domenica 23 ottobre 2011

Sud-est asiatico: possibile uno sviluppo senza deforestazione?

La maggior parte delle foreste che si trovavano in origine sulla terra sono andate perse e quelle che rimangono hanno un futuro molto incerto. L'Asia in particolare si colloca in cima alla classifica Wwf della deforestazione con circa 1,5 milioni di ettari rimossi ogni anno solo dalle 4 principali isole dell'Indonesia: Sumatra, Kalimantan, Sulawesi e Irian Jaya (il settore indonesiano dell'isola di Papua) a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse legnose. Ma una serie di recenti studi dimostrano come la protezione delle foreste del Sud-est asiatico potrebbe rappresentare un potente volano economico per tutta la regione stimolando la rinascita di “Tigri Verdi” con livelli di crescita economica superiori a quelli raggiunti al culmine del boom degli anni novanta.
Lo studio più autorevole viene dal Rajawali Institute for Asia (Ria) della Harvard Kennedy School of Government di Cambridge. Con un’ampia ricerca sull'economia dell'Indonesia ha rilevato il sovra-sfruttamento delle risorse naturali e la deforestazione in particolare, come gli ostacoli principali alla crescita economica dell’Indonesia. Lo studio riporta come “eliminando il proprio capitale naturale per profitti trascurabili, la deforestazione tra il 1990 e il 2007 abbia causato all'Indonesia perdite di 110 miliardi di Euro, cancellando così quasi un terzo del risparmio nazionale di tutto il periodo analizzato”.
Un risultato non dissimile da quello ricavato sia da un’indagine condotta da una task force istituita dal presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono, che da un’altra analisi pubblicata da Indonesian Corruption Watch la quale stima le perdite causate al paese dalla deforestazione tra il 2005 e il 2009 “attorno ai 71.000 miliardi di Rupie”, circa 5,8 miliardi di Euro, pari a circa 1,1 miliardi di Euro l'anno.
Questi studi confutano, quindi, le versioni sostenute dall'industria del legno, della carta (in primis Asia Pulp and Paper e di April, già nel mirino di Greenpeace dal 2010) e dell'olio di palma, per le quali la deforestazione sia "necessaria" allo sviluppo della regione. In realtà come ricordato dall’Osservatorio Montgabay la deforestazione non ha solo indebitato il paese, ma ha anche aumentato la disoccupazione nei principali settori legati alle risorse naturali. “In Indonesia la deforestazione e la conversione delle foreste in piantagioni di l'olio di palma o acacia è così diffusa che ha drasticamente ridotto la disponibilità di legname utilizzabile per la lavorazione e l'intaglio. Privo di materia prima, il settore è entrato in crisi e l'occupazione crollata del 50 per cento nel 2007”, e sempre di più negli anni successivi. "Si stima che la provincia di Jambi, un tempo un importante produttore di lavorati del legno, abbia perso 76.000 posti di lavoro costringendo il sindacato dei lavoratori forestali indonesiani a chiedere l'istituzione di un divieto di abbattimento delle foreste incontaminate".
“Alle statistiche di queste indagini - ha fatto notare l’osservatorio sulle foreste primarie Salva le Foreste - sfuggono inoltre altri fattori destinati a pesare sul bilancio della deforestazione”, tra questi, il tendenziale calo della resa dei suoli deforestati e adibiti allo sviluppo agricolo. “La media dei rendimenti nelle piantagioni di palma da olio di Indonesia e Malesia è di circa 2,5 tonnellate per ettaro, mentre le piantagioni intensive assicurano un rendimento di 10 tonnellate per ettaro, un dato che secondo gli esperti potrebbe aumentare ancora sensibilmente”. Un rapporto del Center for International Forestry (Cifor) indica alcune misure in grado di aiutare in modo sostanziale l’agricoltura, che “anche senza raggiungere i livelli delle piantagioni più moderne potrebbe comunque assicurare una produzione di 18 milioni di tonnellate di olio senza abbattere un solo albero”.
I rischi della politica di deforestazione per Indonesia e Malesia sono ancor più consistenti di fronte alla comparsa del Brasile come potenziale concorrente nella produzione di olio di palma non associato alla deforestazione. Infatti, “anche se il Brasile continua ad affrontare una sostanziosa deforestazione legata al taglio illegale, all'espansione dei pascoli e alla costruzione di infrastrutture come le dighe, - ha spiegato Salva le Foreste - il paese è riuscito a ridurre il tasso di deforestazione e anche se al momento rappresenta solo lo 0,5 per cento della produzione mondiale di olio di palma potrebbe arrivare a coprire il 35 per cento del mercato utilizzando milioni di ettari di terre disponibili", senza bisogno di intaccare i polmoni verdi del pianeta.
Campagne internazionali come quella che Greenpeace sta combattendo con successo per il packaging sostenibile e contro le aziende che distruggono la foresta indonesiana e le proteste sempre più frequenti delle popolazioni locali (come quella che in settima ha visto la comunità Penan di Ba Abang e Long Kawi nella regione del Medio Baram Sarawak bloccare la strada di accesso alla loro foresta per fermare i camion delle compagnie del legno), spingono ad un urgente riflessione sull’utilità, oltre che sulla sostenibilità, di un continuo processo di deforestazione.
Le foreste (e Unimondo sta facendo la sua parte con la campagna 1fan1albero destinata alla riforestazione del Kenya) rappresentano ancora una risorsa mondiale e in primis per il Sud-est asiatico dove, secondo un’analisi della The Rand Corporation, un autorevole noprofit internazionale che aiuta a migliorare le politiche decisionali attraverso la ricerca e l'analisi, “la salvaguardia delle foreste eviterebbe gli intensi incendi responsabili negli ultimi 10 anni di un aumento del 22 per cento delle malattie respiratorie con esito fatale”. La cattiva qualità dell'aria, infatti, a contribuito a mandare molte persone in ospedale abbassando la produttività e rendendo sempre più difficile per Indonesia e Malesia attirare nel paese le direzioni aziendali. “Inoltre numerosi studi hanno dimostrato che le foreste di mangrovie possono ridurre l'impatto di mareggiate e tsunami fin del 90 per cento” tanto che durante il gigantesco tsunami del 2004, “i villaggi che avevano abbattuto le loro mangrovie sono stati spesso spazzati via, mentre quelli che le avevano mantenute, se la sono cavata molto meglio”.
Ragione in più per pensare che nelle regioni del Sud-est asiatico così vulnerabili a tifoni, tempeste e maremoti, le foreste intatte forniscono oggi una barriera e un tampone di importanza vitale per la popolazione, oltre a rappresentare un’opportunità economica di prosperità ed occupazione ben più vantaggiosa della deforestazione. lo sanno bene anche le Nazioni Unite, che hanno nominato il 2011 "Anno internazionale delle foreste".
Alessandro Graziadei

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