sabato 26 maggio 2018

L’amore per la terra dava solo buoni frutti…

Era lo spot di un minestrone degli anni ‘80. Si apriva con l’immagine di un sole al tramonto in una splendida valle mentre un nonno spiegava a suo nipote come “l’amore per la terra dà solo buoni frutti”. Oggi secondo l’ultimo rapporto della FaoSoil pollution a hidden reality” presentato dall’agenzia Onu e dalla Global Soil Partnership in occasione del Global Symposium on Soil Pollution (Gsop18) convocato dal 2 al 4 maggio a Roma, le parole del nonno, anche nella finzione narrativa di quella pubblicità, suonerebbero quanto meno stonate visto che per la Fao l'amore per la terra sembra essere finito da tempo e “L’inquinamento del suolo rappresenta ormai una preoccupante minaccia per la produttività agricola, la sicurezza alimentare e la salute umana, anche se si sa ancora troppo poco sulla portata e gravità di tale minaccia”. 

L’inquinamento dei suoli, infatti, è da sempre una “realtà nascosta” difficile da quantificare e spesso impossibile da circoscrivere.  Se è chiaro che l’origine del problema è di natura antropica, l’unica stima globale, risalente agli anni ‘90, quantifica in circa 22 milioni di ettari i terreni esposti a contaminazioni nel mondo. Un calcolo ottimistico, visto che in base a riscontri più recenti, solo in Cina si ipotizza che il 16% dei suoli e il 19% dei terreni agricoli nel Paese siano inquinati, mentre nell’Unione europea è plausibile pensare siano circa 3 milioni i siti potenzialmente contaminati. Di fatto, ha ricordato la Fao, "non è mai stata effettuata una valutazione sistematica dello stato di inquinamento del suolo a livello mondiale” e “Gli studi condotti sinora sono stati in gran parte limitati solo alle economie più sviluppate”.  

Anche se la letteratura scientifica esistente presenta ancora enormi limiti circa la natura e l’estensione del problema della contaminazione del suolo, il problema è per la Fao sicuramente “motivo di grande preoccupazione”. Per questo aprendo il meeting romano il vice-direttrice generale Fao, Maria Helena Semedo, ha lanciato un vero e proprio allarme: “L’inquinamento del suolo colpisce sempre di più il cibo che consumiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo e la salute dei nostri ecosistemi. La capacità dei suoli di fare fronte al problema è limitata e prevenire il loro inquinamento dovrebbe essere una priorità globale”. Le attività industriali, il livello di rifiuti domestici, zootecnici e urbani, i pesticidi, gli erbicidi e i fertilizzanti utilizzati in agricoltura, i prodotti derivati dal petrolio che vengono rilasciati o distrutti nell’ambiente e le emissioni generate dai trasporti sono per la Fao tutti fattori che contribuiscono a farci capire l'ampiezza problema. Anche i cosiddetti “inquinanti emergenti” come “i prodotti farmaceutici, gli interferenti endocrini, gli ormoni, le sostanze biologiche inquinanti, i rifiuti elettronici e i residui delle materie plastiche, oggi utilizzate in quasi ogni attività umana, allarmano i ricercatori e i dati snocciolati dal comitato scientifico che ha redatto il rapporto presentato a Gsop18 non fanno ben sperare. A quanto pare la produzione di sostanze chimiche è cresciuta rapidamente negli ultimi decenni e si prevede che “fino al 2030 aumenterà annualmente del 3,4%”, una percentuale destinata a crescere ulteriormente nei Paesi non-Ocse. Nel 2015 poi “l’industria chimica europea ha prodotto 319 milioni di tonnellate di prodotti chimici. Di questi, 117 milioni di tonnellate sono stati ritenuti pericolosi per l’ambiente”. Contemporaneamente la produzione globale di rifiuti solidi urbani che nel 2012 era di circa 1,3 miliardi di tonnellate annue, "entro il 2025 dovrebbe aumentare di di 2,2 miliardi di tonnellate l’anno". 

Anche il comparto agricolo ha enormi responsabilità nella deriva ecologica del suolo e i suoi effetti sono immediatamente visibili nella catena alimentare, tanto che “i livelli d’inquinanti organici persistenti nel latte umano sono già significativamente superiori a quelli considerati sicuri, con una maggiore incidenza in India e in alcuni Paesi europei e africani”. Nell’ultimo decennio alcuni Paesi a basso e medio reddito hanno aumentato tantissimo l’uso di pesticidi: in Bangladesh, per esempio, si stima sia aumentato di 4 volte, in Ruanda e in Etiopia più di 6 volte, e in Sudan che sia addirittura decuplicato. Nel contempo la produzione mondiale di letame per fertilizzare è cresciuta del 66% tra il 1961 e il 2016, passando da 73 a 124 milioni di tonnellate di materia organica che può contenere elevate quantità di organismi patogeni e antibiotici. I terreni adiacenti alle strade poi presentano livelli elevati di metalli pesanti, idrocarburi e altri inquinanti, che compromettono il metabolismo delle piante e danneggiano gli organismi, riducendo così i raccolti e rendendo le colture non sicure per il consumo.

Come non ricordare poi che “Circa 110 milioni di mine o di altri pezzi di ordinanza inesplosi sono sparsi in 64 Paesi di tutti i continenti”, resti di guerre dimenticate che possono avere conseguenze mortali per gli agricoltori e che possono rilasciare metalli pesanti attraverso gli agenti atmosferici. La dove non arriva la guerra, infine, arriva il nucleare, ed ecco che quasi tutti i terreni dell’emisfero settentrionale contengono radionuclidi in concentrazioni più elevate rispetto ai livelli tollerabili a seguito di ricadute atmosferiche da test nucleari o eventi radiologici come l’incidente del 26 aprile 1986 a Chernobyl. Davanti a questa china il simposio di Roma ha rappresentato un primo passo per cercare di formulare una risposta internazionale più coesa a queste minacce, a cominciare dalla definizione di un programma d’interventi per promuovere l’attuazione delle Linee guida volontarie per una gestione sostenibile dei suoli sviluppate dalla Fao a partire dal 2016. Come sempre la via d’uscita c’è, ma non è la più comoda da imboccare, anche se ridurre la nostra impronta ecologica è l’unica soluzione in grado di tutelare i suoli e la nostra sicurezza alimentare.

Alessandro Graziadei

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