sabato 16 marzo 2024

L'autosviluppo delle comunità: il vero antidoto allo sfruttamento

 

Le disuguaglianze globali sono sempre più ampie e rappresentano uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile e alla lotta contro la povertà. Negli ultimi anni in molti Paesi le disuguaglianze sono aumentate limitando la possibilità di alcuni settori della società di partecipare alla vita sociale, culturale, politica ed economica. L’Obiettivo 10 dell'Agenda 2030 è incentrato sulla riduzione delle disuguaglianze all’interno degli Stati e tra gli Stati stessi ed è uno degli scopi del Gruppo Volontariato Trentino (GTV) che ormai da 25 anni opera nell'ambito della cooperazione internazionale e dell'educazione alla cittadinanza globale in alcune comunità del Sud Est Asiatico con particolare attenzione ai diritti dei soggetti più vulnerabili come bambini, donne e minoranze. Ne abbiamo parlato con Benedetta Massignan, coordinatrice in Italia delle attività del GTV.


Ciao Benedetta e grazie per il tempo che avete deciso di dedicarci. Ci racconti quando è nato il GTV e perché?


GTV è nato nel 1999, inizialmente per sostenere gli ospedali nel nord del Vietnam, in un paese e in un contesto post bellico dove la qualità della vita e dei servizi erano molto basici. Fu in particolare il dott. Dino Pedrotti, storico neonatologo trentino, che, assieme al gruppo di ANT - Amici della Neonatologia Trentina, accolse le richieste di supporto di un ospedale vietnamita: nacquero i primi progetti che portavano materiali e formazione per i reparti di pediatria e neonatologia, grazie a specifiche raccolte fondi e missioni di infermiere e medici. Dopo poco, visti i tantissimi bisogni di quel paese anche fuori dagli ospedali, ANT decise di dar vita a una nuova associazione, GTV appunto, che si occupasse anche di sviluppo di comunità e lotta alla povertà nelle aree più svantaggiate del Vietnam.


Qual è la vostra mission, i vostri valori e quali sono oggi i vostri principali ambiti di intervento?


GTV è un’Organizzazione di Volontariato che si occupa di Cooperazione Internazionale

La nostra Mission è “Costruire un ponte tra Occidente e Oriente verso un nuovo domani”. Si intuisce che GTV vuole collaborare tra paesi, portando esperienze, professionalità e solidarietà al di là dei confini italiani. I nostri valori sono Relazione, con e tra le persone al centro dei progetti; Responsabilità, verso le risorse, i donatori ed i contesti dove lavoriamo; Rispetto, per il tempo che viviamo; Democrazia interna che dà valore al gruppo.

Questi mission e valori vengono messi in pratica in azioni di varia natura, secondo un approccio di “cooperazione di comunità”, ovvero lavorando per molti anni negli stessi luoghi, per cercare di rispondere ad esigenze diverse di sviluppo della popolazione locale. I nostri progetti spaziano dal sostegno alle attività agricole di donne e famiglie, al sostegno alle scuole con materiali e infrastrutture (anche con il programma di Sostegno a Distanza), a progetti di lotta alla malnutrizione e accesso all'acqua e all’igiene. Attualmente operiamo nel Distretto di Xin Man, in Vietnam, nella provincia di Kampong Chhnang in Cambogia e nell’isola di Atauro in Timor Est.

Il “ponte tra Occidente e Oriente” della nostra mission si concretizza poi anche con i viaggi solidali che promuoviamo ogni anno.


Tra le vostre attività ci sono, appunto, anche i viaggi solidali in Vietnam. Dopo la lunga pausa a causa del Covid-19 nel 2023 sono finalmente ripartiti. In che modo il turismo responsabile è una forma di sviluppo? 


I viaggi per GTV sono una modalità concreta per far conoscere alle persone italiane, soprattutto trentine, le attività e l’impegno della nostra associazione, portando i viaggiatori nelle comunità più remote del nord del Vietnam dove operiamo e facendo vivere loro un’esperienza unica di conoscenza e relazione con popolazioni lontanissime da noi, sia geograficamente che come stile di vita. Un modo insomma per uscire dalla propria zona di comfort e riflettere sulle disuguaglianze internazionali e su quelli che sono i diritti umani.

Le attività turistiche sono però anche un mezzo concreto per sostenere lo sviluppo economico di queste comunità svantaggiate: i gruppi di viaggiatori accompagnati da GTV spendono diversi giorni nelle “homestay”, case locali dedite all’accoglienza dei viaggiatori, dove il cibo e i servizi sono molto essenziali, ma diventano una fonte di reddito fondamentale per famiglie che si occupano, altrimenti, di sola agricoltura di sussistenza. 

Oltre agli alloggi, anche i fondi portati dai viaggiatori per i pasti, i trasporti e le guide locali mettono in moto un’economia quanto più possibile solidale, tenendo fissi i concetti di sostenibilità anche ambientale e sociale. Le comunità locali sono così le protagoniste dello sviluppo turistico del loro distretto.


Questo tipo di viaggio lo riproporrete anche nel 2024 e se sì sapete già con quale itinerario?


Sì, anche quest’anno proporremo un viaggio ad ottobre, grazie alla collaborazione con l’agenzia Viaggigiovani.it. Il gruppo avrà la possibilità di visitare Xin Man, il distretto dove opera GTV, ma anche la capitale Hanoi, la bellissima Baia di Halong e poi, nel sud del paese, il delta del Mekong e la città di Ho Chi Minh City.


Avete da poco concluso il progetto POEMA, con corsi di formazione e la creazione di biblioteche. Ci raccontate cosa sono e quale comunità interessa?


POEMA - Project for Opposing Early MArriages, è un progetto che mira a creare formazione e sensibilizzazione sul tema dei matrimoni precoci, una vera ingiustizia sociale che ancora oggi spesso vediamo accadere nel Distretto di Xin Man dove operiamo.

Dopo aver seguito la storia di due ragazze sostenute con il programma di Sostegno a Distanza che a soli 15 anni hanno lasciato la scuola per andare a vivere autonomamente e diventare madri, GTV ha voluto dedicare un progetto specifico alla lotta ai matrimoni precoci: è nato così nel 2023 questo progetto. Nonostante nel 2014 il Vietnam abbia dichiarato ufficialmente illeciti i matrimoni per uomini minori di 20 anni e per donne minori di 18 anni, quasi il 15% delle giovani donne vietnamite ha avviato un’unione fuori dalla famiglia prima dei 18 anni; con numeri molto inferiori, questo accade anche per gli uomini. I matrimoni precoci in Vietnam avvengono soprattutto nelle regioni montuose del nord e tra le etnie minoritarie, proprio dove opera GTV: oltre la metà delle donne H'mong e quasi un quarto delle donne Tay, Thai, Muong e Nung si sposano prima dei 18 anni. Le cause sono la povertà economica, le scarse opportunità di carriera, l’isolamento delle etnie del nord. Gli effetti implicano invece l’impossibilità per i giovani di concludere gli studi, cercare la propria strada e cercare di cambiare il destino di povertà che hanno vissuto in famiglia. 

