I migranti oggi non sono persone, ma sono “esodi”, “colonizzazioni”, “invasioni”, oppure il più giornalistico ed evocativo “ondate”, visto che arrivano soprattutto dal mare. Non piace questa parola neanche ad Erri de Luca. Per lo scrittore napoletano mass-media e pubbliche autorità “Dicono ondate migratorie, suggerendo in convinta malafede l’effetto difensivo. Se sono ondate, cosa deve fare un litorale per proteggersi? Respingerle con dighe, scogliere, sbarramenti. Le ondate invadono, sommergono. Ma non sono ondate. Sono invece flussi migratori. A definirli flussi però si perde tutto l’effetto difensivo, di paura di fronte a un pericolo. Chi si permetterebbe d’interrompere un flusso? È un crimine strozzare la circolazione. Sono flussi: rinnovano le fibre di una comunità che invecchia e che rallenta il rimpiazzo delle nascite. Sono flussi: vanno a riempire di nuova energia i lavori pesanti che la comunità anziana ha smesso di eseguire. Aggiungono fertilità di nascite e varietà di culture”.
Oggi mentre questi flussi di persone annegano, la politica italiana prova a trovare delle soluzioni ma il più delle volte si limita ad utilizzare l’argomento per delle polemiche politiche amaramente sintetizzate dalla presidente di Emergency: “Che poi - ha scritto Cecilia Strada - con 80 milioni di euro al giorno che se ne vanno in spese militari, con 23 miliardi l'anno che se ne vanno in corruzione e sprechi nella spesa sanitaria, con questo e con quell'altro, se gli italiani faticano ad arrivare a fine mese è sicurameeente colpa dei migranti, certo, come no”. E l’Europa che fa? Mercoledì scorso ha provato a disegnare una soluzione con più mezzi e più soldi per la sorveglianza e i salvataggi e un nuovo sistema di distribuzione su base obbligatoria da 20mila posti per i richiedenti protezione internazionale smistati nell'Unione (ma al momento sono solo 4 i paesi disponibili mentre 18 non farebbero nulla) in base a Pil, popolazione e occupazione. Convince decisamente meno però l’idea di mettere in mare anche un’operazione “antiscafisti Ue-Onu nel Mediterraneo e sulle coste libiche”. Il piano operativo europeo sarà presentato dalla Commissione entro fine maggio e i ministri europei ne parleranno a metà giugno. Ci saranno a quanto pare anche fondi aggiuntivi: 50 milioni per reinsediare i rifugiati, 30 per i programmi di aiuto nei Paesi terzi, oltre ad un centinaio per l'operazione Triton e una decina di fondi vari. Fanno 190 milioni. Oltre il doppio di quanto c’era finora in cassa alla voce “Immigrazione”. Ma servirà? Sì perché l’impressione è che l’importante sia evitare che i migranti muoiano nel Mare Nostrum delle nostre vacanze estive. Meglio che non scommettano su un futuro migliore e muoiono di fame o tra le bombe di qualche guerra o nel disastro che abbiamo creato in Libia, lì almeno non li vediamo e stiamo tutti più tranquilli.
Per Gabriele del Grande che raccoglie da anni dalle diverse sponde del Mediterraneo sul suo blog Fortress Europa, oltre alla tragica contabilità delle morti nel Mediterraneo, storie migranti come il film-documentario “Io sto con la sposa” fare qualcosa, se si vuole, è possibile. Poche le ricette per l’Europa: “Riunire subito i governi africani per riscrivere le regole sui visti”; “Fare pressione sulla comunità araba e internazionale per una soluzione politica in Libia”; “Semplificazione dei visti Schengen e unificazione del sistema d'asilo e di immigrazione in Europa. Cioè un documento di soggiorno comune valido per circolare e lavorare in tutta Europa. Affinché sia il mercato del lavoro a farti scegliere dove fermarti e rifarti una vita in Europa e non la burocrazia”. Infine “Non dimenticate la Siria. Perché è la più grave crisi umanitaria nel Mediterraneo degli ultimi decenni. Una crisi che ha messo in fuga 12milioni di persone tra rifugiati e sfollati interni. Poi ovviamente serve sul lungo termine un'azione politica che ponga fine alla guerra, alla dittatura e al terrorismo. Perché è l'unica condizione affinché 12milioni di profughi possano tornare nella loro terra oggi così dilaniata”.
