sabato 13 agosto 2011

Haiti: “fare emergenza, ma seminare sviluppo”


Era il 12 gennaio 2010 quando un terremoto di magnitudo 7.0 radeva al suolo gran parte dell’isola caraibica di Haiti. Tre milioni le persone senza tetto. Quasi 300.000 i morti accertati. Da quel giorno è scattato l'eterogeneo intervento “multinazionale” della solidarietà (con tanto di portaerei Cavour) che però, reso ancor più complicato da un’epidemia di colera e nonostante la presenza delle Nazioni Unite al gran completo “continua ad essere gestito da una cooperazione che non sembra desiderare l'autonomia del Paese, ma rende irreversibile l'emergenza e l'assistenzialismo”.
Questa, a più di un anno e mezzo dal sisma, l’impressione di Luca Guernieri delegato di Terre des Hommes Italia a Port au Prince, che come altre ong cerca, nel fare emergenza, di seminare sviluppo per poter offrire agli haitiani una prospettiva sempre più autonoma ed autogestita. “Le speranze che l'elezione di Martelly, conosciutissimo eroe del Kompa, facesse da volano ad un sano colpo di reni da parte dello Stato, stanno via via scemando - ha spiegato Guernieri -. Dopo due mesi dal delicato ballottaggio siamo ancora senza il premier, i ministeri sono alla paralisi e soprattutto non si capisce cosa fare del mezzo milione di senza tetto, o supposti tali”.
Chiunque capitasse a Pourt au Prince nelle due piazze di Petionville, il quartiere residenziale della capitale haitiana, Place Boyer e Place St. Pierre, trova ancora un mare di tende e nel Paese nel quale non si pensa a quando finirà un'emergenza, ma a quando ne inizierà una nuova, la gestione dei campi e la mancata pianificazione degli interventi è ancora causa di ingiustizie e malversazioni.

“È possibile - ha denunciato Guernieri - che a Citè Soleil, area urbana poverissima, a fronte di circa 337 abitazioni distrutte dal terremoto e non più di 270/300 morti (circa) si siano fatte piazzare decine di migliaia di persone in tende? E' possibile che tra dare 4.500 dollari (calcolo approssimativo) per i materiali da costruzione ad abitazione, si sia preferito spendere soldi per la creazione di campi? Non conveniva dare i materiali alle famiglie danneggiate in modo che, nel giro di qualche mese, tutti avrebbero potuto ricostruirsi una nuova casa? Non conveniva evitare la concentrazione di altri poveri in un’area urbana al limite della sopravvivenza?”.

Egualmente caotica la situazione economica, prevalentemente rurale e agricola, oggi in ginocchio perché a Port au Prince trovi verdure provenienti dagli Stati Uniti a prezzo inferiore di quelle locali. Containers, aerei o navi delle Nazioni Unite abbattono i prezzi alimentari con prodotti di importazione che costano meno. “Così - ha aggiunto Guernieri - anche i contadini scendono in città nella speranza di accedere ad impieghi temporanei, godere di servizi seppur minimi e mandare, chi può, i propri figli in una scuola spesso solo leggermente più decente di quelle delle zone rurali”.

Per Wilfrid Joachin, haitiano, coordinatore dei progetti del Movimento dei Focolari nell’isola come il del progetto Pacne (Associazione contro la povertà del Nord-Est), “Haiti è un Paese che vive troppo di aiuti provenienti dall’esterno, ma ciò non basta nemmeno alla sopravvivenza. Bisogna riuscire a creare lavoro. Se ad Haiti - ha ricordato Wilfrid - l’85% della popolazione non ha di che vivere, se l’analfabetismo raggiunge l’80% della popolazione, se i giovani diplomati e laureati haitiani, una volta ottenuto il loro titolo di studio, vanno a fare i muratori e i braccianti nella vicina Repubblica Dominicana, bisogna cambiare le cose, provocare sviluppo endemico. Il circolo vizioso va interrotto”.

Poco alla volta Pacne creando scuole, luoghi di accoglienza e di avviamento al lavoro autosufficenti nell’area di Mont Organisé comincia a influenzare anche le amministrazioni locali guadagnando una pertinenza sociale e politica. “I nostri non sono progetti nati con l’emergenza sismica, ma le nostre realizzazioni - ha raccontato Wilfrid - sono un modo per mostrare anche ai politici che qualcosa si può cambiare a cominciare da subito e soprattutto dalla scolarizzazione”. “Abbiamo finanziato delle borse di studio per permettere ai nostri figli di studiare a Port-au-Prince e in altre città del Paese e della Repubblica Dominicana [...] Ora, dopo 15 anni, cominciamo a raccogliere i frutti, e Pacne beneficia di questi giovani professionisti, anche perché nel loro contratto esiste l’accordo di dedicare il 25% del loro tempo alla crescita sociale, sanitaria e culturale di Mont Organisé. Il loro esempio fa passare l’idea che uno sviluppo è possibile e alla portata di tutta la comunità”. In totale i bambini aiutati con le scuole sono 1.069, più 131 ragazze in avviamento professionale. “Qui c’è sempre qualcuno che si occupa di qualcun altro: è la logica dell’unità che non lascia solo nessuno” ha concluso Wilfrid.

Uno spirito d’iniziativa solidale che ha registrato anche Terres del Hommes e che diventa sempre più fondamentale per l’emancipazione di Haiti. “Abbiamo visto che la totale mancanza dello Stato è stata supplita dalle comunità - ha puntualizzato Guernirei - Si sono costruite scuole, chiese e perfino gabbioni a sostegno dei fianchi delle montagne, nelle molte aree scoscese. Si direbbe che quindi l'unica politica da farsi sarebbe quella del rafforzamento istituzionale, del dare gambe a strutture locali, statuali o comunitarie, nell'affrontare i problemi all'ordine del giorno. Ma invece si avvertono altre risposte, continuano le distribuzioni urbi et orbi di teli plastici, di alimenti, di acqua (un super business ad Haiti), a tutti e senza distinzione”.

Sono molte le voci e non posso, per convenienza, citare le fonti secondo le quali nella sola Cité Soleil abitano - probabilmente il 60% ha riferito Guernieri - attendati che non hanno nulla a che vedere con il sisma. Per il colera, poi, possiamo procrastinare l'aiuto umanitario sempre e comunque, senza dare gambe alla politica di risposta comunitaria del Ministero della salute? Ma vogliamo veramente rimanere ad Haiti in eterno?”

Non tutto è da buttare riconosce Terres del Hommes “e molte Ong italiane hanno fatto un lavoro semplicemente splendido, anche nei campi degli sfollati, malgrado la confusione istituzionale e le difficoltà ambientali”. C’è chi oltre alle tende ha costruito in solido, con strutture anti-sismiche e “come noi ha trattato l'emergenza-colera per quello che è: un fenomeno endemico, pressoché non eradicabile stanti le condizioni del Paese” e che va trattato con personale e risorse soprattutto locali.

Il risultato? Accedere ai fondi della BID, Banque Interamericaine du Developpement, così dal 1° Agosto “anche gli haitiani inizieranno a coprire da soli i costi dei salari degli infermieri e dei materiali medici”. Un’ottima notizia che dimostra come “sia ancora possibile, nel fare emergenza, seminare sviluppo”.

Alessandro Graziadei

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