sabato 18 novembre 2023

Le disuguaglianze plastiche

 

Il Wwf International ha da poco pubblicato i report  “Who pays for plastic pollution? Enabling global equity in the plastic value chain”, redatto dalla società di consulenza Dalberg, che lancia l’allarme disuguaglianze anche nel campo dell’inquinamento e della tutela ambientale. Il rapporto, infatti, stima che “Il costo totale nel corso della vita di un chilogrammo di plastica sia di circa 150 dollari nei Paesi a basso e medio reddito, ovvero 8 volte i 19 dollari al chilogrammo sostenuti dai Paesi ad alto reddito”. Come mai? Il rapporto rileva che i Paesi a basso e medio reddito sopportano un onere molto elevato rispetto ai costi associati all’inquinamento da plastica come risultato diretto di tre disuguaglianze strutturali che rafforzano l’attuale filiera della plastica: la prima è che questi paesi hanno un’influenza minima su quali materiali in plastica vengono prodotti e su come sono progettati, ma spesso ci si aspetta che sappiano gestire questi prodotti una volta raggiunta la fine del loro ciclo di vita. Le considerazioni sulla progettazione di prodotti e sistemi plastici, infatti, sono in genere fatte nei Paesi con una estesa e massiccia produzione di plastica e da aziende multinazionali con sede in Paesi ad alto reddito. I dati fino al 2019 mostrano che questa "dittatura" nella produzione ha portato a livello globale solo un 9% dei rifiuti di plastica ad essere correttamente riciclato, mentre circa il 60% della produzione globale di plastica è ancora destinata a prodotti monouso, che in molte parti del Mondo finiscono in discarica dopo un solo utilizzo.


La seconda disuguaglianza  è che il tasso di produzione di plastica, in particolare per la plastica monouso, sta superando di gran lunga le capacità tecniche e finanziarie di gestione dei rifiuti, finendo spesso per essere smaltita in discariche (spesso a cielo aperto) nei paesi in via di sviluppo e non riciclate nei paesi di produzione. Senza ridurre la produzione e il consumo di plastica, i Paesi a basso e medio reddito continueranno a dover sostenere il peso più elevato degli impatti ambientali e socioeconomici dovuti all’inquinamento da plastica. La terza disuguaglianza, infine, è che il sistema manca di un modo equo per far sì che i Paesi e le aziende produttrici di plastica siano responsabili delle loro azioni, sull’inquinamento da plastica e sul suo impatto su saluteambiente ed economia, ad esempio, attraverso regimi obbligatori di responsabilità estesa del produttore in ciascuno dei Paesi in cui operanoIn assenza di obblighi comuni in tutte le giurisdizioni e per tutte le aziende, per sostenere un’economia della plastica circolare, giusta e non tossica, i Paesi a basso e medio reddito finiranno sempre per pagarne il prezzo più elevato. Ne è un esempio il Kenya che sei anni fa ha compiuto un passo coraggioso contro l’inquinamento da plastica vietando i sacchetti di plastica monouso, ma che continua a lottare contro le importazioni illegali di sacchetti di plastica monouso, evidenziando la natura transfrontaliera del problema e le paralizzanti disuguaglianze nell’attuale catena del valore della plastica che mettono Paesi come il Kenya in una posizione di svantaggio, indipendentemente dalle azioni coraggiose che intraprendono. 


Secondo Alice Ruhweza, direttrice senior per le politiche, l’influenza e l’impegno del Wwf International, “Il nostro sistema take, make, waste plastics è progettato in modo tale da avere un impatto ingiusto sui Paesi più vulnerabili e svantaggiati del nostro pianeta. Invece di risolvere la crisi mondiale dell’inquinamento da plastica nel modo più efficiente, il sistema sposta la maggior parte dei costi su coloro che sono meno attrezzati per gestirli, senza che la responsabilità venga attribuita in primo luogo a coloro che producono e utilizzano i prodotti”. Anche per questo il rapporto segnala l’urgenza di una revisione immediata dell’attuale sistema della plastica. “Lo status quo potrebbe rappresentare una condanna a morte, non solo per un numero crescente di animali, ma anche per molte delle comunità vulnerabili ed emarginate del mondo a causa dei maggiori rischi per la salute, tra cui l’ingestione di sostanze chimiche nocive e tossiche e l’aumento del rischio di inondazionimalattie”. Un trattato globale sull’inquinamento da plastica, tema affrontato in questi giorni proprio in Kenya con i terzi negoziati per il Global treaty to end plastic pollution per porre fine all’inquinamento da plastica, potrebbe essere l’occasione per introdurre norme globali vincolanti ed eque sulla produzione e sul consumo. Come? Un esempio potrebbe essere la regolamentazione dei prodotti di plastica, dei polimeri e delle sostanze chimiche a più alto rischio (quelli che possono causare i maggiori danni o hanno maggiori probabilità di causare inquinamento) in modo da poter ridurre la pressione sui Paesi, in particolare quelli con meno risorse, nella gestione di questi rifiuti. Similmente potrebbe essere molto utile creare regole globali di progettazione dei prodotti per bandire il monouso e garantire la possibilità di essere riutilizzati e/o riciclati indipendentemente dal paese in cui sono prodotti o utilizzati. 


Per dare ai cittadini la possibilità di manifestare il proprio sostegno alla formulazione di un trattato più ambizioso ed equo possibile, il Wwf ha diffuso un Global Vote internazionale e invita tutti a firmare. Per Eva Alessi, responsabile sostenibilità del Wwf Italia, un'iniziativa importante perché “Molte delle opzioni incluse nella prima bozza del trattato [quello in discussione questa settimana in Kenya] hanno un linguaggio sostanzialmente più debole e obblighi meno specifici, rendendo allettante per i governi tornare alle vecchie cattive abitudini di fare affidamento su azioni nazionali o volontarie piuttosto che creare regolamenti comuni obbligatori. Ma il nostro rapporto ha dimostrato che affidarsi alle decisioni dei singoli governi si traduce in un sistema iniquo in cui gli oneri non solo sono distribuiti in modo disuguale, ma sono sostenuti da coloro che sono meno attrezzati per porvi rimedio”.  Il rischio di scendere a compromessi su un trattato basato principalmente sull’azione nazionale rischia di vanificare anni di lavoro e campagne per arginare l’inquinamento da plastica. “Non possiamo più comportarci come se la plastica sia un bene usa e getta a buon mercato. Ha costi enormi per alcune delle comunità più vulnerabili che non hanno il potere di cambiare il sistema. La mancanza di azione si tradurrà in un costo più elevato per tutti noi”. Per questo tutti i Paesi, a cominciare da quelli più sviluppati, ricchi ed inquinanti devono aumentare la propria ambizione e sviluppare un trattato con regole globali armonizzate e vincolanti se vogliamo raggiungere una catena del valore della plastica equa e  un futuro libero dall’inquinamento da plastica. Garantire un futuro veramente sostenibile e sano per gli esseri umani e per il nostro pianeta è troppo importante per lasciarlo all’azione volontaria e disomogenea dei vari Governi. 


Alessandro Graziadei

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