Rush, corsa. E’ la definizione data da Oxfam, una delle più autorevoli ong inglesi. Come scrive la collega Citterio la gara all’ accaparramento di terre per la produzione di biocarburanti è diventata febbricitante e confusa, tra aziende, faccendieri, agenzie d’intermediazione, multinazionali del diamante ed anche chi prova a ricavarci qualcosa di sostenibile. Negli ultimi anni la produzione mondiale di biocombustibili è in continua e costante crescita, ma i paesi dell'Unione europea dovranno ridimensionare i loro ambiziosi obiettivi d’utilizzo dell’energia verde perchè il rischio è quello di far precipitare nella miseria altri stati africani. La denuncia arriva dalla ong Friends of the Earth che chiede investimenti reali per produrre cibo per stomaci e non combustibili per serbatoi. Nella relazione, intitolata Africa up for Grabs, si parla di un vero e proprio furto di terreni destinati alle coltivazioni alimentari, sottratti, spesso illecitamente, dai produttori europei per piantare colture destinate alla produzione di biocarburanti.
Nell'intento di incrementare il biofuel in Europa, la Commissione europea ha pubblicato una "strategia" in favore del settore. Il documento, che si basa sul piano d'azione sulla biomassa, evidenzia tre obiettivi principali: promuovere i biocarburanti nell'UE e nei paesi in via di sviluppo; prepararsi all'impiego su larga scala dei biocarburanti ed infine sostenere i paesi in via di sviluppo dove la produzione di biocarburanti potrebbe contribuire a stimolare una crescita economica sostenibile. Per Bruxelles quella dei biofuels è quindi una strada segnata che prevede entro il 2020 un utilizzo di carburanti verdi pari al 10% del combustibile totale impiegato nei trasporti. Ottimi gli intenti ma delicate le modalità e le conseguenze per un traguardo dall’impatto potenzialmente disastroso. “Le comunità locali affrontano la fame e una crescente insicurezza alimentare per permettere agli europei di riempire i serbatoi delle proprie automobili – spiega Adrian Bebb, responsabile delle campagne cibo e agricoltura di Friends of the Earth Europe –. Per questo l’UE deve abbandonare al più presto questa politica per investire, al contrario, nel rispetto dell’ambiente e nella riduzione dell’energia impiegata”.
Quello lanciato in questi giorni da Friends of the Earth sul “pericolo verde” è, infatti, un allarme inequivocabile che chiama in causa in prima persona molte multinazionali straniere (tra cui le italiane Agroils, Aviam ed Eni) che hanno acquisito terra africana per 5 milioni di ettari con l’obiettivo di convertirne le coltivazioni: dai prodotti alimentari ai biocarburanti. La conseguenza principale di questa invasione agricola, attuata senza consultare adeguatamente le comunità locali, aggrava la già drammatica crisi negli approvvigionamenti di risorse alimentari nei paesi in via di sviluppo. Il risultato è la fame. Ma le aziende europee sotto accusa, imputate di sottrarre terreno fertile alle colture alimentari, non ci stanno e si difendono affermando che i terreni destinati alla coltivazione di risorse primarie per i biocarburanti in realtà sono quelli non adatti alle colture alimentari.
Intanto nel continente africano c’è già chi comincia a prendere le dovute cautele per commisurarsi con l’arrivo degli investitori stranieri nel settore dei biocarburanti. È il caso degli agricoltori della Tanzania, i quali hanno organizzato un corso destinato ai produttori locali su come investire in carburante verde. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal rappresentante della Rete contadina per lo sviluppo e l’innovazione agricola (Mviwata), l’iniziativa è nata in risposta all’operato del governo, che avrebbe adottato una strategia che penalizza le fattorie. Ma la produzione di biocarburanti – in questo caso, di etanolo ottenuto a partire dal mais, dalla canna da zucchero o dal sorgo – richiede risorse e terreni estesi: condizioni che i contadini della Tanzania, abituati a lavorare su piccola scala, non sono in grado di sostenere.
Anche gli stessi governi africani stanno investendo nel campo della ricerca e dello sviluppo dei biocarburanti. Tra essi, spicca quello del Sudafrica, la Nigeria ed il Kenya. Contro questo innamoramento il sociologo svizzero Jean Ziegler, già relatore speciale delle Nazioni Unite per l’alimentazione, ha puntato il dito contro i paesi occidentali auspicando che la produzione di biocombustibili venga seriamente regolata e monitorata dalle Organizzazioni Internazionali.
Alessandro Graziadei
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