcir Spanholo, ha accolto parzialmente una petizione popolare presentata nei giorni scorsi contro la misura governativa, sostenendo che "per una scelta così importante non basta un decreto, ma serve l'intervento del Congresso".

Del resto anche per il senatore  Randolfe Rodrigues di Rede Sustentabilidade  “l’estinzione della Renca mette a rischio riserve naturali di fondamentale importanza” come ha certificato anche il rapporto “Renca – situação legal dos direitos minerários da Reserva Nacional de Cobre” pubblicato a luglio dal WWF e che per il suo direttore esecutivo Maurício Voivodicrischia di produrre una serie di conflitti tra attività minerarie e conservazione della biodiversità e popoli indigeni”. Inoltre, sempre secondo il rapporto, la principale area della Renca che interessa l’industria mineraria coincide proprio con una zona di protezione integrale: la Reserva Biológica (Rebio) de Maicuru, dove, secondo i dati del Serviço Geológico Brasileiro (Cprm) ci sono forti indizi di presenza di rame e oro.

Cosa accadrà è presto per dirlo, ma intanto la volontà di aprire le aree protette a favore degli interessi privati sembra non riguardare solo il Brasile. Anche se non è ancora pubblica, il Segretario gli interni Usa, Ryan Zinke,  ha presentato alcune settimane fa alla Casa Bianca la sua raccomandazione finale sul futuro delle terre e delle acque pubbliche attualmente protette come "National Monuments". La raccomandazione ha fatto seguito a un ordine esecutivo del presidente Usa Donald Trump che ha avviato il riesame dei confini di queste aree, con il chiaro intento di svenderle all’industria mineraria e alle multinazionali. Il Washington Post ha scritto che sicuramente le revisioni guarderanno tre National Monument:  Bears Ears; Grand Staircase-Escalante; Cascade-Siskiyou, ma non si conosce il destino riservato ad altri 21 monumenti nazionali come Sequoia, Mojave Trails, Organ Mountains Desert Peaks per i quali sono previsti solo degli “aggiustamenti”.

Per ora il 24 agosto il Sierra Club, ha presentato, in base al Freedom of Information Act, una richiesta di poter accedere ai dettagli sulle raccomandazioni di Zinke sul futuro di queste terre pubbliche e protette.  Per il suo direttore esecutivo, Michael Brune, il rapporto è “profondamente inquietante”, e “l’unica informazione reale riportata nella relazione era la volontà di Zinke di spazzare via il sostegno straordinario per la salvaguardia delle protezioni nei National Monuments. Non saremo affrettati. La verità è nei dettagli, che sono quel che intendiamo conoscere con questa richiesta”. Tuttavia anche secondo Rhea Suh, la presidente del Natural Resources Defense Council (Nrdc), siamo di fronte a “Un attacco senza precedenti al nostro patrimonio naturale […] che non è di Trump. Appartiene a te e me, ai nostri figli e nipoti. Per generazioni queste aree protette hanno ospitato le nostre vacanze estive, gite in famiglia e le avventure dell’infanzia. Sono la casa della fauna selvatica e una parte fondamentale del patrimonio naturale americano. Sono un pezzo del tessuto nazionale che non lasceremo che Trump distrugga”. Per questo gli ambientalisti si mobilitano perché come canta Bennato questa “è un’asta, conto fino a tre!”. 

Alessandro Graziadei

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