Tutto è cominciato, o sarebbe meglio dire ricominciato, l’8 maggio 2018 quando Donald Trump ha deciso il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare iraniano, la cui firma era stata considerata da molti come uno dei successi più importanti dell’amministrazione di Barack Obama. Tre mesi dopo Trump ha reintrodotto un pesante embargo commerciale a Teheran e i rapporti tra i due paesi sono andati progressivamente peggiorando tra droni e provocazioni, fino all’annuncio lo scorso mese del portavoce dell’agenzia atomica iraniana Behruz Kamalvandi: “abbiamo riacceso le centrifughe avanzate per l'arricchimento dell’uranio". L’accordo firmato nel luglio del 2015 prevedeva, infatti, la riduzione significativa della capacità di Teheran di arricchire l’uranio, privandosi così della possibilità di costruire la bomba nucleare, mentre gli altri paesi firmatari, cioè i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con potere di veto (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina) più la Germania, si impegnavano a rimuovere le sanzioni imposte negli anni precedenti a causa del presunto programma nucleare militare iraniano. Era un accordo storico che Trump ha deliberatamente cestinato lasciando l’Iran isolato dal punto di vista commerciale nonostante i tentativi di Francia, Germania e Regno Unito, di mettere in piedi un meccanismo finanziario per aggirare l’extraterritorialità delle sanzioni americane.
Come in passato le dure sanzioni USA con l’azzeramento delle esportazioni di petrolio e il contemporaneo rafforzamento della presenza militare americana attorno all’Iran hanno colpito in primis la popolazione. Secondo Abbas Kebriaeezadeh, professore di farmacologia all’università di Scienze mediche di Teheran, attuale vice-presidente del sindacato farmaceutico e presidente della Baran Chemical and Pharmaceutical Company: “le sanzioni economiche promosse dagli Stati Uniti contro Teheran hanno provocato una grave penuria di medicine in Iran, fra i quali vi sono anche molti medicinali chemioterapici”. In un articolo pubblicato su Foreign Policy, alcune settimane fa, Kebriaeezadeh ha spiegato come “le misure restrittive sul sistema bancario stanno aumentando i prezzi delle importazioni, bloccano la catena di rifornimenti e causano gravi carenze di medicine”. A quanto pare le scorte di farmaci chemioterapici come l’asparaginase o le mercaptopurine per curare la leucemia e lo stesso paracetamolo, medicina di base per trattare il dolore, sono esaurite e non si trovano più sugli scaffali. Per questo diversi medici iraniani hanno denunciato la situazione drammatica dei pazienti oncologici, in particolare di bambini, anziani e di quelli con altre malattie in stadio avanzato.
I numeri legati al commercio di medicinali sembrano confermare l’emergenza: durante la presidenza Obama gli Stati Uniti esportavano ogni anno prodotti farmaceutici in Iran per 26 milioni di dollari. Negli ultimi due anni, con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, il commercio è crollato a poco più di 8 milioni. Ma l’amministrazione Usa sta ostacolando, di fatto, anche la vendita di farmaci prodotti in Europa. Secondo dati Eurostat la Svizzera ha visto crollare del 30% il volume di affari verso l'Iran, passando da 240 milioni di dollari nel 2017 a 167 milioni nell’anno successivo. Un dato inferiore anche alla media registrata fra il 2008 e il 2015. La Francia registra un calo del 25%, passando da 194 milioni di euro a 146 milioni di euro; anche qui, un dato inferiore alla media di 150 milioni di euro registrata negli anni passati. “Le sanzioni - ha concluso Kebriaeezadeh - hanno un forte impatto sulla disponibilità delle medicine, ma interrompono anche la produzione interna di farmaci mettendo in crisi il sistema sanitario nazionale. Alcuni farmaci richiedono fino a 15 sostanze diverse, provenienti da nazioni diverse; l’assenza di uno di questi, rende impossibile la produzione del farmaco. La conseguenza più ovvia è il sorgente di una rete di trafficanti che importano medicinali contraffatti da Pakistan, Turchia ed Emirati Arabi Uniti (Eau), di bassa qualità e in larga parte inefficaci, che mettono in serio pericolo la salute pubblica”. Nonostante i funzionari statunitensi abbiano per i farmaci programmato “eccezioni” alla politica delle sanzioni, per proteggere il commercio di beni umanitari e di prima necessità, come richiesto peraltro dalla stessa Corte Internazionale di Giustizia, per Kebriaeezadeh in realtà “queste eccezioni sono insufficienti e rimane sempre troppo alto il pericolo per la salute pubblica degli iraniani”.
Ma non è solo la salute a preoccupare la società civile iraniana. Come in Siberia, Amazzonia, Angola e Repubblica Democratica del Congo, anche in Iran si consuma una progressiva deforestazione che rischia di creare danni gravissimi per il futuro della nazione, con conseguenze per l’intero pianeta. Dal 1900 al 2012, il volume forestale complessivo del Paese è diminuito passando da 19 milioni di acri, a circa 14,4 milioni, per poi precipitare a 10,7 nel 2015. In un secolo, dunque, la Repubblica islamica ha perso quasi la metà delle foreste e delle aree verdi presenti sul territorio. “Con l’attuale ritmo di deforestazione - ha spiegato Esmail Kahrom, consulente del Dipartimento iraniano dell’ambiente - l’Iran non avrà più foreste entro i prossimi 75, 100 anni”. Dello stesso parere è anche Zahed Shakeri, docente all’università del Kurdistan, che ha sottolineato come, “Dato che l’Iran è situato in una zona arida, le foreste e le altre tipologie di vegetazione hanno un ruolo fondamentale di barriera contro la desertificazione”. Dietro questa progressiva deforestazione vi sono fattori interni legati alla ricerca di uno sviluppo economico che ha portato ad uno sfruttamento eccessivo dell’ecosistema e altri che provengono dall’esterno, come gli effetti delle sanzioni economiche imposte da Stati Uniti ed Europa. Come ha ricordato l’esperto di cultura islamica Austin Bodetti "fino ad oggi in Iran poco è stato fatto per invertire la rotta e risolvere la situazione". Ma l’attuale livello di crisi richiede progetti e risposte ambiziose e di lungo periodo in tema di tutela ambientale e, proprio per questo, per risolvere la crisi ecologica iraniana sarebbe necessaria la collaborazione di tutta la comunità internazionale e non certo questo isolamento forzato acuito dalle sanzioni economiche e commerciali.
Alessandro Graziadei
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