domenica 16 settembre 2018

Che fine farà la nostra biodiversità?

Nel lontano 1992 all’Earth Summit di Rio Henry Kendall, premio Nobel per la fisica e allora presidente dell’Union of Concerned Scientists, esortava le società umane ad “operare un cambiamento profondo nella loro gestione della Terra e della vita che ospita” assieme ad altri 1.700 firmatari, tra i quali un centinaio di altri Premi Nobel, con uno dei primi manifesti sullo stato del nostro pianeta. A rischio c’era la sopravvivenza dell’ecosistema così come lo conosciamo e come è arrivato fino a noi. Dopo più di un quarto di secolo a che punto siamo? Secondo Franck Courchamp, direttore della ricerca del Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs) di Parigi e tra i firmatari di un nuovo appello sullo stato del nostro pianeta firmato questa volta da 15.000 scienziati di 184 paesi diversi e presentato lo scorso novembre a Bonn durante la 23esima conferenza (Cop23) dell’United Nations Climate Change Conference (Unfccc), “La maggioranza degli indicatori ecologici che erano in rosso un quarto di secolo fa hanno virato allo scarlatto” e non abbiamo più tempo da perdere se vogliamo evitare “una miseria generalizzata e una perdita catastrofica di biodiversità”.

Redatto da alcuni dei massimi specialisti internazionali del funzionamento degli ecosistemi e comparso anche sulla rivista dell’Università di Oxford BioScienceil World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice ha evidenziato come in materia di foreste, di oceani, di clima e di biodiversità “le traiettorie che abbiamo preso sono molto preoccupanti e ci portano a sbattere contro un muro”. In una recente intervista su CNRS  Le Journal, Courchamp ha evidenziato come se è vero che in questi ultimi 25 anni il divieto imposto ai clorofluorocarburi (Cfc) e ad altre sostanze che impoveriscono lo strato di ozono ha avuto degli effetti molto positivi e sono stati segnati alcuni importanti traguardi nella lotta contro la fame e la povertà estrema, oggi “Ecologicamente parlando, tutto o quasi va più male, va molto più male”. Per esempio Continuiamo a distruggere le foreste a un ritmo sfranato. Dal 1993 sono stati rasi al suolo 120 milioni di ettari a vantaggio dell’agricoltura. Negli oceani, le zone morte [deprivate di ossigeno], hanno fatto un boom del più 75%, mentre l’acqua potabile pro capite disponibile nel mondo per abitante è diminuita del 26 %. Le emissioni di biossido di carbonio [CO2] e le temperature medie del globo sono cresciute ancora. Une percentuale enorme di mammiferi, rettili, anfibi, uccelli e pesci è scomparsa. Senza dimenticare che uno studio, troppo recente per essere menzionato nell’appello, ha dimostrato che, in meno di tre decenni, le popolazioni di insetti volanti (bombi, libellule, farfalle e atri ditteri) sono diminuiti di circa l’80% in Europa e senza dubbio anche altrove”.

Catastrofisti o realisti? Per Courchamp “Siamo [noi scienziati] semplicemente realisti”. Di fronte a questa situazione, la biosfera andrebbe preservata “tutelando le foreste”, “intensificando la lotta al bracconaggio”, “riducendo lo spreco alimentare”, “favorendo una dieta di origine vegetale”, “educando la sensibilità dei bambini verso la natura” e “progettando e promuovendo nuove tecnologie ecologiche, per ridurre ipso facto la quota di combustibili fossili”. L’appello presentato a Bonn punta il dito anche contro la crescita demografica. Courchamp fa notare come “in 25 anni, il numero di esseri umani è aumentato del 35%, il che è incredibilmente elevato. Siamo sempre più numerosi e consumiamo troppo. Ma viviamo su un pianeta con risorse limitate che non possono soddisfare il fabbisogno alimentare, tra gli altri, di una popolazione infinita. La Terra non sarà mai in grado di nutrire più di 15 miliardi di bocche, anche supponendo che poniamo fine all’attuale sovra-consumo, che ripartiamo meglio le risorse e che si verifichino ipotetici progressi agricoli e salti tecnologici”. Per lo scienziato francese non è una questione di religione o di ideologia, ma un problema di risorse disponibili: Per alcuni Paesi in via di sviluppo è importante comprendere l’importanza di ridurre la crescita della popolazione. Questo dovrebbe passare, come sostenuto dal nostro appello, da una maggiore generalizzazione della pianificazione familiare e dei programmi di accesso all’istruzione per le ragazze”.

Ma dopo il fallimento dell’appello del 1992 il rischio è che anche questo autorevole appello alla politica in nome di una maggiore sostenibilità resti inascoltato. Per Courchamp, tuttavia, “l’opinione pubblica in generale è oggi molto più consapevole delle minacce ambientali di quanto non lo fosse nel 1992” e per il direttore del Cnrs “Le prossime generazioni o passeranno necessariamente alla storia perché riusciranno a fermare la distruzione dell’ambiente, o ne subiranno tutte le conseguenze”. Una prospettiva, quella della tutela ambientale che per i firmatari del manifesto deve arrivare non solo dai Governi, ma da “una marea di iniziative di base”, perché solo “Una moltitudine di iniziative individuali e micro-azioni quotidiane della società civile possono avere un effetto decisivo, semplicemente perché siamo miliardi”. Le scelte responsabili ed informate di noi consumatori, al momento, sembrano essere l’unico modo per migliorare subito lo stato del pianeta e del suo patrimonio di biodiversità.

Alessandro Graziadei

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