Per GTV era quindi importante provare a lasciare un segno su questi temi. Nei 12 mesi di progetto abbiamo creato opportunità di formazione e riflessione per studenti, insegnanti e comunità sui temi dei diritti dell’infanzia, legge di famiglia, parità di genere, educazione sessuale e effetti dei matrimoni precoci e consanguinei. Abbiamo anche sostenuto le famiglie più povere, i cui figli/e sono più a rischio di abbandonare la scuola, con sostegno al reddito, materiali scolastici e incontri personalizzati.


Il GTV considera l'autosviluppo delle comunità il vero antidoto allo sfruttamento. In che modo i vostri progetti lo favoriscono? 


Soprattutto in Vietnam stiamo vedendo come lo sviluppo stia avvenendo in maniera rapida e spesso non in linea con i principi di sostenibilità. Grandi marchi occidentali sfruttano la manodopera locale con una grande sperequazione nella distribuzione della ricchezza prodotta: spesso donne e ragazze/i molto giovani che lasciano le proprie famiglie nelle campagne per lavorare a cottimo in fabbriche che non garantiscono loro i più diritti basici e li fanno entrare a volte in fenomeni di schiavitù moderna. Ci sono poi storie di tratta di esseri umani e di povertà urbana che spesso interessano proprio persone povere provenienti dalle campagne, dove non hanno via d’uscita dalla spirale di povertà in cui sono inserite da generazioni. Nei villaggi dove operiamo incontriamo spesso figli/e minori lasciati in cura ai nonni anziani, proprio perché per molti mesi consecutivi i genitori lavorano lontano cercando di migliorare la propria economia; spesso perdiamo anche le tracce di adolescenti che lasciano la scuola per iniziare a lavorare in zone industriali molto lontane e senza una rete di sicurezza.

Seguire il concetto di “autosviluppo” delle comunità dove operiamo per GTV significa cercare di stare a fianco di queste famiglie, raccoglierne le storie e i bisogni, riflessione comune sui possibili interventi da compiere, con l’obiettivo di migliorare le loro condizioni di vita e lavoro nelle zone rurali dove storicamente vivono ed evitare la caduta in processi di sfruttamento come quelli descritti sopra. 


Quali ricadute ha sulla comunità trentina il vostro lavoro?


Oltre ai progetti all’estero, GTV pone molta energia e attenzione alle azioni di Educazione alla Cittadinanza Globale: ogni anno entriamo in moltissime classi, dalle scuole materne alle scuole superiori, per far riflettere studenti e studentesse sulle disuguaglianze che, enormi, esistono ancora e sempre di più nel nostro pianeta, sui diritti umani e sugli obiettivi dell’Agenda 2030. Oltre ai percorsi scuola, promuoviamo eventi per la cittadinanza, non solo di raccolta fondi, ma anche di discussione e sensibilizzazione.

In particolare, in questo momento GTV partecipa alla “campagna 070” (www.campagna070.it), per sensibilizzare la cittadinanza e le scuole sugli impegni che anche l’Italia ha siglato a livello internazionale, ovvero sostenere e promuovere la cooperazione allo sviluppo destinandovi almeno lo 0,70 della propria ricchezza nazionale. Andiamo così nelle classi, assieme ad altre associazioni partner, per far riflettere sulle motivazioni che ci portano a continuare a fare cooperazione internazionale, in un quadro desolante di sfruttamento, povertà e cambiamenti climatici.


GTV lavora da sempre in sinergia con altre organizzazioni ed associazioni della società civile, sia italiana che asiatica. Quali sono i vostri principali partner nelle comunità nelle quali operate e qual è il loro ruolo?


In Vietnam, dove abbiamo una sede ufficiale e due collaboratori, lavoriamo sempre in stretto contatto con le autorità locali dei villaggi e dei distretti in cui si svolgono le attività. Il Vietnam è un paese molto istituzionalizzato e gerarchico, serve una grande collaborazione con le autorità amministrative locali che devono dare il via libera ufficiale ad ogni azione prima del suo inizio. Questi funzionari appoggiano molto i nostri interventi, rendendosi conto dell’importanza di migliorare la condizione di vita, di lavoro e di istruzione delle loro comunità. Lavoriamo inoltre assieme alle scuole, al corpo docente e al Dipartimento di istruzione, e all’Unione delle Donne, l’ente che mira al miglioramento della condizione femminile in ogni villaggio, essendo una fitta rete presente con struttura piramidale su tutto il territorio nazionale. Infine, una grande ricchezza per GTV in Vietnam è la partnership con associazioni no profit e reti di volontariato nazionale: ogni anno una ventina di giovani studenti universitari vietnamiti partecipa alle attività del nostro programma di Sostegno a Distanza, promuovendo giochi e laboratori educativi ai bambini/e sostenuti/e.

In Cambogia e Timor Est, dove abbiamo in corso dei progetti molto più piccoli, collaboriamo invece con dei partner locali di cui ci fidiamo, che andiamo a visitare e con cui manteniamo costanti rapporti e scambi di informazioni.


Ogni anno svolgi una missione di monitoraggio di progetti e di  visita alle comunità che ospitano i vostri progetti. Come hai trovato recentemente la situazione e quali sono i principali progetti che avete in cantiere per questo 2024?


Per poter svolgere il mio lavoro di coordinamento e riportare ai volontari di Trento informazioni chiare e aggiornate è fondamentale incontrare di persona i bambini, le famiglie e le comunità beneficiarie dei progetti GTV. In generale, mettersi a confronto con la povertà più estrema non è mai facile. Si torna a casa sempre con una sensazione di non fare abbastanza, soprattutto di non far capire abbastanza a chi ci vive vicino quanto le disuguaglianze internazionali sono profonde e come impattano sulla vita quotidiana, sulle scelte di vita e sui sogni di minori e adulti che incontriamo. Si tende a rimettere in discussione scelte e stile di vita quotidiani, troppo spesso legate dettate da un consumismo sfrenato.

Nel corso del 2023 ho visitato il Distretto di Xin Man, incontrando i 104 bambini sostenuti a distanza, le scuole e le autorità locali: è stato questa un’occasione per progettare le attività che stanno iniziando in questi mesi. Nel 2024 continueremo infatti la nostra mission di supporto a questo Distretto con un grande progetto di lotta alla malnutrizione (che comprende la creazione di un acquedotto per le coltivazioni di riso e ortaggi, creazione di orti scolastici, corsi di potenziamento delle tecniche agricole e zootecniche per donne, corsi sulla corretta nutrizione e distribuzione di input agricoli), con un progetto di accesso all’acqua potabile per due villaggi (con l’installazione di filtri per la depurazione dell’acqua nelle case e nelle scuole) e con la continuazione del programma di Sostegno a Distanza.

