domenica 8 settembre 2013

Grecia: Alba Dorata è un prodotto della crisi?


Sono sempre stato convinto che alcune settimane a piedi in “compagnia” di un Popolo valgano almeno come alcuni anni di cittadinanza: i suoi difetti, come le sue qualità, si snodano in rapida successione dandone una fotografia forse approssimativa, ma certamente realistica. Per questo mentre ostinatamente camminavo e navigavo attraversavo le accoglienti genti del Dodecaneso, mi era sempre più difficile capire. Mi era difficile capire come una formazione politica dal programma estremista, fino a non molto tempo fa marginale, sia riuscita in pochi anni non solo a crescere nei sondaggi d’opinione e in influenza nella Grecia colpita dalla crisi, ma anche a dominarne il dibattito politico.
Si, perché mentre io mi ostinavo a percorrere assolati chilometri a piedi, convinto che come ci ricorda David Le Breton  nel celebre Il mondo a piedi “camminare significa aprirsi al mondo”, Alba Dorata otteneva ancora una volta i titoli dei giornali il 24 luglio (e gli echi si sono trascinati sui media fino ad oggi), quando ha organizzato ad Atene un’altra distribuzione di cibo “soltanto per i greci” all’esterno del suo quartier generale. Non è stato però un evento come altri la distribuzione di sacchi di patate accompagnata dal suono dell’inno nazista “Horst Wessel” tradotto in greco per l’occasione (sposando un’affiliazione sempre negata in pubblico). La data scelta per i greci segna, infatti, l’anniversario del ripristino della democrazia nel 1974, quando dopo sette anni di governo autoritario sotto una giunta militare che guidò il colpo di stato del 21 aprile 1967, la Grecia tornò finalmente alle urne. Durante quegli anni travagliati furono incarcerate migliaia di persone e per questo la scelta provocatoria del 24 luglio da parte di Alba Dorata è sembrata semplice e chiara: “la democrazia ha fallito, torniamo alla dittatura”. Un altro passo di una campagna politica abile a sfruttare la crisi per consolidare la propria presenza nella società greca.
Molti oggi in Grecia sostengono che il ritorno a una politica reazionaria è una tendenza normale nel corso di turbolenze economiche e sociali. Così, forse con lo stesso spirito fatalista, i Governi greci succedutisi durante l’intera crisi hanno non soltanto rafforzato le leggi anti-immigrazione, ma hanno anche cambiato la loro filosofia generale quando si tratta di curare i “problemi sociali”. Parlando con alcuni greci (spesso in un italiano ben masticato da moltissimi, frutto non tanto della parentesi coloniale o del turismo, ma dal retaggio di un ottimo sistema scolastico) si capisce che ci sono alcuni forti esempi di tale cambio di atteggiamento: “invece di finanziare servizi antidroga lo stato ha preferito incarcerare i consumatori in campi all’esterno di Atene; piuttosto che offrire protezione agli immigranti e ai rifugiati la polizia arresta ed espatria chiunque sia privo di documenti, anche i rifugiati provenienti dalla Siria; al posto dell’assistenza ai senzatetto nelle strade e all’offerta di cure ai malati di Aids, la prassi standard prima della crisi, le autorità oggi perseguono quelle persone in una caccia alle streghe che si traduce in carcere ed esclusione sociale”. Così l’idea di adottare alcune degli slogan degli estremisti dell’ultradestra e inserirli nel dibattito politico dominante ha finito, anche secondo l’analisi di Human Rights Watch, col “promuovere e legittimare tali ideali tanto che oggi “i legami di Alba Dorata con la polizia e lo stato segreto stanno diventando sempre più evidenti, con gli antifascisti e gli immigrati che sono spesso molestati e aggrediti fisicamente, mentre i neonazisti non sono indagati e restano impuniti”.
