sabato 3 dicembre 2022

Energia: l'alternativa c’è?

 

Su Unimondo.org abbiamo deciso di dedicare un ciclo di articoli al tema dell’energia e della sua sostenibilità. Oggi lo facciamo ponendo alcune domande ad Arturo Lorenzoni, professore di Economia dell'Energia all'Università di Padova e Consigliere Regionale del Veneto. Intervista a cura di Alessandro Graziadei.


Stiamo con buona probabilità per affrontare un inverno che, dal punto di vista energetico, potrebbe essere tra i più difficili dal dopoguerra ad oggi. Come ci arriva l’Italia? 


AL: Dal punto di vista energetico sarà il peggiore, per le condizioni estreme a cui costringe la guerra della Russia, ma dal punto di vista climatico è il più caldo della storia. L’Italia ha lavorato bene per assicurare la massima offerta di gas possibile, riempiendo gli stoccaggi, ma ha mancato le azioni concrete per affrancarsi permanentemente dal gas, con investimenti nelle fonti rinnovabili. Che oltre ad avere valore ambientale, sono la scelta meno costosa.


Qual è il grado di sviluppo delle rinnovabili italiane rispetto al resto d’Europa e se ne esistono, quali sono stati i principali ostacoli per un più completo e veloce sviluppo delle rinnovabili?


AL: L’Italia ha lavorato benissimo fino al 2014, quando ha raggiunto con largo anticipo gli obiettivi posti in Unione europea al 2020, a costo anche di uno sforzo economico rilevante per i consumatori di energia elettrica. Da allora, invece di aggiustare il tiro, si è tirato il freno a mano, con investimenti che oggi sono 1/5 di quelli necessari a raggiungere gli obiettivi 2030. La politica dello stop and go è onerosa ed oggi non vi è la consapevolezza negli amministratori locali della necessità di guidare il processo di investimento, come se il problema dovesse essere risolto altrove. Per cui paradossalmente ci sono amministrazioni che ostacolano gli investitori, senza una strategia condivisa ai vari livelli di amministrazione. 


Pensare di trivellare l’Adriatico alla ricerca di gas è una scelta energetica ed economica sostenibile?


AL: La decisione di riattivare l’estrazione di gas in Adriatico a mio avviso è dettata dalla disperazione della guerra, dalla mancanza di una strategia id lungo periodo, dalla debolezza verso le pressioni di alcuni gruppi di interesse economico. Anche senza tenere in considerazione le grandissime preoccupazioni ambientali, ben riassunte dal prof. Luigi D’Alpaos, consapevole della pericolosità dell’abbassamento del terreno dovuto alla estrazione, che ha abbassato fino a 4 metri i terreni in alcune aree del Polesine, investire nel metano fossile, quando si è deciso di eliminare i combustibili fossili al più tardi al 2050, appare un po’ come investire nelle cabine telefoniche. E recuperare fino a 3 miliardi di mc per una decina d’anni, con un fabbisogno di 70, non cambia gran che la sicurezza del sistema, mentre ritarda i processi di sostituzione del metano fossile. E l’alternativa c’è: la produzione di biometano da matrici organiche (scarti dell’industria agroalimentare, della depurazione elle acque, biomassa agricola) ha un potenziale di almeno 8 miliardi di mc, senza limiti di tempo. È una scelta molto più sensata dal punto di vista economico, oltre che ambientale. Guardiamo all'energia del futuro, non a quella del passato! 


Ha senso parlare di “sovranità” nel campo energetico?


AL: Il mercato dell’energia è uno dei più internazionalizzati del mondo. Dovremmo forse fermare tutte le auto in attesa di avere dei "carburanti sovrani”? Cercare soluzioni autonome è sempre una limitazione dal punto di vista economico: se economicamente avesse senso lo si farebbe a prescindere dagli obiettivi politici. Purtroppo quando la contrapposizione tra sistemi economici prevale sulla ottimizzazione emergono le spinte isolazioniste.  Per cui è decisamente interessante sviluppare l’offerta di energia sulla base di risorse locali, perché questo ha valore sociale in termini di lavoro e ricadute economiche sul territorio, ma l’energia a km zero è divenuta interessante da quando solare ed eolico sono le fonti a minimo costo. Forzare all’uso del solare se costasse di più sarebbe un errore, ma oggi non è così. Per cui paradossalmente la scelta locale è oggi preferibile, ma non per un obiettivo sovranista, ma economico! 


Recentemente parlando del Veneto hai suggerito di “Organizzare da subito la filiera del biometano, che può generare una produzione tripla rispetto al metano fossile in modo sostenibile, con ricadute positive sull'economia del territorio”. Ci spieghi meglio questa tua proposta?


AL: Il Consorzio Italiano Biogas, CIB, ha fatto uno studio interessante che mostra che il potenziale in Italia è di oltre 8 miliardi mc. Produrre il biometano comporta creare attività economica sul territorio: in agricoltura, nell’industria, nei trasporti, con investitori che possono essere locali. Ma il processo deve essere guidato, aiutando le diverse categorie economiche a costruire la filiera. Peraltro sono attività coperte bene dalle competenze presenti nel territorio italiano. 


L'economia fossile ha generato enormi costi sul piano ambientale, finanziario e sanitario. Il “superbonus” può essere considerato un incentivo utile ad un parziale cambio di paradigma nel settore abitativo e se sì, non rischia, nonostante gli incentivi, di essere stato economicamente discriminante? 


