A Milano nel Municipio 4, a 7 km dal Duomo di Milano, c’è un quartiere che ospita una stazione dell’Alta Velocità, la sede di Sky, e forse potrebbe ospitare anche un centro per le Olimpiadi del 2026. È Rogoredo, una sorta di area franca dello spaccio in “concessione” alle organizzazioni criminali che hanno conquistato un territorio urbano condizionando molti aspetti del locale contesto sociale e influenzando anche il mercato immobiliare. Una strategia criminale che ha portato alla “conquista” del territorio e all’eliminazione della concorrenza, anche rispetto alle vendite online di droga, con due drammatiche conseguenze: l’utenza è sempre più giovane e la mortalità dei tossicodipendenti sempre più elevata. Come ha recentemente ricordato Riccardo Gatti, direttore dell’Area penale e penitenziaria del Servizio dipendenze di Asst Santi Paolo e Carlo, che a Milano gestisce i Sert dentro le tre carceri di Bollate, Opera, San Vittore e il presidio stabile degli assistenti sociali in Tribunale, “il mercato di stupefacenti a cielo aperto, visibile a tutti e nel cuore di un quartiere, offre altre possibilità di guadagno che non hanno a che fare solo con spaccio e traffico” visto che “il denaro ricavato che mantiene in vita il franchising della droga offre la possibilità di mettere le mani su porzioni sempre più ampie di città”.
È probabilmente questo il significato di zone di spaccio così evidenti come succede solo in poche altre parti d’Italia. “A Mestre hanno fatto operazioni con 300 uomini delle forze dell'ordine e gli elicotteri per liberare il territorio, sono situazioni che, con queste proporzioni, non si vedevano dai tempi di Don Mazzi al Parco Lambro” ha recentemente ricordato Gatti. “Sono luoghi simbolici, perché si potrebbe vendere la stessa sostanza con meno rischi e in maniera meno evidente, per esempio con i ragazzi in motorino e invece si preferisce creare il fortino”. Perché? Vendere le sostanze sottocosto, a cinque-dieci euro a dose, non offre guadagni immediati, ma permette la conquista del territorio e fa arrivare i clienti. Solo a questo punto le organizzazioni criminali “tirano le rete” su un mercato di tossicodipendenti che nel frattempo sono diventati cronici e fidelizzati. Un fenomeno che ha esaminato anche Sonia Bergamo, dottoranda di sociologia all’Università Bicocca di Milano che lavora da oltre 10 anni sulle dipendenze e sta svolgendo una ricerca proprio sul caso Rogoredo, una realtà molto rilevante per chi si occupa di questi fenomeni visto che le concentrazioni così elevate di consumo e spaccio a cielo aperto non sono più così frequenti, soprattutto dopo la fine degli anni ’90.
La dottoressa Bergamo ha iniziato la sua ricerca nel novembre del 2016 e prevede di concluderla nel novembre di quest’anno. Come ha dichiarato a Vita.it lo scorso mese “La metodologia di ricerca qualitativa che ho utilizzato include una triangolazione di tecniche tra cui circa 40 interviste, osservazione partecipante scoperta per un totale di 70 giorni e due focus group”. I principali gruppi di attori sociali inclusi nella ricerca sono: consumatori di sostanze, forze dell’ordine, residenti del quartiere, pendolari, commercianti, operatori sociali e i clienti della prostituzione. Anche se è prematuro parlare di veri risultati, visto che la ricerca è ancora in corso, quello che più ha colpito la sociologa è “l’esistenza di un mercato della prostituzione giovanile sottocosto che si affianca alla piazza di spaccio”. Forse anche per questo il contesto di Rogoredo raggruppa molte tipologie di consumatori che si recano qui da tutta la Lombardia e anche oltre. "I più visibili sono quelli che non hanno una casa e un lavoro e fanno accattonaggio in Stazione, sulla metro e sui treni. Poi ci sono i consumatori più integrati, che a Rogoredo si recano per comprare eroina o cocaina e poi se ne vanno. Si può distinguere anche tra due diverse generazioni di consumatori: quelli “vecchio stampo”, che vengono dagli anni dell’epidemia causata dell’eroina, e i giovanissimi, che non hanno memoria della strage di quegli anni. Ci sono anche molti stranieri, soprattutto nordafricani".
Anche se molti dei consumatori osservati nel corso dell’indagine della dottoressa Bergamo si rivolgono già ai Ser.D. cioè ai servizi pubblici per le dipendenze patologiche del Servizio Sanitario Nazionale, la popolazione più difficile da agganciare è quella dei giovanissimi consumatori, che si avvicinano all’eroina fumandola. “I giovanissimi, se conoscono questi servizi, non si identificano con l’utenza che normalmente li frequenta e non vi si rivolgono. Per questo è fondamentale la presenza di unità di strada con operatori che si recano laddove il consumo avviene, per svolgere attività di limitazione dei rischi e riduzione del danno”. Ma esistono delle soluzioni? Una delle possibili, almeno per cercare di limitare il numero dei decessi, potrebbe essere l'uso di “stanze del consumo”, cioè dei luoghi protetti ed igienicamente adeguati per consumare sostanze con la supervisione di un operatore formato. Sono dispositivi diffusi in molte città europee che hanno dimostrato la loro efficacia nel ridurre la mortalità e la diffusione di malattie droga-correlate, ma ha ricordato la Bergamo, “sono interventi che funzionano se inseriti in un complesso di azioni che comprendono anche i servizi di cura e prevenzione”.
Forse Milano, città dalla vocazione europea e internazionale, non dovrebbe perdere questa occasione di aprire finalmente le porte alla prima sperimentazione italiana di una stanza del consumo, ricordando come ha suggerito Gatti, che qualsiasi politica di contrasto alla tossicodipendenza dovrebbe tenere presente che “La guerra alla droga non si riduce alla sola battaglia contro il legame fra tossicodipendenza e criminalità”, e servirebbero “più operazioni strategiche per risultati complessivi più ampi e di lungo periodo e meno operazioni tattiche per ottenere legalità in un solo luogo”. Siamo, infatti, davanti ad un problema di governo delle dipendenze a livello italiano che si può affrontare solo “mettendo insieme teste che si occupano di sicurezza, ma anche di analisi di mercato, di politica internazionale, organizzazione urbana, problemi sociali e terapia della dipendenza”. Un invito che fa a pugni con i livelli del dibattito politico sulla situazione milanese: “Su Rogoredo – ha concluso Gatti – si stanno attualmente dicendo due cose opposte: costruire un muro e chiudere la piazza di spaccio con una prova muscolare per ripulire l’area. Contemporaneamente si discute se metterci un presidio medico e sanitario permanente per seguire i tossicodipendenti. Le due cose non possono stare assieme, perché se lo spaccio se ne va, il presidio non serve a nulla”.
Alessandro Graziadei
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