sabato 26 ottobre 2013

Brasile: croce o delizia dello sviluppo?


Brasile: croce o delizia dello sviluppo? Le politiche dei governi guidate negli ultimi 10 anni dal Partido dos Trabalhadores, con Luiz Inácio Lula da Silva prima e Dilma Russeff poi, hanno migliorato le condizioni di vita e la possibilità di accedere all’università delle fasce lavoratrici più povere della popolazione brasiliana. Nonostante questo dal 6 giugno le strade di tutto il Brasile hanno cominciato a essere occupate dai movimenti sociali che chiedono a gran voce una nuova cittadinanza. Come mai? L’occasione per leggere meglio questo nuovo fermento brasiliano è la presenza in Italia di Gizele Martins, 28 anni, attivista e giornalista del giornale O Cidadão, che da 15 anni è il principale veicolo di comunicazione comunitaria del Complexo das Favelas da Maré di Rio, intervenuta a Trento lo scorso 19 ottobre durante il seminario “Brasile tra crisi di rappresentanza politica, movimenti di piazza ed equità sociale”, organizzato dall’associazione Tremembè assieme ad una rete di altre 23 associazioni che a vario titolo si interessano di Brasile.
“Il gigante si è risvegliato” o meglio “non ha mai dormito” ha spiegato la Martins. Riutilizzando, forse non proprio felicemente, un vecchio motto della dittatura militare, “ogni settimana da cinque mesi a questa parte ci sono puntualmente cortei che attraversano le vie delle principali città brasiliane e le rivendicazioni, disperse con la violenza, non si fermano più: tariffe dei trasporti pubblici, qualità della scuola pubblica, miglioramenti salariali degli insegnanti, sgomberi forzati delle favelas” e le relative "violazioni dei diritti umani legate ai 2 mega eventi previsti nel 2014, i campionati mondiali di calcio e le Olimpiadi". Si è così partiti lo scorso giugno da una serie di manifestazioni nazionaliste, sostenute e finanziate dalla destra brasiliana, che hanno ben presto lasciato spazio al malcontento di una società civile che rivendica un altro mondo possibile. “Oggi si assiste ad un risveglio delle piazze contro una politica che sembra più interessata all’assistenzialismo che alle vere riforme e non pensiamo questa sia la via migliore per cambiare il Pese” ha precisato la Martins.
Certo gli interventi statali come le borse di studio per le famiglie bisognose hanno permesso in questi anni a neri, indios e favelandos (tra i quali la stessa Gizele Martins) di studiare nelle università, tuttavia le piazze sembrano non “accontentarsi” chiedendo diritti uguali per tutti in più campi: studio, sanità, abitazioni… Attualmente il sistema educativo non è ancora all’altezza delle ambiziose mete che il Brasile si sta ponendo e i professori sono in sciopero da mesi: chiedono salari migliori, mense degne e la possibilità di disporre di scuole e materiali didattici che permettano di affrontare le attuali sfide educative. Per quanto riguarda la sanità pubblica la situazione è per la Martins ancora più critica. “Passi avanti sono stati fatti nella lotta contro il cancro e nel sistema di vaccinazioni oggi più capillare, ma in generale lo stato si è ritirato da questo settore e milioni di favelandos sono consegnati nelle mani di organizzazioni di volontariato”. Nota ancor più dolente è la casa. Rio e la favela dove è nata e cresciuta la Martins sono un caso emblematico. Qui si vede all’opera “una politica fatta dall’alto al basso, razzista e militarizzata”, che in nome dello sviluppo (come sta succedendo a Belo Monte con la costruzione di una diga che dovrebbe contribuire alla sempre maggiore richiesta di energia) “ha sgomberato molte persone in vista della riqualificazione urbanistica prevista per le Olimpiadi, ma senza un piano strategico preciso di reinsediamento, creando un problema sociale che solo a Rio oggi coinvolge quasi 100.000 favelandos”.
