sabato 24 marzo 2018

Il biocarburante che uccide (ancora) i diritti e l'ambiente

Solo un mese fa titolavamo “Il biocarburante che uccide(va) i diritti e l'ambiente” raccontandovi come lo scorso 17 gennaio il Parlamento Europeo avesse finalmente votato a larga maggioranza il temporaneo abbandono da parte dell’Unione Europea dell’uso di olio di palma come biocarburante. Non si trattava di una decisione immediatamente vincolante, visto che deve ancora essere approvata dai paesi membri dell’Unione, ma per l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) eravamo davanti ad una presa di posizione in difesa dei diritti umani, visto che quasi ovunque per l’APM “la produzione dell’olio di palma comporta la violazione dei diritti economici, sociali e culturali dei popoli indigeni, con intere comunità che vengono cacciate e marginalizzate”. Nell’ultimo decennio, infatti, il boom di olio di palma ha causato soprattutto in Indonesia e in Malesia, i due maggiori produttori mondiali, centinaia di cause legali tra popoli indigeni e industria agraria a causa dell’incessante opera di deforestazione e land grabbing da parte di multinazionali che hanno trasformato questa coltura in un una minaccia sociale e culturale, senza creare alcun benessere tra le popolazioni indigene di quelle aree.

Per l’ong Transport & Environment (T&E ) la decisone del Parlamento europeo di porre fine al sostegno del biodiesel a base di oli di palma, non solo era una decisone presa nel tardivo tentativo di tutelare i diritti dei popoli indigeni, ma prendeva finalmente atto delle conseguenze ambientali della produzione di oli vegetali, visto che “Questi carburanti hanno emissioni superiori al gasolio regolare e sono causa di deforestazione e distruzione delle torbiere”. Per Laura Buffet, responsabile dei combustibili puliti presso T&E, “Il voto parlamentare ha inviato un messaggio chiaro all'industria dei biocarburanti: lo sviluppo può provenire solo da combustibili avanzati  e sostenibili come i biocarburanti basati sui rifiuti. Questo compromesso reindirizza gli investimenti nei carburanti del futuro ed elimina il biodiesel da olio di palma, il biocarburante con il più alto rendimento”.  Purtroppo sono bastate poche settimane per capire che la scelta del 17 gennaio, che metteva finalmente la politica europea in materia di combustibili su una pista comune più equa, solidale e pulita, rischia adesso di non essere applicata a causa di interessi economici nazionali che potrebbero avere la meglio sulla tutela dei diritti umani e dell’ambiente.

“I governi di Francia e Gran Bretagna hanno criticato il divieto in vista di possibili esportazioni militari in Malesia e anche in Germania potrebbero presto arrivare critiche al divieto a causa della candidatura di Siemens per l'aggiudicazione della costruzione di una superstrada in Malesia” ha spiegato l’APM. Lo scorso 29 gennaio, infatti, durante una visita in Malesia, la Ministra della difesa francese Florence Parly ha annunciato che il suo paese voterà contro il temporaneo divieto deciso dal Parlamento Europeo sostenendo l'importanza dei questa materia prima per l’economia e la sociatà malese. Il discorso della Parly ha volutamente fatto eco alle dichiarazioni del ministro per le piantagioni e le risorse naturali malese Mah Siew, che all’indomani dell’annuncio della proposta di messa al bando dei biocombustibili avanzata dal Parlamento Europeo, aveva accusato l’Europa di “apartheid sistematica contro determinate piante” e “determinate economie”. Un’accusa che l’APM ha subito considerato assurda, proprio in virtù delle terribili conseguenze (rese possibili anche dalla corruzione e all’abuso di potere diffusi nel paese asiatico) che hanno le piantagioni di olio di palma in Malesia e che l’associazione denuncia dal 2012.

In realtà il vero motivo della posizione francese sembra essere il tentativo della Francia di vendere al paese asiatico 18 aerei da combattimento Rafale di produzione francese approfittando delle ambizioni militari malesi in continua espansione, tanto da interessare anche il Governo britannico, anch’esso intenzionato a vendere i propri aerei da caccia Typhoon a Kuala Lumpur. Il ministro della difesa britannico Gavin Williamson ha sostenuto che l'eventuale mancata commessa militare del valore di 5,6 miliardi di Euro “minaccerebbe 20.000 posti di lavoro nel settore dell'industria bellica”, asfaltando così le perplessità sulla sostenibilità ambientale dell’uso dell’olio di palma come biocarburante sollevate dal collega Michael Gove, ministro dell’ambiente britannico. Ma i nuovi ostacoli alla messa in atto del divieto temporaneo all'uso di olio di palma nei biocarburanti sembrano arrivare anche dalla tedesca Siemens, che insieme alla malese George Kent, mira a ottenere l'incarico della costruzione della superstrada tra Kuala Lumpur e Singapore. “L'Europa evidentemente è facilmente ricattabile e molto lontana dal riuscire a decidere una comune politica estera e dell’ambiente - ha dichiarato l’APM - ma a sopportarne le conseguenze sono in primo luogo le popolazioni indigene le cui terre con le loro foreste vengono progressivamente e irrimediabilmente distrutte per creare piantagioni di palma da olio”.

Infatti, nonostante la Commissione Europea in passato abbia più volte dichiarato che la produzione di olio di palma destinata al mercato europeo di biodiesel dovesse provenire “da coltivazioni ecologicamente certificate”, per l’APM l’Europa non si era fino ad ora mai preoccupata di capire come si fosse arrivati ad avere una piantagione certificata, né se per creare una piantagione fossero stati distrutti villaggi o messe in fuga delle comunità indigene. Per l’APM “La maggior parte delle 150.000 persone appartenenti ai popoli degli Orang-Asli della Malesia hanno ormai perso definitivamente la possibilità di vivere sulla propria terra trasformata in piantagioni di olio di palma”.  La situazione è simile nella vicina Indonesia, dove nelle isole di Sumatra e Kalimantan (Borneo) le piantagioni di olio di palma coprono circa 120.000 Km quadrati, una superficie pari a quella dell’intero nord Italia. Nella Papua occidentale, invece, l'area coltivata a olio di palma è quintuplicata tra il 2010 e il 2015 e anche qui a pagarne le conseguenze sono stati gli indigeni Papua che hanno perso la propria terra e sono stati costretti ad abbandonare la loro economia tradizionale.

Oggi a rischio non sono solo i diritti dei popoli indigeni, ma anche gli impatti ambientali che ha l'uso dell’olio di palma come biocarburante all’interno dei confini dell’Unione. Ma se la tutela ambientale verrà ancora sistematicamente ignorata anche dall’Europa, non saranno né le commesse militari né gli appalti per le superstrade a salvarci dal cambiamento climatico.  

Alessandro Graziadei

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