venerdì 31 dicembre 2021

Babbo Natale ha portato (ancora) carbone!

 

Nelle scorse settimane il freddo, l'aumento del prezzo del gas e lo spegnimento di alcuni reattori atomici in Francia, hanno spinto il Governo, per tenere a freno i rincari delle bollette di un Belpaese privo di autosufficienza energetica come è il nostro, a chiedere alla società A2A la riapertura urgente della centrale di Monfalcone, in provincia di Gorizia e di quella Enel di La Spezia, entrambe alimentate a carbone (in procinto di avviare una riconversione a metano), ma adesso indispensabili per garantire la continuità del servizio e della sicurezza del sistema elettrico nazionale. Un altro contributo alla "febbre" del Mondo che continua a salire. In particolare, secondo il rapporto “State of Climate in Asia” del World Metereological Organization (Wmo) delle Nazioni Unitein Asia il 2020 è stato un anno particolarmente caldo: la temperatura media è stata di 1,39°C superiore a quella del periodo 1981-2010. Significa che, in base ai dati che abbiamo a disposizione, il primo anno di pandemia è stato il più caldo in assoluto, e nei prossimi mesi sapremo se anche il 2021 avrà segnato un nuovo drammatico e pericoloso record. I dati dicono che le conseguenze dei cambiamenti climatici in Asia sono catastrofiche: solo le inondazioni e le tempeste nel 2020 hanno colpito 50 milioni di persone e ne hanno uccise almeno 5mila. A preoccupare è anche lo scioglimento dei ghiacciai montani, che sono fondamentali per garantire la disponibilità di risorse idriche in tempi di siccità. Se, come dicono le ultime stime, i ghiacciai della regione (tra cui l’Himalaya) dovessero perdere fino al 40% della loro massa entro il 2050, a esserne colpiti sarebbero almeno 750 milioni di persone. 


Proprio a causa del mutamento climatico il continente asiatico si sta allontanando dal raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibili dell’Onu: la sicurezza alimentare è diminuita, e nel 2020 la malnutrizione ha afflitto 48,8 milioni di persone nel sud-est asiatico, 35,7 milioni in Asia meridionale e 42,3 milioni in Asia occidentaletanto che oggi la metà della popolazione denutrita di tutto il mondo si trova in Asia, con un incremento del 20% nell'Asia del Sud. Secondo il rapporto del Wmo l’aumento delle temperature favorisce anche il proliferare delle malattie tanto che in alcune regioni c'è stata una maggiore incidenza delle malattie diarroiche e di focolai di dengue. Le perdite economiche per il clima, che rallentano lo sviluppo delle nazioni asiatiche, si calcolano nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari: 205 miliardi di euro in Cina, 75 miliardi in India e 71,5 miliardi in Giappone. Solo le inondazioni, per esempio, sono costate in India 22,6 miliardi e quasi 20 miliardi di euro in Cina, per questo non stupisce che i profughi climatici in Asia siano già una consistente realtà: Cina, India e Bangladesh hanno registrato ciascuno tra i 4 e i 5 milioni di spostamenti di persone per ragioni climatiche. Come in Italia, anche qui bisognerebbe correre ai ripari e invece, secondo uno studio pubblicato questo mese dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) l’energia elettrica generata da centrali a carbone in Asia ha raggiunto quest'anno il suo record storico, con India e Cina che coprono due terzi della domanda mondiale di carbone e sono candidati a mantenere questi standard almeno per i prossimi due anni


I dati mondiali, soprattutto quelli cinesi e indiani, mettono in dubbio gli impegni assunti dai due Governi durante la recente Cop26 sulla lotta ai cambiamenti climatici, tanto che Dheli ha promesso di arrivare a emissioni nocive zero entro il 2070 e Pechino entro il 2060: due obiettivi già insufficienti, che appaiono irraggiungibili per gli attuali livelli di consumo di carbone. Proprio alla Cop26 di quest'anno anno, tra i temi che più hanno fatto discutere, c’è stata la volontà dell’India di non rinunciare al carbone nella produzione energetica provocando la scomparsa tra gli impegni sottoscritti, del termine “uscita” (phase out) sostituito da una molto più prudente “diminuzione” (phase down) per indicare il suo disincentivo. Cina e Russia, in barba al concetto di “diminuzione” sono pronte dal 2022 a sviluppare insieme depositi di carbone in territorio russo, gestendo in modo congiunto il deposito di Zashulanskoe, nella regione siberiana del Trans-Baikal. Se Pechino ha bisogno della materia prima per alimentare le proprie centrali elettriche, dopo anni di stagnazione economica, aggravata dalla persistente emergenza Covid, Mosca necessita invece di fare cassa con l’export delle sue risorse minerarie e naturali. L’accordo di sfruttamento con la Russia e i 27,5 miliardi di euro in crediti che il governo cinese ha promesso per favorire l’uso del carbone, confermano i dubbi sul reale impegno di Pechino nella lotta ai cambiamenti climatici. 


Come se non bastasse Vladimir Putin e Xi Jinping stanno adesso considerano anche la possibilità di cooperare per lo sfruttamento dei giacimenti russi di petrolio e gas, sia sulla terraferma sia in mare, attraverso una “cooperazione pratica” che sembra legare sempre più sia economicamente che politicamente i due Paesi. Del resto le esportazioni russe di gas in Cina dal gasdotto siberiano sono già passate dai 4,1 miliardi di metri cubi del 2020 ai 12 miliardi di quest’anno e in questo ormai concluso 2021 sono raddoppiate anche le forniture elettriche, che su richiesta di Pechino lo scorso mese sono arrivate a coprire 555 milioni di kilowatt-ora. Babbo Natale ha così portato anche quest'anno del carbone, ma nessuno pare dispiacersi o preoccuparsi! troppo!


Alessandro Graziadei

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