Per Human Rights Whatch il 2014 non ha visto miglioramenti significativi in materia di tutela dei diritti umani in Iran durante questo primo anno di presidenza di Hassan Rouhani. “Elementi repressivi all’interno delle forze dell’ordine e dei servizi segreti e la magistratura continuano ad avere ampi poteri e ad essere i principali responsabili delle violazioni dei diritti umani. Le esecuzioni, in particolare per reati di droga, continuano ad un ritmo serrato. Le forze dell’ordine e i servizi segreti hanno arrestato giornalisti, blogger e attivisti dei social media, e i tribunali rivoluzionari hanno emesso dure condanne contro di loro”. Tra di loro anche Hossein Ronaghi Maleki, probabilmente uno dei più famosi attivisti iraniani, che a neanche un anno dal rilascio è stato nuovamente arrestato il 28 febbraio scorso, lo stesso giorno che a Teheran il nostro Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni incontrava il suo omologo iraniano Mohammed Javad Zarif.
Il blogger ventinovenne, già noto sul web con il nickname di Babak Khorramdin (un antico eroe popolare protagonista nell’800 d.C. di una strenua ribellione contro il califfato Abbaside e simbolo quindi dell’orgoglio nazionale iraniano), abile nell’aggirare le censure e i limiti imposti alla rete dal regime, era stato arrestato nel 2009, durante le proteste del Movimento verde seguite alle elezioni presidenziali vinte da Ahmadinejad. Se i leader del Movimento Verde Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi sono ancora oggi definiti dai politici iraniani “nemici del regime” e dal 2011 sono costretti agli arresti domiciliari (più volte per loro è stata chiesta la pena di morte) ad Hossein non era andata meglio ed era stato condannato a 15 anni con le accuse di "propaganda contro il Governo e di insulti al Presidente".
Rinchiuso nel famigerato carcere di Evin di Teheran dove è stato sottoposto ad umiliazioni e torture durante la detenzione ha contratto una pericolosa malattia renale che, nel 2012, lo ha portato vicino alla morte. Liberato in extremis dal regime, è stato nuovamente arrestato nel gennaio del 2013, insieme al padre Ahmad e al fratello Hassan: la sua colpa è stata quella di essersi recato, con altri 33 attivisti per i diritti umani, ad aiutare le vittime del terremoto che colpì la regione dell’Azerbaijan iraniano. In quell’occasione, i Pasdaran accusarono i 33 volontari essere "nemici dello Stato e di mettere in pericolo la sicurezza nazionale". Condannato ad altri due anni di carcere, Hossein Ronaghi Maleki è tornato ad ammalarsi gravemente. I suoi avvocati tentarono di ottenere la libertà condizionale per il giovane blogger iraniano, ma senza successo.
Solamente la dichiarazione pubblica di uno sciopero della fame e il conseguente ricovero in ospedale convinsero il regime iraniano a concedere al giovane attivista la libertà condizionata nel settembre del 2014. La sua liberazione aveva fatto ben sperare, non solo per la salute di Hossein, ma anche per tutto il movimento democratico iraniano, visto che assieme al blogger era stato liberato l’attivista e difensore dei diritti delle minoranze arabe in Iran Abdullah al Mansour, già condannato a morte in passato, ed ora ritornato in Olanda essendo un iraniano di cittadinanza olandese e il giornalista riformista Mehdi Mahmoudian arrestato nel settembre 2009 e condannato a cinque anni di prigione per “raduni e collusione contro il regime”, scontati in buona parte nella prigione di Rejaishahr a Karaj.
Una speranza vana. Ora, denuncia il padre Ahmad Ronaghi Maleki al sito Iran Wire, Hossein è stato di convocato dal Tribunale Rivoluzionario, accampando la necessità di nuovi controlli medici, non è mai tornato a casa e si trova di nuovo a Evin, la prigione dove sono di solito detenuti i prigionieri politici del regime. Hossein, ha spiegato Ahmad, che da giorni staziona davanti all’ufficio del procuratore in segno di protesta, è ancora malato e non può restare in carcere. “Io - ha detto - siederò qui indossando un lenzuolo, porterò con me della benzina e se non mi risponderanno, mi darò fuoco. Se tenteranno di impedirmelo, brucerò anche loro con me. Le autorità hanno preso Hossein senza alcuna ragione. Hanno anche contraddetto lo stesso perdono concesso dalla Guida Suprema. È stato convocato dal giudice con un pretesto ed è stato arrestato”. Ahmad ha anche rivelato che, per protestare contro il suo nuovo arresto, il figlio ha dichiarato nuovamente lo sciopero della fame, ma le sue condizioni di salute, ha spiegato la famiglia, non sono buone e il nuovo sciopero rischia adesso di ucciderlo.
Intanto il 4 marzo 2015 sei prigionieri musulmani sunniti, Jamshid e Jahangir Dehgani (fratelli), Hamed Ahmadi e Kamal Molayee, Sedigh Mohammadi e Hadi Hosseini appartenenti alla minoranza etnica curda in Iran sono stati messi a morte nel carcere di Rajaishahr (Karaj). Secondo l'Iran Human Rights (IHR) le loro famiglie e molti ben noti difensori dei diritti umani e altre persone si erano radunate fuori dal carcere alcune ore prima dell’esecuzione. L'IHR ha condannato fermamente le esecuzioni dei sei detenuti e ha invitato la comunità internazionale a fare altrettanto. Mahmood Amiry-Moghaddam, portavoce di IHR ha dichiarato: “Noi riteniamo Ali Khamenei, leader supremo delle autorità iraniane responsabile di questo atto disumano. La comunità internazionale, e in particolare i paesi coinvolti nel dialogo con l’Iran devono condannare queste esecuzioni. Il mondo deve dimostrare che il dialogo con le autorità iraniane riguarda anche i diritti umani”.
Un appello che dovrebbe ascoltare anche l’Italia, ma nonostante la recente visita di Gentiloni nessuna dichiarazione è però ancora stata fatta contro gli abusi costanti che commette il regime iraniano. Eppure oggi un’azione della Farnesina contro la pena di morte e per la liberazione di Hossein Ronaghi Maleki rappresenterebbe una buona occasione per dimostrare l’impegno della diplomazia italiana nel rispetto dei diritti umani a livello internazionale.
Alessandro Graziadei
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