Nel 2023 ho però visitato anche la Provincia di Kampong Chhnang, in Cambogia, una zona colpita da una forte alluvione dove abbiamo concluso un progetto di supporto e ricostruzione per le case e per le scuole, anche con l’obiettivo di rendere la comunità più resiliente a questo tipo di fenomeni meteorologici estremi. In questa zona continueremo anche nel 2024 il supporto a due scuole “informali”, ovvero frequentate da bambini apolidi (di origine vietnamita) che non hanno accesso alle scuole pubbliche cambogiane, non essendo riconosciuti cittadini e non avendo neppure il certificato di nascita.

Infine, tra poco partirò per l’Isola di Atauro, a Timor Est, dove per la prima volta incontrerò la comunità che stiamo sostenendo con un progetto di accesso all’acqua (con la creazione di cisterne per la raccolta di acqua piovana, visti i cambiamenti climatici in corso e le sempre più prolungate siccità). Nel 2024 inizieremo qui anche un progetto di lotta alla diffusione della febbre dengue.


A giugno celebrerete i 25 anni di attività, un traguardo importante per un'associazione. Come pensate di festeggiare questo importante traguardo?


Abbiamo in programma un “grande” evento per celebrare questo importante traguardo: il 15 giugno 2024 promuoveremo infatti una tavola rotonda sul tema dello sviluppo del Vietnam nell’ultimo quarto di secolo, con la presenza dell’Ambasciata del Vietnam in Italia, con docenti dell’Università di Trento e figure istituzionali. Per la stessa occasione organizzeremo anche attività culturali (con la collaborazione del Centro Hoan Son e il Coro Altreterre) e diffonderemo, con una pubblicazione ed un video collettivo, quelli che sono stati i traguardi e l’impegno della nostra associazione in tutti questi anni.


Grazie mille per la disponibilità e per l'impegno che da 25 anni contribuisce allo sviluppo delle comunità dove operate oltre che di quella trentina!


Articolo di Alessandro Graziadei uscito anche su Abitarelaterra.org

sabato 9 marzo 2024

Fatta le legge, trovato il criminale ambientale?

 

Lo scorso 27 febbraio con 499 voti favorevoli, 100 contrari e 23 astensioni, l’Europarlamento ha approvato in via definitiva le nuove misure e sanzioni per contrastare la criminalità ambientale e le gravi violazioni della legislazione dell’Unione europea in materia di inquinamento. Nel testo sono stati inseriti anche i cosiddetti “reati qualificati”, vale a dire quelli che portano alla distruzione di un ecosistema e sono quindi paragonabili all’ecocidio (la proposta di legge di iniziativa popolare partita già nel 2014), come gli incendi boschivi su larga scala; la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento dei rifiuti pericolosi e dei medicinali, tra cui i materiali radioattivi; il riciclaggio delle navi e i loro scarichi di sostanze inquinanti; l'installazione, l'esercizio o lo smantellamento di un impianto in cui è svolta un'attività pericolosa o in cui sono immagazzinate o utilizzate sostanze, preparati o inquinanti pericolosi; l'estrazione e la contaminazione di acque superficiali o sotterranee; l'uccisione, la distruzione, il prelievo, il possesso, la commercializzazione di uno o più esemplari delle specie animali; l'immissione o la messa a disposizione sul mercato dell'Unione di legname o prodotti provenienti dalla deforestazione illegale; qualsiasi azione che provochi il deterioramento di un habitat all'interno di un sito protetto; la produzione, l'immissione sul mercato, l'importazione, l'esportazione, l'uso, l'emissione o il rilascio di sostanze che riducono lo strato di ozono, e di gas fluorurati a effetto serra e l'estrazione, lo sfruttamento, l'esplorazione, l'uso, la trasformazione, il trasporto, il commercio o lo stoccaggio di risorse minerarie.  Per questi reati ambientali qualificati, commessi da persone fisiche o rappresentanti d’impresa, si profila, finalmente, il carcere, con un massimo di 8 anni di reclusione, per quelli che causano la morte di una persona 10 anni e per tutti gli altri 5 anni, oltre che il risarcimento economico alla comunità del danno causato attraverso la bonifica dell’ambiente contaminato e danneggiato, oltre ad ulteriori possibili sanzioni pecuniarie. Inoltre gli Stati membri potranno decidere se perseguire i reati commessi anche al di fuori del loro territorio nazionale.


Adesso gli Stati dell'Unione avranno due anni per recepire le norme nel diritto nazionale e per evitare ritardi i lgislatori hanno introdotto l’obbligo di organizzare a livello nazionale corsi di formazione specializzati per forze dell’ordine, giudici e pubblici ministeri, e hanno invitato a redigere strategie e organizzare campagne di sensibilizzazione contro la criminalità ambientale. Per Antonius Manders del Partito Popolare Europeo, relatore della legge al Parlamento europeo, “È giunto il momento che la lotta alla criminalità transfrontaliera assuma una dimensione europea, con sanzioni armonizzate e dissuasive che impediscano nuovi reati ambientali. Di fatto adesso con questo accordo, chi inquina paga" e "Qualsiasi dirigente d’impresa responsabile di provocare inquinamento, potrà essere chiamato a rispondere delle sue azioni, al pari dell’impresa. Con l’introduzione del dovere di diligenza, poi, non ci sarà modo di nascondersi dietro a permessi o espedienti legislativi”. Per Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente questa nuova legge è una gran bella notizia: “La direttiva europea sui crimini ambientali contiene nuovi illeciti, a cominciare dalla definizione di ecoidio, un inasprimento delle sanzioni, maggiori tutele per chi denuncia e, come proposto da Legambiente, l’impegno di facilitare l’accesso alla giustizia per le associazioni. Un passo importante a livello europeo per il contrasto e la lotta alle illegalità ambientali che consentirà di rafforzare nel nostro Paese quanto già previsto dal 2015 grazie all’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel Codice penale. Anche per questa ragione l’Italia può dare il buon esempio, diventando il primo Stato europeo a recepire la nuova direttiva”.


Ma non si tratta solo di salvaguardare l'ambiente, cosa che sarebbe già di per se una vittoria, ma del tentativo di contrastare tutta quella criminalità che negli anni ha fatto dei reati ambientali una delle attività illecite più attrattive e soprattutto una delle principali fonti di reddito per la criminalità organizzata insieme al traffico di drogaarmi e alla tratta di esseri umani. La sola repressione però non basta, come mostra il caso italiano, dove il livello degli ecoreati è da un decennio stabile nonostante gli inasprimenti delle pene e la legge costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022 che ha fatto entrare la tutela dell’ambiente nella Carta costituzionale italiana. In Italia, infatti, anche se in pochi lo ricordano, nel 2022 con il voto pressoché unanime del Parlamento, sono stati riformati l’art. 9 e l’art. 41 della Costituzione. Nell’art. 9 è stata inserita, tra i principi fondamentali della Costituzione, la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, richiamando la necessità di proteggere gli animali attraverso le leggi dello Stato e nell’art. 41 è stato sancito il principio che l’iniziativa economica privata, pur essendo libera, non può svolgersi in modo da recare danno all’ambiente e che l’attività economica, sia pubblica che privata, e deve essere indirizzata e coordinata anche ai fini ambientali. Per il Wwf, che nelle scorse settimane ha provato a fare un bilancio di questa importante ed epocale decisione, “È stata una riforma importante che ha confermato un orientamento già delineato dalla Corte costituzionale e che ha reso la nostra Costituzione più attuale e in linea con le più recenti leggi fondamentali di altri Paesi”. Purtroppo la popolarità di una certa politica italiana, che vorrebbe sparare a lupi e orsi, permette la caccia selvaggia ovunque (poi sanzionata a livello europeo) e chiede che vengano limitate le politiche europee sull’ambiente e la biodiversità, fa pensare che anche buona parte dell’opinione pubblica del Belpaese, non conosca la fauna selvatica e creda che l’ambiente si limiti ai giardini pubblici e agli animali da compagnia. Ma sarà vero?


