sabato 24 gennaio 2015

Italia: cresce il business dell’agromafia

L’Italia è il Paese della buona tavola e di prodotti agroalimentari di qualità unici al mondo, un fiore all’occhiello del “Made in Italy” che accende l’appetito anche delle mafie. Così in controtendenza alla fase di recessione dell’economia del Belpaese cresce il business dell’agromafia, che con un aumento del 10 per cento in un anno raggiunge i 15,4 miliardi di euro di fatturato nel 2014, 7 dei quali provenienti dalla sola produzione agricola. Un campanello d’allarme soprattutto in vista dell’Expo 2015 a Milano, che rischia di far spacciare per eccellenze italiane prodotti falsificati per un valore che potrebbe superare i 60 miliardi di euro. È quanto emerge dal terzo Rapporto annuale sulle Agromafie, presentato il 15 gennaio scorso a Roma e realizzato dall’Eurispes, in collaborazione con la Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, la Fondazione voluta e costituita da Coldiretti con l’obiettivo di creare un sistema coordinato e capillare di controlli idonei a smascherare i comportamenti che si pongono in contrasto con la legalità grazie alla collaborazione tra Magistratura, Forze dell’ordine e associazioni di prevenzione e contrasto all’attivismo agromafioso.

Il rapporto fa i conti in tasca al fenomeno dell’infiltrazione criminale nell’acquisto di terreni, coltivazione di materie prime, trasformazione, falsificazione o imitazione di prodotti italiani all’estero e distribuzione del cibo, tutti fenomeni che impoveriscono il Paese contribuendo ad affossare l’economia sana. Il fenomeno delle “agromafie” investe ambiti complessi e articolati dove il sistema mafioso originario delle mafie del latifondo, dei gabellieri e dell’abigeato si è da tempo rigenerato in forme di vera e propria criminalità economica, ad opera di ben strutturati gruppi di interesse con ramificazioni diffuse anche sul piano internazionale. Secondo l’Eurispesla Mafia, la Camorra, Cosa Nostra e l‘Ndrangheta ancora una volta sono state capaci di anticipare i tempi e mettere le mani su un business ormai ampiamente partecipato dal potere criminale, esercitato in forme raffinate attraverso la finanza, gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica”.

Il settore più appetibile di questo business pare essere la ristorazione. Per il Rapporto “sono almeno 5.000 i ristoranti in Italia nelle mani della criminalità organizzata”. In questo modo le organizzazioni criminali riescono a riciclare i cospicui proventi di traffici illeciti, stupefacenti, racket e usura, rafforzano il controllo sul territorio e diventando soggetti economici importanti. Ma i capitali accumulati sul territorio dagli agromafiosi attraverso le mille forme di sfruttamento e di illegalità trovano sbocchi attraverso prestanome e intermediari  compiacenti, anche in imprese, alberghi, grossisti e attività commerciali che si concentrano soprattutto nel settore della distribuzione della filiera agroalimentare,  creando, di fatto, un “circuito vizioso: produco, trasporto, distribuisco, vendo, realizzando appieno lo slogan dal produttore al consumatore” ha spiegato il dettagliato Rapporto. Ma il guaio è che oltre a conquistare spazi nella legalità, i proventi delle attività alla luce del sole vanno ad alimentare il malafare. Si chiama money dirtying, procedura assolutamente speculare al riciclaggio: i capitali puliti vengono indirizzati verso l’economia sporca. Il Rapporto parla di un miliardo e mezzo di euro che transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale: si parla di 120 milioni di euro al mese e 4 milioni di euro al giorno.  

Come mai? “L’incremento del malaffare agroalimentare - ha sottolineato Coldiretti - è stato determinato da diversi fattori tra i quali questi alcuni non prevedibili, come quelli climatici, che hanno colpito pesantemente la produzione, non più in grado di soddisfare la domanda, aprendo le porte a fenomeni di ulteriore falsificazione e sfruttamento illegale dei nostri brand; altri, dovuti alle restrizioni nell’erogazione del credito alle imprese che hanno portato o alla chiusura di numerosissime aziende o alla necessità per molti imprenditori di approvvigionarsi finanziariamente mediante il ricorso ad operatori non istituzionali”. Che fare a questo punto? Gian Carlo Caselli, presidente dell’Osservatorio, da ex procuratore di Torino e Palermo, nel suo intervento alla presentazione del Rapporto, ha richiamato più volte il tema della legalità, che porta “sviluppo per tutti”. A parte gli apprezzabili risultati sul versante dei controlli, Caselli ha chiesto “il coraggio di puntare alla giustizia” piuttosto che sulla “mannaia della prescrizione”, contro la quale il Guardasigilli, Andrea Orlando, ha assicurato metterà in campo “un intervento contro le prescrizioni con l’aumento di 1.200 unità del personale amministrativo e l’acquisto di 5.000 computer” per gli uffici giudiziari e si è impegnato a costituire “un gruppo di lavoro al ministero della Giustizia finalizzato alla revisione della normativa sui reati agroalimentari”. E se la Rete, usata come “porto franco per la contraffazione”, è uno dei terreni “più difficili da controllare”, si legge nel Rapporto, il Ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina, ha ribadito l’efficacia dei controlli sulla filiera agroalimentare messi in campo sul web dall’Italia, “tra i primi paesi in Europa e nel mondo e forse l’unico ministero europeo ad aver istituito protocolli con i grandi soggetti del web come eBay”.

Insomma c’è da sperare che l’Italia saprà presto invertire la rotta e restituire alla legalità l’agroalimentare impedendo alle mafie di distruggere la concorrenza, il libero mercato legale e l’imprenditoria onesta, che ancora oggi compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani ed il valore del marchio “Made in Italy”. L’Expo si avvicina e una struttura di coordinamento a livello nazionale o la specializzazione della magistratura sui reati agroalimentari sono decisivi per contrastare l’infiltrazione della criminalità organizzata su tutta la filiera. 

Alessandro Graziadei

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