Le favelas che oggi vedono già la presenza pervasiva della Upp la Unidade da Policia Pacificadora (Unità di Polizia Pacificatrice) subiscono la cosiddetta “rimozione bianca”, vengono sgomberate e occupate non solo dalla polizia militare, ma anche da varie imprese che fanno lievitare il valore commerciale e immobiliare di quei terreni. Quando lo sgombero non è “diretto” è così “indiretto”. Le bollette della luce e dell’acqua da abusive vengono regolarizzate, ma ciò senza creare le condizioni per far sì che le famiglie possano affrontare tali spese. “Con tassi di disoccupazione altissimi, gli abitanti delle favelas sono costretti a lasciare le loro abitazioni e a cercare uno spazio lontano dal centro città. Analogamente il piccolo commercio locale, che prima si reggeva su un sistema collaudato e permetteva il sostentamento delle famiglie, comincia a perdere forza, in quanto i piccoli commercianti sono obbligati ad aumentare i prezzi dei prodotti” ha aggiunto la Martins.
Intanto la polizia fa il bello e il cattivo tempo e le richieste legittime di questi sgomberati si infrangono contro una repressione violenta che ha fatto già decine di morti e, solo nella scorsa settimana, 250 arrestati”, mentre nella zona sud di Rio (area nella quale si trovano i quartieri più ricchi della città) la presenza della Upp cerca già di mostrare una Rio sicura pronta a ricevere i turisti. “Proprio nella favela Maré - ha raccontato la Martins - localizzata nella zona Nord della città, sempre in giugno, gli abitanti sono scesi in strada, ma non gli è stato concesso di manifestare e più di dieci persone sono state assassinate dalla polizia militare. Il diritto di manifestare è stato messo a tacere attraverso una vera e propria strage. Nello stesso momento in cui avveniva la strage della Maré, un abitante della favela della Rocinha è sparito, il suo nome è Amarildo. Non è stato più ritrovato dopo che si era recato alla unità della Upp della Rocinha per una denuncia, da lì non è uscito vivo. Fino ad oggi il suo corpo non è stato ritrovato”. Ora nelle manifestazioni che riempiono le strade di Rio il nome di Amarildo e della strage della Maré riecheggiano negli slogan e nelle rivendicazioni, aprendo dibattiti e discussioni su ciò che è oggi realmente la sicurezza pubblica in Brasile.
Quando le favelas di Rio sono state attaccate dall’esercito e sgomberate, spesso con un preavviso di pochi giorni, in vista di Mondiali e di Olimpiadi, a scendere in strada affianco alle comunità locali di favelados c’era anche la classe media. “A Rio il tema dei diritti comincia a mescolarsi. Nelle proteste dei professori che richiedono miglioramenti salariali, per esempio, gli abitanti delle favelas cominciano a partecipare collocando nelle piattaforme di lotta questioni come la smilitarizzazione delle favelas, il razzismo, il machismo e la comunicazione comunitaria”. Eppure per la Martins oggi “nessuno dei partiti brasiliani sembra riuscire a rappresentare e farsi portatore dei cambiamenti radicali che chiediamo da mesi e che per realizzarsi dovrebbero mettere in discussione un sistema capitalistico, che per sopravvivere ha bisogno proprio di quelle differenze sociali che noi cerchiamo di superare in nome dell’equità”. Un tema di drammatica attualità, quello della rappresentanza e della repressione, che va ben oltre i confini brasiliani e che dalle piazze chiede ai governi di tutto il mondo “di non essere più considerati marginali, ne repressi, ma ascoltati”.
Forse la domanda che il Brasile ci pone oggi non è solo quali sono gli strumenti per tutelare i diritti dei più deboli, ma se è possibile concepire uno sviluppo capace di tutelare anche le persone? Mentre c’è chi cerca un difficile equilibrio tra queste differenti istanze, non sono poche le voci che richiamano ad una democrazia che non riguardi solo elezioni multi-partitiche ogni quattro anni, ma anche partecipazione, trasparenza e un dialogo continuo all’interno di una sempre più urgente e sensata richiesta di decrescita economica. Possiamo chiederlo al Brasile? Forse no, ma possiamo iniziare da noi.
Alessandro Graziadei

Nessun commento:

Posta un commento