Ha provato a capirlo un sondaggio commissionato a EMG Different dal Wwf, proprio in occasione del secondo anniversario della legge n. 1 dell’11 febbraio 2022, che ha chiesto ai cittadini italiani cosa ne sanno della riforma del 2022 e quanto ritengono che sia importante aver inserito la tutela dell’ambiente nella Costituzione. Dalle 800 interviste online ad un campione di italiani dai 18 ai 70 anni rappresentativo della popolazione per età, aree geografiche e ampiezza dei comuni, è emerso che “Solo il 28% del campione ha dichiarato di sapere che è stata approvata una riforma costituzionale che ha inserito nella nostra Costituzione la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, dato che sale al 33% tra coloro che hanno un’istruzione superiore”. Saputo che l’ambiente è entrato in Costituzione, però, “Il 72% degli intervistati lo giudica molto positivamente o positivamente e solo il 6% lo ritiene negativo o molto negativo, mentre il 22% non risponde. Ancora più alta la percentuale degli italiani che sono d’accordo sul fatto che l’iniziativa economica non debba recare danno all’ambiente e alla salute: 88% degli intervistati (42% molto d’accordo e 46% abbastanza d’accordo) che diventa il 94% nel Nord Est, dove si trovano le aree più industrializzate del Paese”. L’84% poi dichiara di essere molto/abbastanza d’accordo sul fatto che la tutela del patrimonio ambientale del nostro Paese sia garantita dallo Stato, e sia omogenea su tutto il nostro territorio e non frammentata (come auspica il disegno sull’autonomia differenziata). 


Per il Wwf “Il quadro che emerge dal sondaggio è che l’ambiente rappresenti un tema di forte interesse per gli italiani che sono in larghissima parte d’accordo con la sua tutela e con il principio che l’economia non possa distruggere il nostro capitale naturale. Al tempo stesso però si conferma che, anche se in crescita, la consapevolezza di quanto avviene nel nostro Paese dal punto di vista ambientale continua ad essere poco diffusa e richiede ulteriori sforzi da parte di tutti: associazioni ambientaliste, ovviamente, ma soprattutto istituzioni, mondo della cultura, dell’università e della ricerca e mass media che a volte si concentrano su elementi marginali dei confronti in atto e non danno il giusto spazio ai portatori di interessi generali”. Non guasterebbe, tra le altre cose, semplificare le normative a favore dell'ambiente, riducendo i margini d’interpretabilità e sostenere quelle imprese (e ne esistono, vedi le buone pratiche emerse nell'ultima inchiesta di Sabrina Giannini) che in autonomia e a proprie spese si stanno già impegnando nel concretizzare una greeneconomy reale e non solo di facciata. 


Alessandro Graziadei


giovedì 29 febbraio 2024

Un camper nei conflitti: centinaia di tibetani arrestati

Un camper nei conflitti è un podcast settimanale realizzato con una collaborazione di Associazione culturale inPrimisAtlante delle guerre e dei conflitti del Mondo e UnimondoCurato da Francesco Zambelli si pone l’idea di raccontare cosa accade nel mondo, con approfondimenti dedicati alle notizie di esteri che spesso sono trascurate nei grandi media internazionali. 


Questa settimana il nostro camper si sposta virtualmente nella provincia cinese sudoccidentale dello Sichuan, dove la polizia la scorsa settimana ha arrestato più di 100 tibetani, tra cui numerosi residenti dei villaggi di Upper Wonto, Shipa e alcuni monaci di almeno due monasteri locali, che protestavano contro la costruzione di una diga che dovrebbe distruggere sei monasteri e costringere al trasferimento i due villaggi. In viaggio con noi Alessandro Graziadei. Poi faremo tappa in Kazakistan e in Sri Lanka.


A seguire, la rubrica di Amedeo Rossi dedicata alla Palestina: Manganelli, censure e gesti estremi.


Ascolta qui il podcast di oggi: https://inprimis.today/notiziari/2024-02-29



mercoledì 28 febbraio 2024

Tre vite: la cultura della donazione del sangue tra i banchi di scuola

450 ml di sangue donato in 15 minuti di tempo è = ad 1 persona che salva 3 vite! E se questa proporzione si imparasse a scuola?


Ogni anno in Italia servono 2,4 milioni di unità di sangue. Sembrano tantissime, ma in realtà, parafrasando la celebre frase pronunciata il 20 luglio del 1969 da Neil Armstrong dopo quel primo passo sulla luna, "One small step for a man, one giant leap for mankind" (Un piccolo passo per l'uomo, un grande passo per l'umanità"), bastano 450 ml di sangue prelevato da un donatorǝ in una sola seduta di 15 minuti per salvare 3 vite. Un grande passo per l'umanità, tre vite salvate, con un piccolo passo  di chi dona gratuitamente del sangue che si riforma naturalmente in sole 36 ore e si conserva per 42 giorni. Un gesto semplice e sicuro che diventa un’occasione per dimostrare la nostra sensibilità e la nostra solidarietà. È questa la proporzione che ci ricorda nella sua homepage la Federazione Italiana Donatori di Sangue (FIDAS), che da più di sessant’anni, con oltre 500 mila donatori e 80 Federate, è al fianco del Sistema Sanitario Nazionale per promuovere il dono volontario, periodico, anonimo e gratuito del sangue e dei suoi emocomponenti. In questo 2024 la FIDAS ha deciso di puntare sui più giovani, con la richiesta fatta martedì 30 gennaio dal Presidente FIDAS Nazionale Giovanni Musso all’onorevole Paola Frassinetti, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione e del Merito, di iniziare ad educare le nuove generazioni alla cultura della donazione del sangue già tra i banchi della scuola primaria e dei successivi cicli scolastici. Una consapevolezza, questa, da costruire anche attraverso i testi scolastici, con semplici ma importanti nozioni spiegate con un linguaggio adeguato ai vari livelli scolastici. “Lo studio di questi argomenti - ha spiegato il Presidente Musso nel corso dell’incontro - potrebbe aiutare a trattare in classe, in maniera originale e coinvolgente, concetti che sono alla base della vita di relazione, come la generosità, l’altruismo, il prendersi cura degli altri e la solidarietà, che sono anche principi fondanti della nostra Costituzione. Un percorso formativo mirato allo sviluppo dell’attenzione e della sensibilità verso i temi sociali comporterebbe un agevole avvio degli studenti al dono del sangue, una volta raggiunta la maggiore età. Senza traumi, ma richiamando con dimestichezza concetti studiati a scuola”.


