sabato 30 marzo 2024

Il clima secondo Eni

 

L'Eni prevede di generare un flusso di liquidità delle sue casse aziendali di circa 13,5 miliardi di euro nel 2024 e di 62 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 4 anni. Una crescita del 30%, illustrata il 14 marzo scorso dal report Capital markets update 2024-2027, con cui la multinazionale a controllo statale ha delineato un piano di sviluppo industriale dal futuro ancor più roseo sotto il profilo economico, grazie al fatto che per l'azienda l’esplorazione e la produzione di petrolio, gas liquefatto e di altri combustibili fossili, dovrà accelerare e non rallentare. “La produzione Upstream è prevista crescere a un tasso medio annuo del 3-4% fino al 2027, estendendo tale crescita di un ulteriore anno rispetto al Piano precedente” si legge nel report. Una strategia industriale che va in senso opposto non solo al buon senso, ma a tutti gli allarmi sull'uso e l'abuso di combustibili clima alteranti attenzionati dalla stessa Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), che ha recentemente aggiornato la roadmap per arrivare a emissioni nette zero entro il 2050 spiegando che per farlo “Non sono necessari nuovi progetti upstream di petrolio e gas”. Pochi giorni dopo l'annuncio, il 21 marzo scorso, è arrivata la notizia che la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e l’IEA lavoreranno insieme per eliminare le fonti energetiche fossili e identificare parametri adeguati per monitorare i progressi globali verso obiettivi di sostenibilità globale, fornendo aggiornamenti che informino e motivino l’azione globale per raggiungere gli impegni internazionali sul clima. Che tempismo per Eni!


Eppure, Eni afferma di voler rispettare i target climatici: “L’obiettivo di net zero per le emissioni Upstream Scope 1 e 2 è confermato entro il 2030, quello di net zero per tutte le attività di Eni Scope 1, 2 entro il 2035; gli obiettivi di riduzione delle emissioni Scope 1, 2 e 3 sono confermati: 35% entro il 2030, 80% entro il 2040 e net zero entro il 2050”. Come? L'azienda intende farlo investendo in attività come le bioraffinerie (un terzo impianto italiano è già in progetto a Livorno e un quarto è in fase di studio) e in altre iniziative dall’efficacia controversa come la cattura e lo stoccaggio della CO2 (Ccs). Secondo Greenpeace ItaliaReCommon e Reclaim Finance, che hanno realizzato un’analisi della strategia climatica di Eni, l'azienda italiana prevede di aumentare la produzione di petrolio e gas e di mantenerla costante fino al 2030, “Così facendo, la sua produzione sarà superiore di ben il 71% rispetto allo scenario emissioni nette zero” e lasciare le briciole per le attività di sviluppo dell'energia pulita, visto che “Per ogni euro investito da Eni in combustibili fossili, meno di sette centesimi sono stati investiti in energie rinnovabili sostenibili”. Attualmente in Eni a crescere è soprattutto il fronte del gas naturale liquefatto (Gnl) e per questo, scondo le tre associazioni ambientaliste, “Sta costruendo nuovi terminali di liquefazione del gas funzionali ai nuovi giacimenti, contravvenendo alle indicazioni dell’Agenzia internazionale dell’energia, secondo cui non possiamo permetterci nuovi giacimenti di petrolio e gas se vogliamo limitare l’aumento della temperatura globale entro la soglia di 1,5°C”.


Partendo da questi presupposti, ReCommon insieme a Greenpeace Italia  lo scorso 9 maggio, insieme a 12 cittadine e cittadini, avevano notificato a Eni un atto di citazione davanti al Tribunale di Roma per l’apertura di una causa civile per i danni subiti e quelli futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui Eni, secondo le due ong, ha contribuito con la sua condotta continuando a investire nei combustibili fossili, pur essendo consapevolealmeno dagli anni '70, dell'impatto negativo sul clima e sulla salute di queste fonti energetiche. Le associazioni ambientaliste lo hanno ribadito anche lo scorso dicembre con il report Emissioni di oggi, morti di domani che documenta la responsabilità dell’azienda sulla crisi climatica in corso, accuse che Eni ha ritenuto lesive per la sua reputazione minacciando una causa risarcitoria e proponendo una mediazione rispedita al mittente dalle ong. Lo studio, che ha utilizzando la metodologia "Mortality Cost of Carbon", sviluppata dal ricercatore statunitense R. Daniel Bressler e pubblicata su Nature Communications nel 2021, stima che “Le emissioni di gas serra autodichiarate nel 2022 delle nove principali compagnie petrolifere e del gas europee Shell, TotalEnergies, BP, Equinor, ENI, Repsol, OMV, Orlen e Wintershall Dea potrebbero causare collettivamente un totale stimato di 360 mila morti premature correlate alle variazioni di temperatura, ovvero causate da calore estremo o freddo intenso, entro la fine del secolo”. Per Greenpeace il lancio della prima climate litigation italiana contro una società privata, la cui udienza inaugurale si è tenuta lo scorso 16 febbraio, sebbene ignorata dai principali media italiani che dipendono finanziariamente dalle inserzioni pubblicitarie di Eni, "Ha avuto una vasta eco sui media internazionali, spingendo Eni a reagire nei confronti delle due associazioni ambientaliste con un evidente intento intimidatorio”. Attualmente oltre a Eni a livello globale anche altre compagnie petrolifere e del gas (ad esempio TotalEnergies contro Greenpeace France o Shell contro Greenpeace Uk e Greenpeace International) stanno cercando, attraverso intimidazioni legali e ingenti richieste finanziarie, di fermare il lavoro di denuncia delle organizzazioni ambientaliste sulla drammatica impronta ecologica che queste compagnie hanno sul clima del pianeta.


Eppure, se nei tribunali viene tutelata l'immagine verde venduta a suon di pubblicità e sponsorizzazioni, fuori dai tribunali e fuori dagli slogan, Eni non si nasconde e il 7 marzo ha annunciato con entusiasmo una maxi scoperta di combustibili fossili al largo della Costa d'Avorio. Il pozzo denominata “Calao”, a circa 45 chilometri dalla costa e ad una profondità di 5.000 metri, contiene grandi quantità di petrolio e gas liquido e potrebbe produrre tra 1 miliardo e 1.5 miliardi di barili di olio equivalente. Una scoperta in netto contrasto con delle scelte industriali più responsabili e lungimiranti, necessarie a contrastare la crisi climatica in corso, visto che la chiave di volta della transizione (e della sicurezza) energetica non passa dal fossile, ma dallo sviluppo delle energie rinnovabili, chiamate a triplicare a livello mondiale la loro potenza installata già entro il 2030, come peraltro stabilito nel corso dell'ultima Cop28 lo scorso dicembre.


Alessandro Graziadei

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