Mentre la politica ambientale di questo nuovo Governo prende lentamente forma, ripartendo per fortuna dal ministro Sergio Costa, il lavoro degli epidemiologi ambientali dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc) di Pisa, che hanno studiato l’impatto sulla salute della centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure (Savona), mette nero su bianco quanto la politica ambientale sia stata troppo a lungo incapace di fare i conti in modo credibile con la tutela dell’ambiente e della nostra salute. Sì perché una centrale come quella Vado Ligure, avviata nel 1970 e alimentata a carbone fino al 2014, quando la Procura della Repubblica di Savona ha fatto fermare gli impianti per “disastro ambientale doloso”, andava forse fermata prima e da una politica ambientale lungimirante anziché dal Gip di Savona. Purtroppo in questo Paese la politica ecologica si è troppo spesso fermata ad un calcolo costi/benefici strettamente economico (soprattutto quando si parla di energia e fonti fossili), quasi sempre incapace di dare un valore anche al nostro patrimonio naturale oltre che alla bolletta. Non parliamo poi della salvaguardia della nostra salute, un costo non solo economico incalcolabile, ma puntualmente sottovalutato da chi dovrebbe tutelarla.
Se la Procura della Repubblica di Savona nel decreto di sequestro parlava di “disastro ambientale e sanitario nelle aree di ricaduta delle emissioni della centrale” e metteva 26 manager sotto processo, i reali contorni sanitari di questo “disastro” sono emersi solo nelle scorse settimane con la pubblicazione sulla rivista Science of the Total Environmen dei dati relativi alla relazione tra l’esposizione a inquinanti atmosferici emessi dalla centrale e il rischio di mortalità o di ricovero in ospedale per cause tumorali e non. Studiando tutta la popolazione residente dal 2001 al 2013 nei 12 comuni intorno a Vado Ligure, un campione di 144.019 persone identificate con l’indirizzo di residenza, è emerso che “nelle aree a maggiore esposizione a inquinanti sono stati riscontrati eccessi di mortalità per tutte le cause: per malattie del sistema circolatorio (uomini +41%, donne +59%), dell’apparato respiratorio (uomini +90%, donne +62%), del sistema nervoso e degli organi di senso (uomini +34%, donne +38%) e per tumori del polmone (+59% tra gli uomini). L’analisi dei ricoveri in ospedale ha fornito risultati coerenti con quelli della mortalità”.
Anche se secondo la Tirreno Power, che ha chiuso l'impianto nel 2016, “I dati teorici riproposti dal Cnr sono vecchi e sono già stati confutati dai dati pubblicati nel luglio del 2018 nel documento ufficiale dell’Osservatorio salute e ambiente della Regione Liguria”, l’analisi dell’esposizione a biossido di zolfo (SO2) e ossidi di azoto (NOx) è stata stimata dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure (Arpal) mediante un modello di dispersione piuttosto ampio, che ha considerato le emissioni da fonti industriali, portuali e stradali tenendo conto della zona geografica, dell’età e della condizione socio-economica della popolazione. I risultati ottenuti, secondo Fabrizio Bianchi coordinatore del gruppo di ricerca del Cnr-Ifc, non lasciano tanti dubbi: “Anche considerando le diverse fonti inquinanti cui sono stati esposti i cittadini, ci sono stati forti eccessi di rischio di mortalità prematura e di ricovero ospedaliero per i residenti intorno alla centrale a carbone di Vado Ligure, in particolare per le malattie dei sistemi cardiovascolare e respiratorio, per i quali d’altra parte la dimostrazione scientifica di un legame con l’inquinamento atmosferico è più che convincente”. Si tratta di un quadro sanitario che sembra confermare conoscenze pregresse ben note, ma alla luce di questa prima quantificazione scientifica del rischio, per il Cnr-Ifc non sembra sbagliato affermare che “le centrali per la produzione di energia alimentate a carbone rappresentano una fonte significativa di inquinanti atmosferici che impattano a livello locale e globale. Oltre alle note emissioni di biossido di carbonio (CO2), che contribuiscono al riscaldamento globale, ci sono quelle di biossido di zolfo (SO2), che sono associate a effetti dannosi per la salute”.
Un problema che il nuovo Governo dovrà affrontare (anche se i 26 punti del programma al momento non sembrano contemplarlo), visto che attualmente in Italia sono in funzione 9 centrali a carbone. Questi impianti nel 2016 avevano contribuito a soddisfare circa l’11% del consumo interno lordo di energia elettrica producendo circa 32 milioni di tonnellate di CO2, un valore pari al 34,5% di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale. Nel 2017 il carbone ha soddisfatto il 9,8% del fabbisogno elettrico nazionale e anche se non sono ancora disponibili i dati ufficiali di emissione, dai valori riportati nei Registri Nazionali delle Emissioni (Ets) si possono stimare picchi forse eccessivi in relazione all’energia prodotta. Che fare? Arrivare il prima possibile al phase-out degli impianti termoelettrici a carbone italiani. Attualmente il Piano nazionale energia e clima (Pniec) l’ha programmato entro il 2025, anche se dagli scienziati del Cnr-Ifc arriva una raccomandazione: “si sposti con urgenza l’attenzione sulle valutazioni preventive degli impatti sulla salute, e quindi sulle fonti che si conoscono come maggiormente inquinanti, anziché valutare i danni alla salute già verificatisi a causa delle esposizioni”. In poche parole, politici, pensateci prima e fatelo adesso!
Alessandro Graziadei
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