La volontà di provare a raccontare la cultura del dono del sangue all'interno della scuola italiana era emersa all’indomani dell’annuale momento formativo organizzato a Roma lo scorso novembre dalla FIDAS Nazionale per i volontari delle sue 80 Federate. Dalla tavola rotonda su scuola e volontariato, in cui si era dibattuto sulle migliori pratiche da adottare per coinvolgere i giovani nelle tematiche sociali, era emersa la volontà di aprire un dialogo con il Governo per impostare un percorso virtuoso di buona cittadinanza nelle scuole, coerente con l’insegnamento dell’Educazione Civica. La disponibilità di sangue nel nostro Paese è un patrimonio collettivo a cui ognuno di noi può attingere in caso di necessità e in ogni momento, ma oggi il progressivo invecchiamento della popolazione è direttamente proporzionale a quello dei donatori, al quale però non corrisponde un adeguato ricambio generazionale, visto che il numero dei donatori tra i 18 e i 45 anni scende del 2% l’anno. Questo dato per i pazienti che quotidianamente hanno bisogno di trasfusioni e farmaci, può in prospettiva diventare un serio problema per la salute. Per la FIDAS, “Nonostante questo non intacchi, almeno per ora, l’autosufficienza del sistema sangue dobbiamo rilanciare con forza il messaggio e l’appello a donare come parte delle nostre abitudini. Un gesto civico di solidarietà, volontario, anonimo, responsabile, sostenibile e non remunerato. Questo riguarda anche la raccolta del plasma, ovvero la parte liquida del sangue, risorsa fondamentale per la creazione di farmaci salvavita”.


Negli ultimi anni, i dati raccolti dal Centro Nazionale Sangue evidenziano una costante diminuzione di unità donate e di donatori, in parte dovuto anche al gravoso effetto collaterale della situazione pandemica che ha messo a dura prova l’intero Sistema Sanitario Nazionale. Per il futuro, le prospettive non appaiono di certo migliori, ed è prevedibile che, in mancanza di interventi efficaci, tanto il Sistema sanitario quanto il mondo del volontariato italiano del sangue arrivino a punti critici. Cominciare dalle scuole a spiegare che donare il sangue è un modo per prendersi cura non solo della collettività, ma anche di sé stessi come donatori, con visite di idoneità fisica che permettono di tenere sotto controllo la qualità del sangue e il livello di salute di chi dona, potrebbe aiutare ad invertire questa tendenza. Parlare, quindi, in modo sistematico nella scuola e nei testi scolastici della cultura del dono del sangue assieme a quella della prevenzione, cosa che a lungo termine è un risparmio per tutto il sistema sanitario italiano, potrebbe essere un passo molto importante verso nuove generazioni più solidali e attente ad uno stile di vita sano. Per la FIDAS sarebbe un risultato molto importante perché: “Un‘adeguata sensibilizzazione e formazione fin da piccoli diventa elemento indispensabile per garantire che continuino a essere salvate una media di 1.800 persone al giorno”L'importanza di questo impegno per la cultura della donazione e il pieno sostegno del Sistema Trasfusionale pubblico, basato sui principi del volontariato, quale parte integrante del Servizio Sanitario Nazionale anche mediante la piena attuazione della Legge 219/2005, ha portato la FIDAS e il suo Presidente Giovanni Musso ad incontrare martedì 20 febbraio anche il Presidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana. Un incontro particolarmente soddisfacente -  ha riferito Musso - per l’attenzione ai temi trattati e alle istanze che FIDAS ha portato e intende continuare a portare avanti al fine di assicurare al nostro Paese l’autosufficienza di sangue ed emocomponenti e, di conseguenza, un futuro sereno al Sistema Trasfusionale italiano.


Mantenere questa autosufficienza di sangue ed emocomponenti per la FIDAS è necessario per continuare a garantire le terapie salvavita alle migliaia di pazienti che quotidianamente si sottopongono a trasfusioni o alla somministrazione di farmaci plasmaderivati. Se l'impegno nella scuola è una delle tappe fondamentali di questo percorso volto a favorire quel principio della donazione volontaria, periodica, gratuita, responsabile, anonima ed associata, non può essere il solo strumento da mettere in campo nel prossimo futuro. Come ha ricordato Musso “È necessario intervenire prontamente per invertire l’attuale tendenza, riorganizzando le strutture con mentalità innovativa e con l’ausilio anche di sperimentazioni gestionali che realmente possano trasformare l’attuale assetto e renderlo pronto per le esigenze presenti e future. Per questo dalla FIDAS è stato accolta con favore la risposta del Governo all’appello di tutto il Comitato inter-associativo dei volontari della donazione per rivedere il Decreto del Ministero della Salute n. 156 del 30 agosto 2023, che aveva introdotto la gratuità per l’attività di raccolta sangue ed emocomponenti da parte dei medici specializzandi. Non appena era stato approvato il relativo Regolamento, la preoccupazione da parte di tutto il Sistema sangue era subito emersa perché, non pagando più i medici specializzandi addetti ai prelievi di sangue, metà delle unità di raccolta dei centri trasfusionali pubblici italiani sarebbe entrato in crisi. E con queste l’intero meccanismo di gestione per la donazione di sangue, che avrebbe avuto un inevitabile e drammatico calo. “Le nostre legittime preoccupazioni hanno trovato ascolto - ha dichiarato Musso - i componenti della Commissione Sanità della Camera hanno recepito le difficoltà che si sarebbero generate, da Nord a Sud, per più della metà dei centri di raccolta, spesso convenzionati con le Università. Le Associazioni, che nella prima stesura del Decreto non erano state coinvolte nel percorso legislativo di modifica che introduceva la totale gratuità della prestazione, si sono mobilitate e le loro motivazioni e perplessità rispetto ai possibili danni derivanti dalla modifica introdotta, hanno trovato positiva accoglienza nel legislatore”.


Grazie a FiIDAS e alle altre realtà del Sistema sangue nazionale dal 14 febbraio il Decreto riconosce nuovamente sia a titolo gratuito, sia con contratto libero-professionale, la collaborazione volontaria e occasionale da parte laureati in medicina e chirurgia abilitati nell'attività di raccolta sangue ed emocomponenti. Un contributo fondamentale per continuare a fare della donazione del sangue quell'atto sempre semplice e sicuro che permette anche noi, semplici cittadini, e alle future generazioni, di poter salvare non una, ma tre vite ad ogni donazione. Perché come ricorda anche una delle ultime campagne di sensibilizzazione del Ministero della Salute, chi dona vita, dona sangue.


Alessandro Graziadei

sabato 24 febbraio 2024

In agricoltura la salute è il prezzo da pagare?

