venerdì 2 agosto 2019

Il seme del tarassaco: un capolavoro aerodinamico

Quante volte l’abbiamo sentita la locuzione tratta dall’opera De Oratore di Cicerone “Historia magistra vitae”? Sicuramente tante. Tradotta letteralmente significa “La Storia [è] maestra di vita” ed è una frase che potrebbe, forse con ancora più fortuna, essere sostituita da un “Naturae magistra vitae” visto che non è raro che i progressi scientifici si ottengano grazie all’osservazione della natura e la comprensione dei meccanismi che ne regolano il funzionamento. È avvenuto anche per lo  studio “Flow dynamics of a dandelion pappus: A linear stability approach”,  pubblicato su Physical Review Fluids da un team di ricercatori dell’Università di Pisa, dell’Ecole Polytechnique Fédérale di Lausanne (Epfl) e dell’Università di Twente, dove, come spiegano i ricercatori “è stato un fiore a ispirare la definizione di un modello matematico che descrive come si generano forze aerodinamiche stabili capaci di garantire voli a lunga traiettoria”. Si tratta del tarassaco, noto anche come dente di leone, più in particolare del suo seme, che con il vento si separa dalla pianta di origine e vola disperdendosi anche a lunghe distanze dalla pianta. 

Così mentre tutti noi almeno una vita abbiamo soffiato sui semi di tarassaco per pure diletto, gli autori della ricerca, Simone Camarri, docente del dipartimento di Ingegneria civile e industriale dell’università di Pisa, François Gallaire dell’Epfl e Francesco Viola, Pier Giuseppe Ledda con Lorenzo Siconolfi, delle università di Losanna e Twente lo hanno fatto con intenti ben più nobili. Per Camarri “Il seme del tarassaco può essere trasportato dal vento anche per distanze considerevoli grazie al pappo, ovvero un ciuffo di filamenti sottilissimi disposti radialmente a formare un ombrello e che agiscono collettivamente come un paracadute per il seme stesso. La caratteristica più curiosa di questo paracadute naturale è il suo essere principalmente vuoto. Infatti, se visto da vicino, il pappo è costituito solo dai filamenti che, essendo in un numero dell’ordine di 100 ed essendo sottilissimi e disposti radialmente, lasciano uno spazio vuoto considerevole tra loro”. 

L’osservazione del pappo ha permesso agli studiosi di derivarne un modello matematico che consente di descrivere il suo comportamento aerodinamico e di studiare la stabilità del suo volo: “Il risultato più importante è aver dimostrato che per il diametro e le condizioni di volo tipiche di un pappo, il limite per avere una traiettoria stabile si raggiunge impiegando circa 100 filamenti, un numero molto vicino a quanto osservato in natura. Tutto ciò sembra dunque suggerire che, nel suo percorso evolutivo, il pappo abbia raggiunto una condizione ottimale tale da fornire la maggiore resistenza aerodinamica mantenendo contemporaneamente un volo stabile”. Questo studio ha così evidenziato come alcuni capolavori naturali costituiscono esempi utili per realizzare dispositivi artificiali di interesse ingegneristico che sono molto vicini alla perfezione. “In particolare il pappo può dare indicazioni su come poter realizzare dispositivi che generino forze aerodinamiche con strutture per larga parte “vuote”, e dunque con pesi molto ridotti e consumi irrisori”. Uno spunto interessante per qualche futura applicazione sostenibile? Forse sì!

Alessandro Graziadei

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