Un drammatico esempio di questa tesi viene da Manolada, un’area rurale a ovest del Peloponneso, dove 28 immigrati dal Pakistan e dal Bangladesh che lavoravano nei campi di fragole, sono stati presi a colpi d’arma da fuoco un paio di mesi fa dopo che avevano semplicemente chiesto il pagamento di sei mesi di lavoro. L’agricoltura è stata uno dei pochi settori dell’economia greca che è stato in grado in contenere gli effetti della crisi. Il suo contributo al PIL, stimato nel 3,5% nel 2009 e nel 4,1% nel 2012, mostra un significativo miglioramento delle esportazioni, dati di crescita che dovrebbero ispirare speranza in un paese che in sei anni ha perso un quarto del suo PIL, ma non lo fanno visto che sono il risultato di un sistema di produzione inumano. Sono stati, infatti, gli immigrati che hanno resuscitato l’economia agricola greca negli anni ’90, e non solo non hanno rubato posti di lavoro ai greci, ma hanno ridato vita ad aree rurali in larga misura abbandonate. Ma se gli immigrati che sono arrivati nel paese sino al 2005 sono diventati lavoratori permanenti e sono stati in grado di ottenere uno status legale che consente loro di vivere e lavorare in Grecia con ogni tutela, oggi le procedure di legalizzazione degli immigrati sono state congelate indefinitamente favorendo aree dove i migranti per lo più provenienti dal Bangladesh e dal Pakistan guadagnano in nero redditi più o meno pari a 5.000 euro l’anno, pesantemente sfruttati dalla mafia locale. Il lavoro a buon mercato in nero mantiene bassi i costi di produzione, contribuendo alla competitività dell’agricoltura greca sul mercato internazionale. Manolada non è un fenomeno isolato, è un esempio tipico della struttura della produzione agricola in alcune parti del paese. E non si tratta soltanto dell’agricoltura. Secondo un documento dell’Istituto di Ricerca della Confederazione Sindacale (INE-GSEE) il 38,4% del lavoro in nero di molti migranti in tutti i settori opera in condizioni indefinite. Ci sono state denunce di condizioni di lavoro terribili, simili a quelle di Manolada, sia nel settore dell’industria, sia in quello turistico dove, inoltre, nonostante un’iva abbassata al 9% è ancora piuttosto raro vedere una fattura non sollecitata.
Non dovrebbe perciò sorprendere che quando una certa parte della popolazione giustifica le condizioni prossime alla schiavitù di un altro segmento della popolazione, prende piede un’ideologia inumana, come quella di Alba Dorata. In certe aree il partito  ha addirittura imposto un coprifuoco agli immigrati, che non possono più uscire in sicurezza quando viene buio. In parlamento gli eletti dell’Alba Dorata cercano in continuazione di allontanare l’attenzione dal fallimento del programma di salvataggio e di reindirizzare la frustrazione contro certi gruppi politici e sociali come appunto immigrati, omosessuali o esponenti della sinistra. Al momento questa politica sembra pagare: Ilias Kassiriadis, candidato di Alba Dorata, si attesta al 20% di consensi nei sondaggi per le elezioni alla carica di sindaco di Atene previste per il prossimo 18 maggio e per il momento appaino del tutto insufficienti i richiami dell’Unione europea per contenere le uscite razziste del partito, mentre i giornali e le varie formazioni politiche greche continuano a sminuire la forza. Ma in molti credono che quel 20% attribuito a Kassiriadis, sia stato calcolato a ribasso. La verità per molti greci è che se non ci saranno interventi economici seri e costruttivi dall’interno, ma soprattutto da parte della Ue, l’ipotesi che un candidato di Alba Dorata possa diventare sindaco della capitale greca non è affatto peregrina.
Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme non solo per il Governo greco o per la sinistra, bensì per tutta l’Europa, che forse dovrebbe porre più attenzione alle conseguenze di politiche economiche che generano questi mostri. “Spesso - scrive sempre Le Breton - si intraprende una marcia per ritrovare un centro di gravità dopo essere stati spodestati da se stessi”. I greci che ho incontrato nello scorso mese sono tutti in cammino per riprendersi, nonostante la crisi, il loro 24 luglio e quel patrimonio di accoglienza e solidarietà che senza falsi miti ancora li distingue. Hanno però bisogno di una mano dall'Europa.
Alessandro Graziadei

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