Nelle scorse settimane le associazioni che compongono la coalizione Cambiamo Agricoltura, che dal 2017 raccoglie importanti realtà ambientaliste e della società civile italiana per chiedere una riforma della Politica agricola comune (PAC) che tuteli gli agricoltori, i cittadini e l’ambiente, ci ricordava che le proteste degli agricoltori, alcune espressamente contro gli impegni presi in sede europea con la Strategie del Green Deal, la Strategia Farm to Fork e la Strategia Biodiversità 2030“Sono di fatto già state sabotate dalle ultime decisioni delle stesse Istituzioni europee: il voto contrario del Parlamento europeo sul Regolamento SUR per la riduzione dell’uso dei pesticidi, l’eliminazione degli allevamenti bovini dalla normativa europea sulle emissioni industriali, la liberalizzazione dei nuovi OGM, l’indebolimento del Regolamento europeo sul ripristino della natura per le aree agricole e infine la decisione della Commissione europea di rinnovare l’uso del glifosato per altri dieci anni, sono decisioni che hanno ridotto gli obiettivi delle Strategie del Green Deal a mere enunciazioni di principio, senza alcuna concreta attuazione nel settore primario dell’agricoltura e della zootecnia”. Per questo anche l'annuncio di una ulteriore marcia indietro dell’Unione europea sulla regolamentazione dei pesticidi dopo le mobilitazioni che hanno agitato l'Europa e l'Italia in queste settimane è ancora più preoccupante. Come ha ricordato l'Istituto Ramazzini di Bologna, che ha dedicato recentemente un importante studio sui rischi di leucemia connessi al glifosato e che è uno dei centri di ricerca più autorevoli sulle malattie ambientali, potrebbe prendere piede l’idea malsana che le esposizioni a sostanze pericolose siano un necessario fattore per la crescita e per il lavoro. Come nel caso dell'ILVA di Taranto, dove il cortocircuito tra lavoro e salute è drammaticamente evidente, per i ricercatori del Ramazzini “La salute non è mai un prezzo da pagare per la prosperità. I dati dicono esattamente l’opposto. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ci dice che a livello globale ci sono oltre 1 miliardo di lavoratori esposti a sostanze pericolose e che i pesticidi sono nella top 10 delle priorità a livello globale fra le esposizioni pericolose a livello occupazionali”.


Lo scorso novembre i ricercatori del Ramazzini nello studio Global Glyphosate Study GGS avevano dimostrato l’aumento dell’incidenza della leucemia nei ratti esposti a basse dosi di glifosato e di erbicidi a base di glifosato, mentre non sono state mai osservate leucemie nei ratti non esposti. Insieme ad altri 28 partner europei, il Ramazzini si è recentemente occupato anche di analizzare l’impatto dei pesticidi sull’agricoltura e sulla salute umana attraverso lo studio scientifico Sprint, un progetto finanziato dal programma Horizon 2020 dell’Unione europea. Il team di Sprint ha analizzato oltre 200 residui di pesticidi in più di 600 campioni ambientali provenienti da aziende agricole biologiche e convenzionali. Le matrici campionate comprendevano suolo, acqua, sedimenti, colture, aria e polvere delle case degli agricoltori. Lo studio rivela che l’86% dei campioni esaminati contiene residui di pesticidi e il 76% miscele di pesticidi. Il numero totale di pesticidi diversi rilevati nelle varie matrici variava da 76 nell’aria, 78 nelle colture, 99 nei sedimenti, 100 nel suolo e 198 nella polvere degli ambienti interni. I residui di glifosato sono quelli che sono stati rilevati più di frequente, con concentrazioni elevate in tutti i campioni ambientali studiati. Se è vero che la maggior parte di questi pesticidi fa parte dell’elenco approvato dall’Unione, residui di sostanze più o meno recentemente vietate rappresentano circa il 29% delle sostanze identificate. Se i campioni associati alle aziende agricole biologiche, come era prevedibile, hanno mostrato livelli sostanzialmente più bassi di residui di pesticidi, sia in termini di quantità complessiva che di concentrazioni individuali, rispetto alle loro controparti dell’agricoltura convenzionale, i risultati relativi alla polvere in ambienti domestici sono stati invece particolarmente sorprendenti. L’analisi completa, che ha valutato la presenza di 198 residui di pesticidi, ha evidenziato che, indipendentemente dalle pratiche agricole della famiglia, in tutti i 128 campioni di polvere erano presenti miscele di residui di pesticidi.


Secondo Daniele Mandrioli, direttore del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini “Il tema centrale per la salute pubblica non è se una sostanza sia di origine naturale o di sintesi, ma bensì se una sostanza sia pericolosa. Non tutti i pesticidi, ma solo alcuni sono stati evidenziati come pericolosi. Però ignorare i pericoli, siano essi dovuti a sostanze di sintesi come i pesticidi o naturali come l’amianto, può portare a tragiche conseguenze di salute pubblica. Al contrario, strategie di prevenzione che riducano l’esposizione a sostanze pericolose si sono costantemente dimostrate di straordinaria efficacia”. Analogamente per il Wwf “I piani dell’Unione europea per ridurre le emissioni dei gas prodotti dall’agricoltura (che contribuiscono pesantemente al cambiamento climatico) e per dimezzare l’uso e il rischio dei pesticidi e proteggere la nostra salute e gli ecosistemi più sensibili, sono stati sacrificati per dare una risposta facile alle proteste degli agricoltori”. Solo in Italia nel 2021 sono stati venduti oltre 50 milioni di kg di sostanze chimiche per l’agricoltura, e, il nostro Paese si colloca al terzo posto in Europa, dopo Spagna e Francia, per vendita di prodotti fitosanitari. “La proposta di Regolamento per l’utilizzo sostenibile dei fitofarmaci (SUR) era stata presentata il 22 giugno del 2021 dalla Commissione europea e conteneva al suo interno obiettivi di riduzione dell’uso dei pesticidi  legalmente vincolanti per gli Stati membri. Dopo decenni di tentativi falliti di ridurre l’uso di sostanze chimiche di sintesi in agricoltura e dopo le iniziative dei cittadini europei culminate nella raccolta di 1,1 milioni di firme per chiedere una drastica riduzione dell’uso delle sostanze chimiche in agricoltura, questa sarebbe stata la prima proposta concreta che poteva far virare l’agricoltura europea verso una reale maggiore sostenibilità, con ricadute positive sulla salute dei cittadini (ad iniziare da quella degli agricoltori) e la tutela della natura". "Il ritiro della proposta di Regolamento da parte della Commissione europea accoglie così le richieste di alcune delle Associazioni agricole che purtroppo coincidono spesso con quelle e dell’industria dell’agrochimica e sempre meno con quelle dei piccoli e medi produttori” ha dichiarato l'ong.