L’Europa fino ad oggi è rimasta sorda a questo genere di appelli e porta il peso di molte delle morti in mare da quando ha deciso di sfuggire alle proprie responsabilità nei confronti dei migranti e lasciare ai check-in l'onere di decidere chi è un rifugiato e chi non lo è. Sì perché sapete cosa davvero impedisce hai rifugiati di volare regolarmente verso l’Europa invece che consegnare la propria vita a degli scafisti? Quasi tutti possono permettersi il biglietto (che costa spesso di gran lunga meno del prezzo pagato per l’attraversata in mare) e possono raggiungere un aeroporto, ma non prendere un aereo grazie alla direttiva 2001/51/EC che dice agli stati membri dell’Unione come combattere l’immigrazione “illegale”. Secondo questa direttiva ogni compagnia aerea o navale che imbarchi una persona senza documenti e non riconducibile allo status di rifugiato deve pagare i costi del biglietto di viaggio di ritorno di questa persona nel suo Paese d’origine. “Visto che nessun check-in ha le competenze e la possibilità di valutare lo status di un rifugiato dei migranti senza documenti rimane un’unica alternativa: i viaggi della speranza in mare che causano migliaia di annegati” ha spiegato Hans Rosling, medico ed esperto di statistica.
Ma solo i più poveri, sfortunati e privi di documenti muoiono. Perché come ci ha ricordato il sociologo Enrico Pugliese, “oggi l’ingresso in Italia e in Europa dei migranti che hanno i documenti avviene soprattutto attraverso scali aeroportuali o varcando le frontiere di terra, grazie a un regolare visto turistico”. Secondo l’ultimo rapporto di Frontex, ad aprile sono 23mila le persone arrivate via mare, a fronte delle 34 mila che hanno scelto la terraferma, attraverso la rotta dei Balcani occidentali, per raggiungere la Slovenia e l’Ungheria e poi giungere in Germania o in un altro paese del Nord dell’Europa, ma di queste persone si parla poco. Come mai? Forse perché la strillata emergenza non è tale? Come in altre parti del mondo l’immigrazione non è un’emergenza, ma un fenomeno strutturale ed alcuni dati sembrano ridimensionare l’ondata. Come ha detto la portavoce Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), Carlotta Sami, “non siamo in una situazione di emergenza. Siamo in una situazione difficile, ma strutturale”. Per quanto riguarda i numeri, i migranti arrivati in Italia nei primi quattro mesi di quest’anno sono meno di quelli arrivati nello stesso periodo del 2014. Secondo l’Unhcr, “tra gennaio e aprile del 2015 sono arrivati in Italia 26.165 migranti, mentre negli stessi mesi del 2014 ne erano arrivati 26.644”. Ma se non sono aumentati gli arrivi, sono aumentate le morti in mare a causa della fine del programma di pattugliamento delle frontiere Mare nostrum, che si è interrotto il 1 novembre del 2014. Nei primi quattro mesi di quest’anno sono morte circa 1.700 persone che cercavano di attraversare il Mediterraneo, mentre si stima che nello stesso periodo del 2014 ne siano morte "sole" 96.
Allora sono le richieste d'asilo ad allarmare? Secondo le cifre fornite da Eurostat a marzo 2015 sono 626 mila le persone che hanno fatto richiesta d’asilo in Europa nel 2014, 191 mila in più rispetto al 2013. L’Italia è solo il terzo paese in termini di domande ricevute, dopo Germania e Svezia nonostante i richiedenti asilo in Italia siano cresciuti in un anno del 143%. Se però si prende in esame il rapporto tra richiedenti asilo e popolazione totale, la media Ue è di 1,2 richiedenti asilo ogni mille abitanti, l’Italia si colloca leggermente al di sotto della media europea con 1 rifugiato ogni mille abitanti. In Svezia il numero sale a 8,4 ogni mille abitanti, in Ungheria a 4,3, in Austria a 3,3 e in Germania a 2,5. A livello mondiale, poi, il numero più alto di richiedenti asilo è accolto nei paesi in via di sviluppo. Stando ai dati statistici per ora quindi non c’è “un’emergenza accoglienza” ne in Europa ne in Italia, tanto che il nostro ministero dell’Interno non parla di un piano straordinario, quanto piuttosto di una “redistribuzione del numero di migranti tra le regioni tra quelle del Sud che da sole accolgono quasi il 50% di coloro che arrivano e quelle del nord" che a volte si rifiutano di accogliere.
A quanto pare quello che il teologo tedesco Franz Hinkellammert chiama, a ragione, “genocidio strutturale” e non “tragedia dell’immigrazione”, è il risultato non tanto di un’emergenza, ma di un’indifferenza dei governi e di una popolare ostilità, che ci trattiene dall’intervenire subito e concretamente salvando definitivamente molte vite umane. Sarà capace l'Europa di cambiare rotta non all'immigrazione, ma alla sua volontà d'accoglienza?
Alessandro Graziadei
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