Come ricorda spesso Erri de Luca non dovremmo dimenticarci mai che “Al mondo esiste più sud che nord. Il sud non si limita al suo emisfero legittimo, ma supera l’equatore, attraversa l’Africa, si affaccia sul Mediterraneo, lo naviga fino in cima. L’Italia, la Grecia, la Spagna appartengono a questo sud maggioranza del mondo. Da noi il nord non c’è. Qualche frastornato geografo ogni tanto dice che abita al nord, ma è come se un calabrese si dichiarasse settentrionale perché sta più al nord della Sicilia. In Italia il nord non esiste. Apparteniamo tutti al sud del mondo, siamo una delle sue sfumature”. Eppure c’è una brutta e razzista tradizione che scarica sul sud sia i luoghi comuni, che i rifiuti speciali. Lo abbiamo fatto per anni in Somalia, spesso con il patrocinato dalla ‘Ndrangheta, con un traffico denunciato da Ilaria Alpi, che ha pagato la sua inchiesta con la vita e oggi lo conosciemo grazie al lavoro di giornalisti come Paul Moreira con il suo Toxic Somalia e di ong come Greenpeace e Legambiente. Eppure, in Italia, non occorre andare così a Sud per seppellire i rifiuti che il nord produttivo vuole smaltire risparmiando.
Per anni è bastato andare fino a Casal di Principe, in provincia di Caserta, per la precisione in via del Pozzo, alle spalle dello stadio comunale, in un lotto di terra confinate con un gruppo di case che alcuni collaboratori di giustizia e il camorrista pentito Carmine Schiavone (prima di morire lo scorso febbraio) hanno indicato come un sito utilizzato per l'interramento di rifiuti tossici e speciali che arrivavano regolarmente dal nord Italia. Negli anni passati questo pezzo di terreno è stato più volte oggetto di indagine da parte dei magistrati, ma lì sotto nessuno era mai andato a vedere se effettivamente esiste una discarica di rifiuti tossici. Ora il Pm Catello Maresca ha ordinato di vedere se questi rifiuti tossici ci sono davvero e lo scorso sette giugno, finalmente, sono entrati in funzione gli escavatori che hanno già trovato fanghi industriali, idrocarburi, materiali ferrosi e plastiche di varia natura, tutte sostanze altamente inquinanti rimaste sepolte per 30 anni. Ad effettuare le operazione di scavo l’Agenzia regionale protezione ambientale Campania (Arpac), i Vigili del Fuoco di Napoli e il Corpo forestale dello Stato guidato dal comandante regionale per la Campania Sergio Costa che ha dichiarato come già “Dopo i primi metri scavati dalle ruspe sono emersi materiali di risulta dell’edilizia, usati probabilmente per compattare il terreno, e poi fanghi maleodoranti di colore verdastro che saranno analizzati dai nostri laboratori”.
Gli scavi sono andati avanti nelle scorse settimane in tutto il sito sequestrato fino a raggiungere la falda acquifera, per capire una volta analizzata se, pure questa, è inquinata da questi nauseabondi fanghi tossici seppelliti in quella Terra dei fuochi che dopo aver visto appestata l’aria, fa i conti anche con la malora del suo sottosuolo. I collaboratori di giustizia hanno parlato spesso di rifiuti tossici interrati almeno ad una ventina di metri, poi ricoperti con uno strato di terra e infine nuovamente ricoperti con un altro strato di rifiuti meno pericolosi. Se si dovesse riscontrare che sotto quel terreno c’è stato questo “impacchettamento” di rifiuti, è certo che gli scavi continueranno per settimane. Pino Ciociola, giornalista di Avvenire che da anni si occupa di denunciare gli scempi della Terra dei fuochi ha parlato di “fanghi duri, compatti, grigi, con striature verdognole. Si spaccano, battendoli, con facilità. Probabilmente c’è cromo, che viene usato anche nelle concerie. E chissà cosa può esserci ancora più sotto, più vicino alla falda”. Ma la squadra del comandante Costa scaverà anche in altri due punti del paese: “Hanno fatto dei rilevamenti geomagnetici e i valori sono letteralmente, in uno dei siti, schizzati per aria. Non si sa quello che troveranno ma uno di quei terreni era perfetto per sversare rifiuti tossici e di difficile gestione. La verità è che nella terra dei fuochi se vai a bucare il terreno trovi roba” ha concluso Ciociola.
Per ora dai dati dei tecnici dell’Arpac pare almeno non siano state rivelate sostanze radioattive, ma questo non consola chi come Tina Zaccaria, una delle mamme della Terra dei fuochi, ha perso la figlia per un tumore. “Eppure a noi il presidente Napolitano quando ci recammo al Quirinale con le foto dei nostri figli morti di cancro in questa terra e proprio io gli chiesi quali misure preventive lo Stato avesse preso negli anni circa le dichiarazioni di Schiavone, rispose che Schiavone mente, dice solo stupidaggini e le può dire nelle TV pubbliche” ha scritto la mamma-attivista. Eppure, come ha ricordato Ciociola sempre su Avvenire, “Anche Gaetano Vassallo, il ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi ha dichiarato che I rifiuti ufficialmente venivamo smaltiti, ma finivano nei campi, sotto la Nola-Villa Literno, nei terreni incolti, in altre cave. Tutto senza controllo […] Facemmo un macello, li abbiamo scaricati nei terreni dei contadini”. Non solo: “Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli e mi spiegò che era un procacciatore di imprenditori del Nord che potevano inviarci i rifiuti”. Un affare che “pagava” settecento milioni di lire al mese solo per il trasporto dei rifiuti.
Si scava quindi con vent’anni di ritardo in una situazione a lungo rimasta nell’indifferenza generale dello stato e delle istituzioni, nonostante le decine di morti sospette, ma si va nella direzione auspicata qualche mese fa da Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania: per il quale serve “un’azione rivoluzionaria che restituisca chiarezza e trasparenza sullo stato di contaminazione di questo territorio, dei suoli e delle falde, che predisponga le adeguate misure di bonifica e di contrasto alle illegalità e che dia tutte le informazioni necessarie ai cittadini”. L’unico modo per portare avanti anche un’azione di valorizzazione e di difesa di un territorio, quello campano, che non è solo la discarica del Nord, ma può ancora rappresentare un modello agricolo virtuoso capace di regalare lavoro dignitoso e prodotti sani e di eccellenza.
Alessandro Graziadei
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