sabato 7 settembre 2013

Libia: un processo di democratizzazione?

Mentre oggi si celebra la veglia di preghiera e digiuno convocata da Papa Francesco, per scongiurare l’estensione della guerra in Medio Oriente, i cacciabombardieri scaldano i motori e le navi posizionano i missili per un imminente quanto pericoloso attacco alla Siria che rischia di acuire i sintomi di una nuova guerra fredda tra oriente e occidente esplosa alla vigilia di un G20 tra i più difficili degli ultimi anni, proprio perché ospitato in questi giorni da quella Russia che è il più fedele ed interessato alleato del regime di Bashir Al Assad (il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che non intende avere colloqui diretti con il presidente Usa Barack Obama). Ma perché alla guerra non si aggiunga altra guerra e per riflettere sui suoi nefasti esiti forse è bene ricordarci come sta procedendo l’ultimo lascito della “diplomazia bellica”: la Libia.
Dopo una lunga e difficile pacificazione non ancora terminata, nonostante le armi siano state sulla carta deposte a fine 2011, da mesi il Consiglio Nazionale di Transizione libico è impegnato in un delicato processo di democratizzazione tutt’altro che scontato. Non a caso in seguito alle numerose manifestazioni berbere dello scorso mese di agosto, l’Associazione per i Popoli Minacciati (Apm) ha ravvisato il pericolo che la Libia cada in una “guerra alla minoranza” permanente, non solo contro i migranti sub-sahariani incarcerati per periodi indefiniti solo perché accusati di essere i “mercenari stranieri di Gheddafi” (come a più riprese denunciato da Amnesty International), ma anche verso i molti popoli che compongono il caleidoscopio culturale libico.
“Di fatto lo scorso 16 luglio il Congresso Nazionale Libico ha emanato una legge che concede a Berberi (Masiri), Tuareg e Toubou solamente due mandati per gruppo etnico all’interno dell’assemblea costituente - ha spiegato l’Apm -. Oltre ai complessivamente sei mandati riservati ai rappresentanti delle minoranze, il Congresso libico ha concesso solo sei mandati anche alle rappresentanti delle donne, nonostante queste costituiscano il 49% della popolazione”. Alle proteste del Supremo Consiglio dei Masiri, del Supremo Consiglio dei Tuareg e dell’Assemblea Nazionale dei Toubou si sono quindi aggiunte in questi mesi le proteste delle associazioni e organizzazioni femminili del paese. Gli scioperi indetti già nel 2012 da Tuareg e Toubou avevano cominciato col chiedere un miglioramento delle condizioni di lavoro nell’industria petrolifera e avevano bloccato per diversi giorni la produzione di petrolio nel sud della Libia. Ogni giorno di sciopero comporta per la Libia una perdita di entrate fino a 50 milioni di dollari USA con ricadute negative anche sulle risorse energetiche dei paesi europei, che in larga parte importano petrolio dal paese nordafricano e che quindi dovrebbero sostenere in ogni modo l’avvio di un vero processo democratico in Libia, soprattutto adesso che la protesta si sta estendendo dai diritti economici, a quelli sociali e culturali.
Secondo l’Apm, “in futuro il Paese potrà superare in modo credibile la politica di forzata arabizzazione imposta dall’ex dittatore Gheddafi solo concedendo alle minoranze non arabe dei Berberi, Tuareg e Toubou più diritti e un’adeguata partecipazione alla vita politica della nuova Libia”. Il basso numero di mandati di rappresentanza concesso dal Parlamento libico alle diverse anime libiche per l’Assemblea costituente, infatti, rischia di esasperare ancora di più le minoranze del Paese ed è alla base dei malumori che hanno portato alla manifestazione del 13 agosto, durante la quale qualche centinaio di manifestanti ha preso d’assalto e devastato il Parlamento di Tripoli. Secondo le testimonianze di alcuni deputati raccolti dalla France prese “I berberi che manifestavano davanti alla sede del Congresso generale nazionale hanno fatto irruzione nella sala delle decisioni hanno saccheggiato i mobili e hanno gettato dei documenti nel momento in cui il Presidente e gli altri membri del Congresso stavano incontrando i loro delegati”. Alcuni manifestanti hanno anche “minacciato il boicottaggio delle votazioni per l’Assemblea costituente, nuovi scioperi nell’industria petrolifera e se necessario anche l’uso delle armi” qualora nella nuova Costituzione non vengano riconosciuti “i loro diritti culturali, etnici oltre che la loro lingua”.
Ma per l’Apm le difficoltà incontrate dalle minoranze libiche non saranno facili da superare. Un esempio è la discriminazione che continuano a subire i 35.000 profughi Tawergha che nell'agosto 2011 durante la rivolta libica furono costretti a scappare dalla loro città d'origine per le gravi violenze a sfondo razziale delle milizie anti-Gheddafi. “Alla caduta del regime di Gheddafi, gli abitanti di Tawergha, originari dell’Africa nera, sono stati in toto accusati dalle milizie di aver sostenuto il regime di Gheddafi. I Tawerghani, come tutta la popolazione nera della Libia, sono stati vittime di una vera e propria caccia all’uomo. Tuttora non si sa quante persone siano state uccise in questo modo, e circa 1.300 abitanti di Tawergha sono stati deportati dalle milizie” ha spiegato l’Apm. Oggi i crimini contro l'umanità commessi a Tawergha costituiscono uno dei capitoli più bui della guerra in Libia.
Ed ora toccherà alla Siria? “Possibile che non si impari nulla dalla storia? Come non vedere che il rituale distruttivo che si sta riproponendo? - ha detto Michele Nardelli presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani - Le primavere nonviolente hanno perso, fors’anche perché le abbiamo lasciate sole. L’intervento armato occidentale ora avrebbe l'unico effetto di rafforzare i militarismi e una dialettica schiacciata fra due fondamentalismi, quello nazionalista e quello jihadista”. Per l’Europa potrebbe aprirsi invece la possibilità di giocare un'altra partita, “favorendo l’interlocuzione con quella vasta area culturale araba che delle parole libertà, democrazia e dignità aveva fatto il proprio simbolo. Favorendo quella rinascita araba di cui aveva parlato il leader della primavera di Beirut Samir Kassir, prima che un attentato terrorista lo uccidesse nel 2005. Sosteneva la necessità che gli arabi, eredi di una grande civiltà che guardava al futuro, si liberassero dalla propria infelicità per l’essere stati e il non essere più, abbandonando il miraggio di un passato
ineguagliabile e guardando finalmente in faccia la loro vera storia. L’età dell'oro della civiltà araba era fatta di sincretismi. Che oggi si chiamano interdipendenze”. Dalla scelta dell’Occidente di accompagnare il cammino democratico e mediare tra queste interdipendenze o far piuttosto parlare le armi dipende oggi l’incerto futuro libico almeno quanto quello siriano. Anche per questo Amnesty ha lanciato un appello per ricordare ai potenti della Terra che “alleviare immediatamente la sofferenza provocata a milioni di siriani dal conflitto armato in corso dovrebbe essere un'alta priorità per i leader mondiali presenti al vertice del G20 di San Pietroburgo”, magari evitando di trasformare la Siria in una nuova occasione per sperimentare la "soluzione libica".
Alessandro Graziadei

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