giovedì 27 settembre 2018

La fotografa che ha salvato gli Yanomami

È la fotografa e attivista Claudia Andujar, sfuggita da bambina alla persecuzione nazista, il Premio Goethe di quest’anno. Una delle massime onorificenze culturali della Germania, in passato toccata tra gli altri al musicista Daniel Barenboim, agli scrittori John le Carré e Amos Oz, e all’architetto Daniel Libeskind, è stata consegnata alla Andujar il 28 agosto “per il suo straordinario lavoro fotografico con gli Yanomami”, che ha dato vita ad una campagna per i diritti di questo popolo indigeno portata all’attenzione internazionale da Survival International e "indispensabile per la creazione della più grande area di foresta tropicale al mondo sotto controllo indigeno" ha ricordato l’illustre sciamano yanomami Davi Kopenawa, noto come il “Dalai Lama della foresta” . Per il direttore generale di Survival International Stephen Corry, presente alla cerimonia di premiazione, “il  contributo di Claudia Andujar è stato fondamentale per salvare questa tribù amazzonica che non sarebbe mai sopravvissuta senza il suo tenace attivismo e le sue straordinarie immagini in bianco e nero della tribù”. Solo nel 1992, infatti, dopo una campagna lunga decenni che ha visto tra i protagonisti anche la Andujar, il Brasile ha finalmente riconosciuto e deciso di preservare il territorio di questo popolo indigeno, che le autorità brasiliane non custodiscono ancora adeguatamente visto il continuo taglio dei fondi al Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni (Funai) che avrebbe il compito di proteggerlo.

Nata a Neuchâtel in Svizzera nel 1931, la Andujar è cresciuta a Nagyvárad, l’attuale Oradea, al confine tra Romania e Ungheria fino a quando la sua città fu occupata dai nazisti e il padre di origini ebree venne deportato in un campo di concentramento dal quale non fece più ritorno. Con la madre riuscì a scappare negli USA, dove Claudia iniziò gli studi umanistici all’Hunter College di New York fino a quando nel 1956 si trasferì in Brasile, iniziando quella carriera di fotografa che la portò negli anni ’70 ad incontrare il popolo Yanomami. Visitando più volte la tribù e vivendo a lungo con questo popolo Claudia è diventata ben presto, con la sua macchina fotografica, la testimone dei bulldozer che radevano al suolo i villaggi yanomani per costruire l’autostrada transcontinentale e delle numerose epidemie di malattie infettive importate prima dagli operai prima e dai cercatori d’oro illegali poi, e che in quegli anni decimarono la popolazione della tribù. “Nei campi di concentramento della seconda guerra mondiale i prigionieri erano marchiati con numeri tatuati sulle braccia. Per me erano segni di una condanna a morte” ha raccontato Claudia al Goethe Institute qualche mese prima di ricevere il premio. “Quello che ho cercato di fare in seguito con gli Yanomami è battermi per la loro sopravvivenza, impedire il più possibile la loro condanna a morte”.

Ad oggi nella riserva Yanomami del Brasile settentrionale vivono oltre 22.000 indigeni, mentre la popolazione totale Yanomami, compresi coloro che vivono in Venezuela, è di circa 35.000 persone. Per Survival International questo popolo ha tradizioni antiche e uno stile di vita comunitario: “vivono da sempre in grandi case comuni chiamate yano o shabono, credono fortemente nell’uguaglianza tra le persone e non riconoscono capi. Nessun cacciatore mangia mai la carne dell’animale che ha ucciso, ma la cede ad amici e familiari. In cambio, riceverà la carne da un altro cacciatore”. Gli Yanomami vivono nel pieno rispetto dell’ambiente che abitano grazie ad una “sofisticata relazione con l’ecosistema che li circonda e una vastissima conoscenza botanica. Nella vita quotidiana utilizzano circa 500 piante per nutrirsi, curarsi, costruire case e altri manufatti”. Ad oggi “almeno tre gruppi di Yanomami restano ancora incontattati, nel senso che evitano intenzionalmente l’interazione con la nostra società "degli usi e dei consumi”. Una scelta rivelatasi saggia visto che negli scorsi mesi al confine tra Brasile e Venezuela è scoppiata l’ennesima epidemia di morbillo che ha colpito una tribù Yanomami isolata e con poche difese immunitarie verso questa malattia. Come in passato la regione è stata invasa da migliaia di cercatori d’oro, una delle probabili fonti dell’epidemia che solo sul fronte brasiliano ha fatto alcuni morti e 23 ospedalizzati. Sul fronte venezuelano Survival International e la ong venezuelana Wataniba  hanno fatto appello alle autorità del paese affinché forniscano assistenza medica immediata a queste remote comunità, un’ipotesi che al momento rimane ancora piuttosto improbabile visto le condizioni del Venezuela.  

“Quando i popoli indigeni vengono contagiati da malattie comuni come morbillo o influenza, che non hanno mai conosciuto prima, sono in molti a morire. Intere popolazioni possono essere spazzate via” ha commentato Corry. “Queste tribù sono i popoli più vulnerabili del pianeta. L’assistenza medica urgente è la sola cosa che può salvare queste comunità dalla distruzione”. Una condizione che ha ricordato nella prima settimana di settembre anche lo sciamano e amico di Claudia Andujar, Davi Kopenawa durante il suo soggiorno in Italia per presentare l’edizione italiana del suo libro “La caduta del cielo. Edito da Nottetempo, il libro è la testimonianza della ricchezza della cultura, della storia e dello stile di vita degli Yanomami della foresta amazzonica e un resoconto unico della storia di Davi, strenuo difensore dei diritti dei popoli indigeni di tutto il mondo. La visita di Davi è stata anche l’occasione per ascoltare dal vivo il suo messaggio rivolto al mondo e a noi “popolo della merce” direttamente dal cuore dell’Amazzonia brasiliana “nella speranza che i non-indigeni possano imparare e pensare non solo a se stessi”. Una richiesta di sostegno arrivata mentre un controverso progetto di legge attualmente in discussione al Congresso brasiliano potrebbe aprire la terra degli Yanomami a progetti minerari su larga scala. Le compagnie minerarie hanno già presentato oltre 650 richieste di concessione e i rappresentanti politici de "il popolo della merce" chiaramente ci stanno pensando...

Alessandro Graziadei

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