L’Italia e soprattutto alcune Regioni del Belpaese hanno da molto tempo un rapporto difficile con le leggi sulla caccia. In questi anni, come spesso abbiamo documentato, la caccia è stata permessa in deroga incappando regolarmente nelle sanzioni della Corte Europea di Giustizia e portando giusto un anno fa alla nascita di un Osservatorio Nazionale su Fauna e Legalità. Forse anche per questa nuova sensibilità e attenzione, come già accaduto poche settimane fa per l’Abruzzo, anche la nuova legge della Liguria sul calendario venatorio ha trovato il 27 aprile l’inevitabile bocciatura da parte della Corte Costituzionale, che ha ribadito l’obbligo di emanare il calendario attraverso un atto amministrativo e di durata annuale anziché pluriennale.
“Sebbene la nostra associazione, come prevedibile, non sia stata ammessa per ragioni formali al ricorso, - ha spiegato la Lega Italiana Protezione Uccelli (Lipu) - vengono confermate in modo solenne tutte le perplessità e le critiche da noi formulate alla regione Liguria in materia di caccia e che tuttavia sono state da questa respinte, con un atteggiamento che, ci spiace dirlo, ha sfiorato più volte l’arroganza, ma che alla fine è stato punito dal più autorevole dei soggetti istituzionali”. Dalla Corte arriva dunque un colpo molto duro, per la Liguria, che fa il paio con i problemi che la Regione ha avuto e continua ad avere con l’Europa in tema di deroghe, e che chiama l’Amministrazione e la politica regionale ad un mea culpa e a una piena, seppur tardiva, "assunzione di responsabilità”.
La Corte Costituzionale, inoltre, ha inteso ribadire con chiarezza la potestà statale sulla materia della tutela della fauna, rafforzando una giurisprudenza che apre nuovi scenari rispetto alla regolamentazione della materia venatoria in relazione agli standard minimi di tutela, come ad esempio la definizione della lista delle specie cacciabili e dei tempi di caccia, spesso terreno di facili e opportunistiche deroghe da parte dei Consigli regionali. Per questo, la Lipu chiede che, “sin dalla prossima stagione venatoria, tutte le Regioni italiane tengano conto degli standard minimi di tutela della fauna espressamente segnalati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), l’autorità scientifica statale e nell’approvare calendari venatori rigorosamente con atto amministrativo e di durata annuale li adeguino nel senso di una reale misurabilità e sostenibilità del prelievo venatorio eliminando illegittimità troppo spesso concesse su specie, tempi e modalità dell’esercizio venatorio”.
Un’aria di cambiamento significativa che non ha però impedito al Piemonte di cancellare il referendum sulla caccia previsto per il prossimo 3 giugno. È stato, infatti, approvato il 3 maggio scorso un emendamento da parte del Consiglio regionale che cancella la legge 70 del 1996 che il comitato promotore voleva modificare con il voto.
“La giunta Cota - ha commentato Massimo Vitturi, responsabile della Lega Anti Vivisezione (Lav) settore caccia e fauna - ha inserito, nella legge finanziaria regionale in discussione in questi giorni, un emendamento che nulla ha a che fare con la materia venatoria e che cancella la legge regionale sulla caccia, quella sulla quale si incardinavano i quesiti referendari”. Risultato? “Il referendum non avrà luogo, perché non esiste più la legge sulla quale sarebbero dovute intervenire le modifiche proposte.
Ancora una volta la volontà di 60.000 cittadini piemontesi, che nel lontano 1987 avevano richiesto l’indizione del referendum, viene piegata alle ragioni della politica; ancora una volta il diritto di più di 3.600.000 elettori piemontesi viene calpestato dall’interesse personale di politici che, evidentemente, temevano che la consultazione referendaria potesse in qualche misura intaccare il loro potere, il loro orticello” ha aggiunto Vitturi che ha ricordato come “l’emendamento sia nato solo per non scontentare 26.000 cacciatori che, si badi bene, se il referendum fosse passato, avrebbero potuto comunque continuare ad esercitare la loro pratica sanguinaria, anche se con nuove più restrittive regole”.
Ancora una volta la volontà di 60.000 cittadini piemontesi, che nel lontano 1987 avevano richiesto l’indizione del referendum, viene piegata alle ragioni della politica; ancora una volta il diritto di più di 3.600.000 elettori piemontesi viene calpestato dall’interesse personale di politici che, evidentemente, temevano che la consultazione referendaria potesse in qualche misura intaccare il loro potere, il loro orticello” ha aggiunto Vitturi che ha ricordato come “l’emendamento sia nato solo per non scontentare 26.000 cacciatori che, si badi bene, se il referendum fosse passato, avrebbero potuto comunque continuare ad esercitare la loro pratica sanguinaria, anche se con nuove più restrittive regole”.
