Negli ultimi anni in Sud-Est asiatico c’è stato un fiorire di forum per la cooperazione regionale e il Mekong è diventato un obiettivo geopolitico per molte grandi potenze, in primis la Cina, che per gestire i suoi interessi nell’area ha lanciato la Lancang-Mekong Cooperation Mechanism che con la scusa dello sviluppo locale finanzia un gran numero di progetti energetici a base di dighe idroelettriche. Dodicesimo fiume al mondo per lunghezza, ma secondo solo al Rio delle Amazzoni per biodiversità, il Mae Nam Khong, la Madre delle acque, come è chiamato in Thailandia il Mekong, è oggi una importante via di comunicazione e una fondamentale fonte di cibo per quasi 65 milioni di persone, capace di garantire 2,6 milioni di tonnellate di pesci all’anno e di consentire l’irrigazione dei campi di riso in una regione che è in testa alle classifiche mondiali per le esportazioni di questo cereale. Proprio per riuscire ad affrontare la gestione delle acque e lo sviluppo sostenibile di questa preziosa risorsa nel 1995 è nata la Mekong River Commission (Mrc), un forum inter-governativo di cui fanno parte Thailandia, Cambogia, Laos e Vietnam, mentre Birmania e Cina sono per scelta solo “dialogue partner”. Forse non a caso, visto che Pechino pur parlando ufficialmente di quest’area come di una “comunità dal futuro condiviso”, ha in realtà sempre rifiutato di consultarsi e coordinarsi con gli altri paesi nella gestione delle acque del Mekong e ha puntato ad espandere le proprie infrastrutture energetiche e i propri collegamenti economici solo attraverso accordi bilaterali spesso molto sbilanciati a proprio favore.
Il risultato degli interessi cinesi in termini ecologici? Un rapporto pubblicato già nel dicembre del 2017 dal National Heritage Institute (Nhi) ha dichiarato senza mezzi termini che le nuove centrali idroelettriche “distruggeranno molte specie animali del fiume Mekong” e nonostante i grandi benefici energetici per molti paesi dell’area una volta completate avranno pesanti conseguenze soprattutto in Vietnam, dove milioni di persone risentiranno della variazione dei flussi del Mekong. Per la ong americana, nei prossimi 10 anni, “la mancanza di una sufficiente quantità di acqua dolce nel suo bacino causerà un innalzamento dei livelli di salinità, provocando sempre più frequenti episodi di siccità che metteranno in ginocchio il settore agricolo vietnamita”. Anche per la Mrc, che ha svolto molti studi scientifici preliminari e lanciato diversi appelli per limitare la costruzione di dighe sul Mekong, “i benefici derivanti dalla costruzione delle dighe sono molto inferiori alle perdite che stanno già generando” all’economia e alla biodiversità dell’area. Non a caso anche molti cittadini ed esperti vietnamiti sono preoccupati dall’impatto ambientale delle attività condotte lungo il confine settentrionale dalle compagnie e dalle imprese cinesi e in generale dall’aggressivo e inquinante espansionismo cinese anche in altre regioni del Paese.
In particolare le sette province del Vietnam che confinano con lo Yunnan ed il Guangxi cinesi, il Điện Biên, Lai Châu, Lào Cai, Hà Giang, Cao Bằng, Lạng Sơn e Quảng Ninh, che sono territori montuosi da sempre considerati “il polmone del Paese”, temono le conseguenze di questo sviluppo scorsoio cinese. Come nel caso del Mekong anche qui i fiumi ed i torrenti che vi scorrono rappresentano importanti risorse idriche per l’economia e la sussistenza della popolazione locale. Un rapporto della Banca mondiale (Wb) pubblicato lo scorso 30 maggio avverte che per via di alcune opere infrastrutturali e idroelettriche “il sempre più grave inquinamento sta danneggiando sia le acque superficiali che quelle sotterranee di queste zone”. Secondo l’organizzazione internazionale “la contaminazione ambientale può avere gravi ripercussioni anche sull'economia del Vietnam” e “i danni sono stimati tra i 400 milioni ed i 7 miliardi di dollari Usa”. Secondo il generale Sùng Thìn Cò, vicecomandante della Seconda regione militare dell’esercito vietnamita (deputata alla difesa del Vietnam nord-occidentale), intervenuto recentemente all’Assemblea nazionale vietnamita, “È giunto il momento che prestiamo attenzione al problema dell'inquinamento ambientale nelle terre al confine con la Cina”. L’alto ufficiale ha anche chiesto al Governo e agli amministratori delle province sulla frontiera “di inviare note diplomatiche e chiedere alle autorità cinesi di risarcire il popolo vietnamita per danni ambientali, come l'inquinamento di fiumi, torrenti e terre”.
Ma in Vietnam oltre al pericolo delle contaminazioni fa paura anche il modo in cui Pechino sta gestendo i flussi delle acque che passano attraverso le numerose dighe che alimentano gli impianti idroelettrici cinesi. Le autorità cinesi, infatti, sembrano non rispettare le convenzioni delle Nazioni Unite (Onu) sull’utilizzo dei corsi d’acqua transfrontalieri che tutelano i Paesi a valle. Negli ultimi anni, in più occasioni e per tutelare la funzionalità dei propri impianti, il Governo cinese ha lasciato defluire ingenti quantità d’acqua durante le stagioni della pioggia causando molti danni in tutte le sette province vietnamite di confine. Il 25 ed il 26 maggio scorsi, per esempio, dopo che forti piogge si sono abbattute sulla città di Móng Cái, nella provincia di Quảng Ninh il livello del fiume Ka Long River è aumentato improvvisamente affondando decine di imbarcazioni e uccidendo un giovane pescatore. Secondo quanto riferiscono i cittadini di Móng Cái, “le autorità cinesi avevano aperto senza avvisare gli sbarramenti a monte”, aggravando una situazione già critica per via delle abbondanti precipitazioni.
Ma accanto al rischio ambientale anche i grandi progetti infrastrutturali a cui il Vietnam affida il suo rapido sviluppo alimentano tra gli esperti i timori che il Paese possa cadere nella “trappola del debito cinese”. La costruzione dell’Autostrada Nord-Sud con le sei corsie d’asfalto che collegheranno la città di Nam Định (90km a sud-est della capitale) alla provincia di Vĩnh Long, per esempio, è coperta in buona parte dai capitali cinesi. Nel momento in cui Hanoi acconsente ai prestiti agevolati di Pechino emessi dalla China Export-Import Bank è tenuta ad accettare anche le imprese che vengono dall’altro lato del confine, una condizione non negoziabile dal pacchetto che facilita le imprese cinesi capaci di vincere le gare d’appalto con offerte al massimo ribasso. Una volta vinta la gara, le imprese sono solite estendere le tempistiche di costruzione e il costo dei progetti che non di rado si moltiplica. Uno degli esempi più famosi in Vietnam è la ferrovia Cát Linh – Hà Đông, progetto nato da un accordo sino-vietnamita nel 2008 e dal costo di 486milioni di euro, 368 finanziati da capitali cinesi e 188 da fondi statali vietnamiti. Oggi il costo totale del progetto ammonta a 784milioni di euro e la ferrovia che sarebbe dovuta entrare in funzione nel 2014 non ha ancora caricato il primo passeggero. Non c'è da stare allegri, se questo sarà il prezzo dello sviluppo vietnamita in salsa cinese.
Alessandro Graziadei
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