domenica 17 giugno 2018

Carta: la lunga strada della sostenibilità

L’Environmental Paper Network (EPN) ha pubblicato da qualche settimana lo Stato dell'industria globale della carta, l’annuale analisi da parte di 150 associazioni ambientaliste degli impegni sociali e ambientali dell'industria cartaria. Il rapporto è uno stato dell’arte sull’impegno delle grandi multinazionali della carta a favore di un futuro più sostenibile e integrato nelle strategie di lotta al cambiamento climatico, in cui la produzione di carta "impieghi sempre meno fibre vergini, elimini la deforestazione e la perdita di biodiversità,massimizzi l’uso di materiali riciclati”, utilizzando “solamente energie rinnovabili a basse emissioni di carbonio e l’acqua impiagata per la produzione di carta sia restituita pulita com’era all’origine, senza produrre scarti o emissioni”. Da anni però la EPN utilizza il rapporto come un incentivo al miglioramento non solo ambientale, ma anche sociale, attraverso l’analisi della responsabilità sociale dell'industria della carta che dovrebbe essere sempre “più attenta ai diritti umani, compreso il diritto delle popolazioni locali alla terra, producendo occupazione con impatti sociali positivi, equi e senza conflitti”.  

Per rispondere a questa missione il rapporto nell’ultimo anno ha analizzato  la trasparenza dell’industria cartaria e la gestione della costante crescita dei consumi, presentando una nuova mappa online che ci aiuta a tracciare l’espansione e la vicinanza delle cartiere a molti ecosistemi forestali una volta intatti ed ora a rischio di deforestazione. L’aumento della produzione in risposta alla continua espansione del mercato sta portando, infatti, allo sviluppo di nuove linee di produzione di pasta di cellulosa vergine, in particolare in Asia, Sud America, ed anche in Africa “causando numerosi conflitti sociali in molti paesi, tra cui Brasile, Indonesia, Canada, India, Cile e Mozambico”. In particolare per Greenpeace, sulla base di un’estesa analisi dei dati satellitari, la Asia Pulp and Paper (APP), la più grande impresa cartaria Indonesiana, continua ad essere legata alla deforestazione attraverso imprese forestali collegate alla APP e alla sua azienda madre, come il gruppo Sinar Mas

Nel corso degli ultimi venti anni la APP è stata considerata come una delle peggiori imprese su scala mondiale. Dopo decenni di deforestazione e violazioni dei diritti umani, nel 2013 la APP si è impegnata a fermare la deforestazione sulla base di una serie di impegni precisi e avviando una aggressiva campagna di greenwasching utile a presentarsi come una leader globale della sostenibilità. “Negli ultimi cinque anni, Greenpeace ha consigliato e fornito suggerimenti nel processo di implementazione della politica forestale della APP” ha ricordato il 16 maggio scorso la ong, “Ma la recente analisi delle immagini satellitari ci suggerisce che imprese forestali legate alla APP e alla Sinar Mas abbiano eliminato quasi 8.000 ettari di foresta e di torbiere e con esse anche il nostro sostegno”. Già nel 2017 un'indagine condotta dall'Associated Press aveva rivelato che le piantagioni di APP, spesso mascherate da una struttura aziendale opaca fatta da un caleidoscopio di aziende minori, erano ancora legate alla deforestazione e agli incendi forestali.

Nelle scorse settimane il sito indonesiano Foresthints.news ha rivelato che un’altra azienda legata alla APP, la PT BMH, ha costruito più di 37 chilometri di nuovi canali di drenaggio ed espanso le sue piantagioni di acacia su un'area equivalente a circa 500 campi da calcio in aree assegnate dal Governo indonesiano alla salvaguardia della torba. La costruzione di nuovi canali di drenaggio e l’espansione nelle torbiere sono vietati dai regolamenti nazionali, visto che il loro drenaggio per fare spazio alle piantagioni è una delle principali fonti di emissioni di CO2 e crea condizioni sul terreno che rendono praticamente impossibile il controllo degli incendi. Una situazione certificata già un anno fa dalla EPN nel report Too Much Hot Air, che evidenziava come “la APP è responsabile ogni anno di quasi 44 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 dalle sue piantagioni sulla torba secca, una quantità quasi uguale a quella dell’intera Norvegia”. Un’ulteriore quantità sconosciuta, ma probabilmente anche maggiore di CO2, viene poi rilasciata durante i periodici incendi di torba, come quello del 2015, che ha anche causato nuvole di smog pericolose per tutte le forme di vita.

Oltre alle grandi pressioni ambientali e sociali che accomunano l’espansione delle cartiere in Indonesia a quella di molti altri Paesi, per il report annuale della EPN la carta rimane un bene ancora elitario, visto che anche se la produzione ha raggiunto livelli ormai insostenibili per l’ambiente “l’accesso alla carta è ancora limitato in diverse parti del mondo, in particolare in Africa”. Inoltre se gli impegni di responsabilità sociale delle imprese e le politiche di acquisto hanno contribuito nell’ultimo anno a promuovere alcuni specifici miglioramenti sociali e ambientali “sul campo”, l’esecuzione, la trasparenza e i risultati di molti di questi impegni volontari lasciano ancora a desiderare e fanno intuire situazioni ancora peggiori rispetto a quelle considerate dalla EPN visto che “ci sono significative lacune nella disponibilità dei dati a livello globale, con grosse differenze fra regione e regione e problemi nell’aggregare dati da regioni diverse”. Nonostante le criticità un cambio di paradigma al momento sembra impossibile a meno di azioni che prendano in considerazione una radicale revisione all’attuale commercio internazionale della carta, da solo ancora incapace di salvaguardare il patrimonio forestale e sociale del nostro pianeta.

Alessandro Graziadei

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