sabato 1 dicembre 2012

Conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Doha: “Non è un cambio di stagione”


Si è aperta lo scorso lunedì a Doha la 18esima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici(Cop18) che chiude una fase storica dei negoziati sul clima, quella in cui ci si era illusi che per superare la crisi climatica fosse sufficiente l’impegno legalmente vincolante nella riduzione delle emissioni dei soli paesi industrializzati. Non è stato così. Per risolvere l’innalzamento della temperatura globale, la riduzione delle emissioni di CO2 e il finanziamento di un fondo mondiale per il clima si riparte dal Qatar, un gigante mondiale del petrolio che detiene il record mondiale di emissioni di CO2 pro capite e il record mondiale di consumo di acqua con 1.200 litri per abitante al giorno. Anche per questo la Cop18 di Doha punta anche simbolicamente sul risparmio di energia e di materia, infatti, sarà la prima conferenza dell’Onu dove i partecipanti saranno dotati di copie digitali dei documenti, per ridurre l’inquinamento del traffico i delegati si sposteranno con un centinaio di autobus a gas e gli organizzatori hanno dichiarato che l’intero evento sarà carbon neutral, con le emissioni prodotte che saranno compensate da investimenti in progetti di riduzione o assorbimento della CO2. Un’autentica sfida per il più grande meeting mai ospitato dal Qatar con oltre 17mila persone da 194 Paesi che fino al 7 dicembre tenteranno di mettere in agenda un nuovo accordo globale sul clima vincolante per tutti i Paesi “nel pieno rispetto dell’equità, secondo il principio di responsabilità comuni, ma differenziate tra paesi ricchi e poveri”. Queste almeno le premesse già concordate a Durban lo scorso anno, e che dovranno essere sottoscritte entro il 2015 e divenire operative entro il 2020, non oltre.
Ma siamo veramente all’ultima chiamata sul clima? Se non bastassero i devastanti fenomeni meteorologici come la tempesta Sandy o in questi giorni il ciclone Medusa (nel Belpaese aiutati dal mal governo del territorio) i dubbi sembrano pochi. Secondo l'United Nations environment programme (Unep) che ha presentato alla Cop 18 il rapporto Policy Implications of Warming Permafrost il permafrost che copre circa un quarto dell'emisfero nord (comprese anche aree delle Alpi), potrebbe contenere fino a 1.700 gigatonnellate di CO2, cioè il doppio della quantità presente attualmente nell'atmosfera e “Se lo scioglimento dei ghiacci prosegue al ritmo previsto dalle modellizzazioni del clima, la liberazione dei gas serra stoccati nei ghiacci del permafrost amplificherà il riscaldamento climatico in maniera significativa”. Per l’ultimo rapporto Trends in global CO2 emissions (.pdf) pubblicato a luglio dal Joint Research Centre della Commissione Europea, malgrado gli sforzi di riduzione promessi da molti paesi industrializzati e la fase di bassa crescita frutto della crisi economica, le emissioni di CO2 sono cresciute su scala globale anche nel 2011, facendo segnare un deciso +2,7%. Valutazioni poco rassicuranti arrivano anche dalla World Meteorological Organization che nell’ultimo bollettino avverte come tra il 1990 e il 2011 si sia verificato un incremento del 30% dell’influenza della CO2 antropica nell’atmosfera. A mettere definitivamente in guardia sugli effetti negativi di un clima fuori controllo è anche il nuovo rapporto Turn Down the Heat commissionato dalla Banca Mondiale al Potsdam Institute for Climate Impact Research. La raccomandazione di questi report è sempre e soltanto una sola: concertare un’azione ambiziosa, repentina e condivisa da tutte le parti in gioco per mantenere la Terra sotto il celebre tipping point dei 2°C di aumento della temperatura mondiale, visto che gli impegni di riduzione attuali ci stanno portando verso una via di non ritorno, con un surriscaldamento stimato tra i 3.5°C e i 6°C. Il Pianeta, insomma, è sulla buona strada per raggiungere un aumento della temperatura di 4° C entro il 2100, condannando le nuove generazioni ad un futuro di tempeste e ondate di calore estreme, scorte alimentari in calo, perdita di ecosistemi e biodiversità, e un aumento del livello del mare incompatibile con la vita.
Insomma per chi non se ne fosse accorto quello che stiamo vivendo “Non è un cambio di stagione” (come ci ricordava Martín Caparrós con una critica costruttiva all’emergenza climatica pubblicata nel 2011) e per questo “È fondamentale approvare già a Doha il rinnovo degli impegni previsti dal Protocollo di Kyoto, in scadenza alla fine di quest’anno” ha dichiarato lunedì scorso Mauro Albrizio, responsabile delle Politiche Europee di Legambiente. Sino ad ora, tra i paesi industrializzati, hanno garantito la sottoscrizione i 27 membri dell’Unione europea, la Svizzera e la Norvegia, più o meno il 15% delle emissioni globali. Mentre Australia e Nuova Zelanda devono ancora assumere una decisione finale, Paesi come USA, Canada, Giappone e Russia si sono già detti contrari. Purtroppo “Nonostante le perpelssità il Kyoto 2 è uno strumento indispensabile a garantire la transizione verso il nuovo accordo globaleha concluso Albrizio.
Per Legambiente ed altre ong internazionali presenti a Dhoa una soluzione di buon senso esiste: “ma restano ancora da sciogliere alcuni nodi giuridici per risolvere la questione spinosa del surplus di emissioni di CO2 dei Paesi industrializzati - ha spiegato Wael Hmaidan, direttore di Climate action network -. Se si continua a consentire la possibilità di vendere sul mercato delle emissioni di CO2 le quote in eccesso, si rischia di rendere virtuali gli impegni di riduzione dei paesi acquirenti”.

Altra decisione fondamentale per il buon esito di Doha riguarda gli aiuti ai Paesi poveri. “Per sostenere i loro impegni di riduzione e di adattamento ai cambiamenti climatici in corso nel periodo di transizione 2013-2015 occorre un sostegno finanziario annuo di almeno 10-15 miliardi di dollari” ha spiegato Samantha Smith, responsabile Global climate and energy work del Wwf. “Serve, infine - ha concluso Albrizio - l’eliminazione entro il 2020 dei sussidi ai combustibili fossili. Si tratta di circa 800 miliardi di dollari l’anno che potrebbero essere invece destinati a sostenere azioni a favore delle energie rinnovabili. Oltre 110 Paesi si sono già espressi a favore di una decisione ormai non più rinviabile”.
Staremo a vedere, ma una cosa è certa: Doha in questi ultimi 5 giorni di lavoro deve inviare segnali importanti sul fatto che il mondo possa ancora riuscire a mantenere il riscaldamento entro limiti tollerabili, oppure chiarire se siamo diretti verso un grave caos climatico che relegherà l’ambiente a “far notizia” solo in concomitanza di catastrofi sempre meno naturali e sempre più diverse da un normale cambio di stagione.
Alessandro Graziadei

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