Gli ecosistemi che sorreggono l’economia, il benessere e la sopravvivenza del nostro pianeta sono al collasso. Le specie animali e vegetali si estinguono a ritmi che non hanno precedenti e il clima attraversa un drammatico cambiamento di natura antropica che non sembra poter essere arginato. Eppure, nonostante questo realistico quadro, dal World Conservation Congress dell’International union for conservation of nature (Iucn) ospitato dall’1 al 10 settembre alle Hawaii, emerge che una salvifica svolta ecologica è ancora possibile. Per questa ong internazionale, con sede in Svizzera, che dal 1948 si impegna a “persuadere, incoraggiare ed assistere le società di tutto il mondo nel conservare l’integrità e la diversità della natura e nell’assicurare che qualsiasi utilizzo delle risorse naturali sia equo ed ecologicamente sostenibile”, la conservazione della natura e il progresso umano non si escludono a vicenda. “Di fronte a enormi forze di trasformazione e degrado, ci sono scelte politiche, economiche, culturali e tecnologiche credibili e accessibili che possono ancora favorire e persino migliorare le risorse naturali del nostro pianeta promuovendo il benessere generale” ha spiegato l’Iucn nel documento che ha aperto i lavori del congresso.
Certo è che questo percorso conservativo per essere credibile e praticabile, ha bisogno bisogno di nuove partnership in tutto il pianeta, tra governi, organizzazioni non governative, ambientalisti, scienziati, consumatori, produttori, urbanisti, imprenditori, organizzazioni indigene e finanziatori: “Ogni soggetto è in possesso di un pezzo fondamentale del puzzle e abbiamo bisogno di portare questi pezzi insieme e collettivamente completare il più grande enigma mai tentato: garantire sistemi di supporto e tutela della natura in modo che la vita possa continuare a prosperare sulla Terra”. È questa la sfida collettiva per i prossimi 15 anni secondo l’Iucn e non è solo un'utopia. Alcune buone notizie, anche se ancora in ordine sparso, sono già state annunciate durante questi 10 giorni di lavori e fanno ben sperare. La prima, sicuramente la più mediatica, riguarda l’animale simbolo per eccellenza nella lotta alla conservazione delle specie animali: quel panda gigante scelto anche dal WWF come volto delle proprie battaglie che da quest’anno non è più una specie “a rischio estinzione”.
Il mantenimento e l’aggiornamento periodico della Red List of Threatened Species o Lista Rossa delle Specie Minacciate, il più completo inventario del rischio di estinzione delle specie animali mondiali, è l'attività più nota ed influente condotta dalla Iucn. Nel 1965 l’ong aveva definito “rarissimo” e “a rischio estinzione” il panda gigante, ma dopo decenni di sforzi fatti di un’attenta politica di conservazione delle foreste in cui cresce il bambù che nutre l’animale, oggi il panda è rientrato nella più sicura categoria del “vulnerabile” e conta ben 1.864 adulti censiti in libertà. Non è però il caso di dormire sugli allori, per gli esperti dell’Iucn, infatti, “il cambiamento climatico potrebbe distruggere il 35% della foresta in cui cresce il bambù che alimenta i panda giganti nei prossimi 80 anni” e rimettere così seriamente a rischio l’esistenza della specie. “Assieme al bracconaggio, la distruzione dell’habitat, risulta la principale minaccia di estinzione” ha spiegato Carlo Rondinini, professore alla Sapienza di Roma e coordinatore della Red List per quanto riguarda la sezione mammiferi. “Oggi abbiamo rivisto la classificazione di circa metà delle specie. Ci sono alcuni successi da celebrare, ma dovremmo usare questi esempi positivi anche per aiutare gli animali e gli habitat che restano a rischio”. Se, infatti, gli sforzi della Cina per preservare le foreste in cui cresce il bambù sono stati premiati, nella Repubblica Democratica del Congo si stanno restringendo sempre più gli spazi vitali in cui abita il gorilla, la più grande fra le specie di primati. Questo ominide, nell'ultima revisione della Lista Rossa è finito nella categoria "gravemente a rischio", visto che la sua popolazione è diminuita di oltre il 70% in 20 anni e oggi non supera le 5mila unità.
La tutela dell'ambiente sembra una lezione fatta propria dal Messico che in occasione di questo congresso ha annunciato che “Per la fine di quest’anno, tutte le isole del Messico saranno aree protette”. Il nuovo commissario messicano per le aree naturali protette, Alejandro Del Mazo, ha sottolineato nel suo intervento alla sessione inaugurale del World Conservation Congress, come il suo Paese stia “lavorando al Decreto de protección di una nova area nel Caribe messicano di 5.5 milioni di ettari, che ospita una delle maggiori ricchezze naturali marine e che fa parte del Sistema Mesoamericano, che condividiamo con Belize, Guatemala e Honduras”. Un’iniziativa nata per rispettare entro il 2018 gli obiettivi di Aichi della Convention on biological diversity (Cbd), tra i quali è stata stabilita la protezione del 17% delle aree terrestri e delle acque continentali e del 10% delle aree marine e costiere”. Inoltre mentre in Italia ci avviamo allo smantellamento del Corpo forestale dello Stato, Del Mazo ha annunciato la creazione in Messico di una División ambiental de la Gendarmería per proteggere le aree naturali protette, viste sempre più come “meccanismi efficienti ed efficaci per la conservazione della natura e per il raggiungimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile”.
Anche se molte associazioni ambientaliste messicane avranno non poche cose da obiettare attorno a questa versione agiografica dell’impegno green del Governo messicano i trattati firmati a livello internazionale sembrano coraggiosi. Occorre adesso capire se e quando verranno realizzati e se le buone notizie uscite dall’ultimo congresso dell’Iucn avranno un seguito internazionale.
Alessandro Graziadei
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