AL: Il superbonus ha rimesso in moto l’industria dell’edilizia, prostrata dalla crisi economica che non è mai rientrata dal 2008. E si è cercato di dargli un taglio che aiutasse l’efficienza energetica, obiettivo solo in parte raggiunto. Chiaramente ha favorito i soggetti più abbienti, capaci di beneficiare del credito d’imposta, mentre non ha consentito di ridurre i propri costi energetici a chi abbia basso o nessun reddito, anche per la difficoltà amministrativa per attivarlo. E inoltre sono state sistemate molte seconde case, usate saltuariamente, che dal punto di vista energetico non comportano risparmi. Poi chiaramente non chiedere a chi investe di mettere almeno una piccola parte del costo ha comportato un’esplosione dei prezzi, nonostante il tentativo di controllarli, escludendo ulteriormente nel tempo i cittadini con redditi più bassi. E con l’effetto di cerare rendite significative per gli intermediari, finanziatori e acquirenti dei crediti. Insomma, il meccanismo è interessante, anche se fa pagare le ristrutturazioni ai nostri figli che non avranno le entrate fiscali nei prossimi anni, ma va mirato meglio prima possibile, riducendo la quota di bonus e introducendo meccanismi di accesso per i cittadini a reddito contenuto. 


Cosa sono le “comunità energetiche” e quali vantaggi potrebbero avere per la collettività?

 

AL: Da alcuni anni le innovazioni tecnologiche hanno eliminato le economie di scala nella generazione di energia, rendendo i piccoli impianti competitivi anche verso le centrali di grande taglia e la digitalizzazione del controllo ha fatto si che coordinare migliaia o milioni di impianti non abbia costi maggiori che coordinarne decine o centinaia. Per questo è divenuto competitivo bilanciare domanda e offerta di energia su scala locale, con l’accoppiamento tra impianti di produzione e carichi, sviluppando il servizio energetico piuttosto che la vendita di kWh o mc di gas. Le Comunità energetiche, introdotte dalla direttiva UE 2018/2001 e recepite in Italia dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8 e dal decreto 199/2021 introducono proprio questi nuovi aggregatori, in cui anche chi non può installare il proprio impianto può partecipare all’autoproduzione con un impianto condiviso. Così all’interno di una Comunità di Energia Rinnovabile ci si può scambiare liberamente l’energia, pur senza investimenti infrastrutturali, ma lavorando a bilanciare i carichi con la produzione intermittente da fonte rinnovabile. Un’innovazione organizzativa e regolatoria importante, ma conseguente ad un cambio delle nuove condizioni economiche del settore energia. Le CER possono inoltre essere una risposta efficace alla crescente povertà energetica, la difficoltà a pagare i costi energetici con i crescenti prezzi sperimentati, mettendo a disposizione energia elettrica a prezzi fissi (e auspicabilmente bassi!) per orizzonti temporali anche lunghi.


Il nucleare “pulito”, così come viene chiamato da una certa politica, esiste veramente? 


AL: Solo negli auspici di chi ancora pensa che il problema energetico possa essere risolto “altrove”, da parte di un’elite tecnologicamente avanzata, capace di farsi carico dell’onere degli investimenti in un empireo dove l’accettabilità sociale, le relazioni con le amministrazioni locali, le ricadute sull’economia locale, … non contano. Per cui si è coniato questo termine del “nucleare pulito”, senza che vi sia alcuna definizione di “pulito”, perché il nucleare, anche la quarta generazione che ancora non c’è e non sapremo quando sarà commercialmente disponibile, elimina del tutto il problema delle scorie. Se nelle migliori aspettative le nuove tecnologie nucleari, i Small Modular Reactors, SMR, saranno operativi a metà del prossimo decennio, essi non sono utili a gestire la transizione energetica, che deve essere conseguita prima, in questo decennio. Inoltre, il costo di questa tecnologia è ancora molto alto, per cui economicamente è poco attrattiva (e auspicarsi di beneficiare di riduzione dei costi con il percorso della curva di apprendimento ci porta addirittura negli anni ’40!), oltre al fatto che si tratta di una tecnologia fortemente concentrata in poche aziende, con un paradigma organizzativo diametralmente opposto a quello delle fonti rinnovabili. Insomma, ai miei occhi, che ritengo laici, il nucleare oggi per il nostro paese manca di efficacia per gli obiettivi climatici, di interesse economico e di interesse sociale. Condivido appieno lo scetticismo dell’amministratore delegato di ENEL Francesco Starace, ingegnere nucleare, che ha indirizzato la strategia aziendale sulle fonti rinnovabili.


Un professore di Economia dell’energia quali accorgimenti usa per risparmiarla e quali consigli può darci per fare altrettanto?


AL: Eh, ci si muove tra molti vincoli. Io, non potendo installare il fotovoltaico nel mio condominio, ho acquistato il fotovoltaico da balcone, 300 W, non molto, ma un segno importante. Faccio grande attenzione all’acquisto degli elettrodomestici (soprattutto il frigorifero, che è quello che consuma di più) e sto valutando di sostituire la caldaia a gas, anche se ancora molto efficiente, con una pompa di calore, alimentata dall’energia elettrica. 


Grazie mille Arturo, per il tuo tempo e le tue spiegazioni.

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