Anche a livello nazionale, secondo il Wwf, il Governo di Giorgia Meloni e il del suo cognato Ministro all'agricoltura Francesco Lollobrigida, sembrano avere le stesse paure europee, “Nonostante il nostro Paese stia già dimostrando di poter essere un esempio virtuoso in Europa nella riduzione dell’uso dei pesticidi, grazie alle sempre più numerose aziende che scelgono l’agricoltura biologica (abbiamo il 17,4% della superficie agricola utilizzata condotta con metodo biologico contro il 9% della media europea)”. “Rinunciando oggi ad avviare la necessaria trasformazione dei nostri sistemi agro-alimentari, come era bene delineato nelle Strategie del Green Deal, Farm to Fork e Biodiversità 2030, la situazione peggiorerà notevolmente. Rinviare oltre il 2024 l’attuazione concreta di queste strategie per la riduzione delle emissioni dei gas clima alteranti, dell’uso dei pesticidi in agricoltura e rinunciare al ripristino della natura nelle aree agricole è un errore imperdonabile da parte dei decisori politici europei e nazionali che mette a rischio l’ambiente e la salute di tutti” ha concluso Eva Alessi, responsabile sostenibilità di Wwf Italia. Intanto, solo per citare i due esempi più recenti, uno studio internazionale ha appena certificato i livelli allarmanti di pesticidi sulle mele e negli ambienti naturali di tutta la Val Venosta in Trentino-Alto Adige e in USA un'altra ricerca ha provato che l’esposizione ambientale al pesticida Paraquat, tra i più usati negli USA, è direttamente associata all'insorgenza della malattia di Parkinson. Siamo proprio sicuri che in agricoltura la salute sia il prezzo da pagare?


Alessandro Graziadei



sabato 17 febbraio 2024

Quelle leggi sull'esportazione di armi...

 

Singapore nelle scorse settimane ha approvato una serie di emendamenti alle leggi già esistenti per rafforzare ulteriormente i controlli sulle attività che finanziano direttamente o indirettamente la proliferazione e la vendita di armi e gli strumenti finanziari volti a eludere le sanzioni internazionali. Un passo importante per questa città-stato a sud della Malesia, che è oggi forse il più importante centro commerciale e finanziario del Mondo. Le modifiche, infatti, mirano a consentire a Singapore di rispondere ai requisiti aggiornati stabiliti dalla Financial Action Task Force (Fatf-Gafi), un organo di controllo globale sul riciclaggio di denaro e sul finanziamento al terrorismo. Singapore, ricordiamolo, è dal 1992 un membro del Financial Action Task Force  creato nel 1989 in ambito Ocse con lo scopo di promuovere strategie di contrasto del riciclaggio di denaro a livello nazionale e internazionale. Secondo i nuovi standard stabiliti nel 2020, i Paesi che vi aderiscono e le rispettive aziende del settore privato devono valutare e mitigare i rischi di finanziamento della proliferazione di armi legati alle “potenziali violazioni, alla mancata attuazione o all’evasione delle sanzioni finanziarie mirate".


Le attività che possono sostenere direttamente o indirettamente la proliferazione di armi a Singapore hanno spaziato negli anni dal commercio di pietre e metalli preziosi, al prestito di denaro fino alla fornitura di servizi legali. Oltre al settore finanziario, il Gafi ha sottolineato anche l’importante ruolo svolto da altri settori non finanziari nella lotta ai flussi di denaro sporco per la produzione di armi”, ha ricordato al Governo locale Rahayu Mahzam, parlamentare con delega a questo delicato tema nel ministero della Giustizia di Singapore, presentando il disegno di legge. Per questo e per evitare pericolose scappatoie la nuova legge ha aggiornato la definizione di prodotto prezioso, legandola non più solo a determinati metalli o alle pietre, ma anche ad altri elementi che ne influenzano il valore come il marchio e la lavorazione. D'ora in poi, dunque, Singapore considererà prezioso ogni prodotto con un prezzo superiore ai 20mila dollari locali (circa 14.900 dollari USA) e sarà vietato il rilascio di licenze o l'incarico di ruoli dirigenziali in attività di prestito di denaro e di prestito su pegno a persone già condannate per crimini finanziari.


Oltre alla pressione di organismi internazionali come Gafi e Fatf le nuove misure interne decise da Singapore arrivano dopo il clamore suscitato nella locale opinione pubblica dopo l'arresto, lo scorso 15 agosto, di 10 intermediari stranieri sospettati di essere coinvolti in un gigantesco caso di riciclaggio di denaro. Sempre lo scorso anno un trafficante di armi è stato arrestato per non aver dichiarato che stava lasciando Singapore con mezzo milione di dollari. Kyaw Min Oo, era stato arrestato insieme ad altri due connazionali, Wai Sar Tun e Win Myint, dopo che la polizia era stata avvisata che i tre birmani stavano tentando di portare fuori da Singapore oltre 20mila dollari. Tutti e tre sono stati condannati il 26 dicembre 2023 e Kyaw è stato riconosciuto come un trafficante d'armi al soldo dell’attuale regime militare del Myanmar, mentre Win è risultato essere stato direttore di cinque diverse aziende che si occupano di commercio di pezzi di ricambio per elicotteri e aerei, chiamate Asia Aviation Trading, Sky Avia Trading, Heli Asia Trading, Heli White Trading e Sky Union Trading, tutte registrate tra il 2014 e il 2017. Oggi gli Stati hanno la responsabilità primaria dell'applicazione della regolamentazione sulle armi e sul controllo delle attività degli intermediari e dei commercianti di armi che operano dal loro territorio nazionale o sono registrati presso le loro autorità nazionali. Tuttavia, non esiste sempre un accordo comune mondiale su quali tipi di attività costituiscono il commercio di armi, e manca spesso la trasparenza da parte di molti fornitori e destinatari di armi riguardo il valore e il volume delle loro esportazioni e importazioni di armi, il che rende difficile riferire dati accurati a livello globale


Per questo è molto preoccupante il disegno di legge italiano che la Campagna di pressione alle “banche armate, promossa dalle riviste Missione OggiMosaico di Pace e Nigrizia, ha portato la scorsa settimana all'attenzione dell'opinione pubblica italiana e che vorrebbe modificare la legge n. 185 (“Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”), legge che dal 1990 regolamenta le esportazioni italiane di armamenti. Col pretesto di apportare “alcuni aggiornamenti” alla legge per “rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale”, il nuovo Disegno di legge, per la Campagna, “Intende limitare l’applicazione dei divieti sulle esportazioni di armamenti, riducendo al minimo l’informazione al parlamento e alla società civile, e soprattutto, eliminare dalla Relazione governativa annuale tutta la documentazione riguardo alle operazioni svolte dagli istituti di credito nell’import-export di armi e sistemi militari italiani”. Per questo la Campagna ha predisposto sul proprio sito una “Lettera-modello” e ha invitato tutte le parrocchie, le associazioni e i correntisti ad inviarla alla propria banca dandone informazione. La Campagna ha condiviso e rilanciato anche l’allarme diffuso dalla Rete italiana pace e disarmo che ha subito denunciato con preoccupazione l’esito del voto in Commissione Affari esteri e Difesa del Senato e, insieme alle associazioni della Rete, sta predisponendo una forte mobilitazione nazionale per impedire che il commercio italiano di armi torni ad essere oggetto di una pericolosa opacità, che non favorisce certo la promozione della pace e della sicurezza comune, ma piuttosto alimenta guerre e violenze, sostiene le violazioni dei diritti e provoca morti innocenti in tante zone del Mondo.