A guardarlo bene e da vicino il quesito referendario regionale piemontese contro la caccia non era una rivoluzione: chiedeva solo l’abrogazione di alcune parti della vigente normativa, in particolare il divieto di caccia per 25 specie selvatiche, il divieto di caccia la domenica, il divieto di cacciare su territorio protetto da neve e la limitazione ai privilegi concessi alle aziende faunistico-venatorie. La richiesta del Comitato per il referendum caccia in Piemonte era, insomma, quella di un ridimensionamento dell'attività venatoria al fine di proteggere specie a rischio di estinzione o di scarso interesse venatorio e restituire ai cittadini la possibilità di frequentare la domenica in sicurezza le aree naturali del Piemonte.
Una richiesta ponderata e sensata che l’agguerrito Comitato non intende abbandonare a causa di questo colpo di mano. “La vergognosa decisione del Consiglio Regionale di abrogare la Legge Regionale 70/96 non ci fermerà di sicuro” hanno dichiarato gli animalisti poche ore dopo la decisione del Consiglio. “L’opinione pubblica è ormai convinta che il referendum non si farà più, per cui, anche nel caso, improbabile ma non impossibile, che la situazioni si ribalti, le difficoltà per noi diverrebbero praticamente insormontabili, non fosse altro che per la drammatica riduzione dei tempi a nostra disposizione per la campagna elettorale. Tuttavia non ci diamo comunque per vinti e valuteremo tutte le strade legali per riprenderci il referendum e soprattutto la democrazia” ha aggiunto il Comitato referendario piemontese, che non ha escluso nemmeno “la possibilità di procedere con una denuncia penale per violazione dell’articolo della Costituzione che tutela i diritti civili della popolazione.
Come andrà a finire? Il Comitato non ha dubbi: “Per il momento ogni attività propagandistica è sospesa, ma non smobilitiamo.
Anzi, se possibile ci impegneremo ancora di più di quanto abbiamo fatto fino ad ora. Ormai non è più solo una battaglia a
difesa degli animali selvatici, ma soprattutto della democrazia e dei diritti dei cittadini”. L’impressione per l’ambiente animalista è che si tratti di una scelta non solo antidemocratica e poco attenta alla salvaguardia del proprio patrimonio faunistico, ma anche estremamente controproducente per quanto riguarda l’appeal del governo regionale.
Per la Lav infatti “Sarebbe stato sufficiente che il Presidente Cota avesse dato un’occhiata ad un sondaggio Ipsos effettuato alla vigilia delle consultazioni regionali che nel 2010 lo hanno visto balzare alla guida del Piemonte: avrebbe dovuto prendere atto che la gran parte dell’elettorato che sostiene l’attuale Giunta da lui presieduta, non condivide affatto la decisione di far saltare il referendum regionale sulla caccia”. Secondo i dati Ipsos il 93% del corpo elettorale che sostiene la giunta Cota, ritiene rilevante la questione relativa all’incremento della tutela degli animali e dell’ambiente. “In estrema sintesi - ha concluso la Lav - Cota ha voltato le spalle al 93% dei suoi elettori, per favorire lo 0,7% del corpo elettorale piemontese rappresentato dai cacciatori”.
Anzi, se possibile ci impegneremo ancora di più di quanto abbiamo fatto fino ad ora. Ormai non è più solo una battaglia a
difesa degli animali selvatici, ma soprattutto della democrazia e dei diritti dei cittadini”. L’impressione per l’ambiente animalista è che si tratti di una scelta non solo antidemocratica e poco attenta alla salvaguardia del proprio patrimonio faunistico, ma anche estremamente controproducente per quanto riguarda l’appeal del governo regionale.
Per la Lav infatti “Sarebbe stato sufficiente che il Presidente Cota avesse dato un’occhiata ad un sondaggio Ipsos effettuato alla vigilia delle consultazioni regionali che nel 2010 lo hanno visto balzare alla guida del Piemonte: avrebbe dovuto prendere atto che la gran parte dell’elettorato che sostiene l’attuale Giunta da lui presieduta, non condivide affatto la decisione di far saltare il referendum regionale sulla caccia”. Secondo i dati Ipsos il 93% del corpo elettorale che sostiene la giunta Cota, ritiene rilevante la questione relativa all’incremento della tutela degli animali e dell’ambiente. “In estrema sintesi - ha concluso la Lav - Cota ha voltato le spalle al 93% dei suoi elettori, per favorire lo 0,7% del corpo elettorale piemontese rappresentato dai cacciatori”.
Alessandro Graziadei
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