Alessandro Graziadei


sabato 10 febbraio 2024

Di che colore è l'aria che respiri?

 

"Decresce troppo lentamente l’inquinamento atmosferico nelle città italiane mettendo a rischio la salute dei cittadini che cronicamente sono esposti a concentrazioni inquinanti troppo elevate". Era questa la sintesi del rapporto Mal’aria di città 2023 di Legambiente, l’annuale analisi sullo stato dell’inquinamento atmosferico delle città italiane capoluogo di provincia che, a partire dai dati ufficiali delle centraline di monitoraggio installate dalle autorità competenti nei diversi comuni, aveva fornito un quadro quanto più possibile completo su quello che era stato l’inquinamento atmosferico dell’anno del 2022. Quell'anno aveva mostrato delle criticità acute per alcune città, rappresentate dai giorni di sforamento del limite giornaliero per il PM10, stabilito in 35 giorni in un anno, in cui si è registrata una concentrazione media giornaliera di polveri superiore a 50 microgrammi/metro cubo e criticità meno evidenti, ma da attenzionare seriamente, per ciò che concerne la media annuale degli inquinanti tipici dell’inquinamento atmosferico quali le polveri sottili (PM10 e PM2.5) e il biossido di Azoto (NO2). Poco è cambiato nel corso del 2023 e adesso lo studio “Urgent Call to Ensure Clean Air For All in Europe, Fight Health Inequalities and Oppose Delays in Action”, pubblicato il primo di febbraio sull’International Journal of Public Health da un team internazionale di ricercatori (fra i quali l’italiano Francesco Forastiere dell’Imperial College Londonmostra le gravi conseguenze sulla salute delle persone (in particolare in l'Italia) che avrebbe il rinvio dei nuovi obiettivi di qualità dell’aria dell’Unione europea attualmente in discussione.


Considerando che gli attuali limiti agli inquinanti dell’aria come il particolato (PM2,5) e il biossido di azoto (NO2) sono lontani da quelli indicati dalle linee guida dell’OMS, la Commissione europea ha impegnato l’Unione a modificare l’obsoleta Direttiva sulla qualità dell’aria del 2008, strumento giuridico cruciale nella regolamentazione dell’inquinamento atmosferico negli Stati membri dell’UE, sottolineando “La necessità che la legislazione dell’UE si allinei agli studi scientifici e alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)”. La Direttiva, infatti, prevede valori limite di qualità dell’aria per PM2,5 e NO2 da raggiungere entro il 2030 addirittura doppi rispetto a quelli indicati dalle linee guida dell’OMS. Nel settembre 2023, il Parlamento europeo ha votato per l’allineamento alle linee guida dell’OMS entro il 2035, ma il Consiglio europeo (formato dai rappresentanti degli Stati Membri) sta ostacolando tale indicazione proponendo deroghe ampie e poco chiare che consentirebbero ad alcuni degli Stati membri di ritardare il raggiungimento dei limiti addirittura al 2040: questo porterebbe ad una Europa a più velocità, con cittadini destinati a vedere compromesso il loro diritto alla salute. 


Lo studio dell'International Journal of Public Health è stato rilanciato in Italia dal Comitato Torino Respira e da Cittadini per l’aria che evidenziano come nella ricerca sia stimata “In quasi 330.000 le vite umane che sarebbero sacrificate in Europa dal rinvio di 10 anni dell’adempimento ai nuovi limiti sulla qualità dell’aria" e "Dettaglia il costo umano per ciascun Paese Ue nel quale le concentrazioni medie di PM 2.5 oggi superano i 10 μg/m3: un terzo circa della mortalità aggiuntiva si verificherebbe solo in Italia”. Le due organizzazioni hanno ricordato che “In questa situazione, l’Italia ha sin dall’inizio osteggiato il testo della Direttiva formulato dal Parlamento, prediligendo, ancora una volta, compromessi politici che ostacolano la soluzione del grave problema dell’inquinamento dell’aria nel nostro Paese, mettendo a rischio la salute pubblica e l’ambiente: il rinvio al 2040 comporterebbe infatti la morte prematura di oltre 100.000 persone, come se una città come Piacenza o Novara o Ancona sparisse”. Attualmente il Governo italiano, e in special modo le Regioni della pianura padana, stanno assecondando politiche che mettono a rischio in particolare le persone più vulnerabili (malati, bambini e anziani). Se si considera che, già solo dall’inizio del 2024, in diverse città italiane e per molti giorni (prime fra tutte Milano e Torino) sono stati superati i limiti giornalieri indicati dall’OMS, è evidente come la tutela della salute sia messa a repentaglio e gli effetti di una proroga al 2040 dell’attuazione dei limiti dell'inquinamento dell'aria avrebbe conseguenze tragichePer il Comitato Torino Respira e Cittadini per l’aria è fondamentale “Che la posizione italiana nell’ambito dell’attuale negoziazione europea sia ridefinita garantendo il diritto costituzionalmente sancito alla tutela della salute umana”.


Secondo Roberto Mezzalama, presidente del Comitato Torino Respira “È molto grave che i presidenti delle regioni del nord Italia e i rappresentanti del Governo italiano abbiano chiesto il rinvio del raggiungimento dei limiti della nuova direttiva al 2040. [...] L’Italia sarà il Paese più colpito da questo ritardo e si pone al livello dei paesi dell’Est Europa che hanno sicuramente meno mezzi a disposizione per affrontare il problema”. Ad oggi l'assenza di piogge e l’andamento progressivo dell’inquinamento nella pianura padana richiederebbe ben altre decisioni come dimostrano anche le decisioni dei giudici torinesi di andare avanti con i processi per inquinamento ambientale a carico degli amministratori locali. Ogni proroga significa aumentare i rischi per la salute pubblica, l'aumento delle malattie, delle morti premature e dei costi sanitari per l’assistenza. Per questo secondo Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’aria, “L’attuale posizione dell’Italia è irresponsabile non solo per la richiesta di un rinvio che condanna a morte oltre centomila cittadini italiani ma, soprattutto, in quanto il rinvio richiesto – piegando per l’ennesima volta alla volontà politica il rispetto dell’evidenza scientifica e il diritto alla salute – ha il mero scopo di legittimare l’assoluta inazione che ormai da decenni caratterizza le politiche dell’aria in Italia dove, non solo non si fanno le cose che servono, ma assistiamo quotidianamente alla messa in campo di azioni gravemente controproducenti per sostenere interessi elettorali e/o piccole e grandi lobby a spese della salute dei cittadini”. 


Anche le implicazioni finanziarie sono rilevanti, poiché dobbiamo tenere presente che il costo dell’inazione è molto più elevato del costo dell’azione per ridurre l’inquinamento atmosferico. Per questo rinviare di 10 anni, dal 2030 al 2040, il raggiungimento dei nuovi standard di qualità dell’aria, come richiesto da alcuni paesi chiave come l'Italia in seno al Consiglio europeo, è inaccettabile.


Alessandro Graziadei