sabato 18 ottobre 2014

Pena di morte: ancora in evidente violazione dei diritti umani

Dal 2003, ogni 10 ottobre, la Coalizione mondiale contro la pena di morte invita le Ong, le reti, gli attivisti e le organizzazioni abolizioniste in tutto il mondo a mobilitarsi contro questa pratica crudele e disumana che quest’anno culminerà per la quinta volta con una moratoria sulle esecuzioni che sarà presentata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un impegno non certo inutile visto che la pena di morte oggi non è più praticata in 140 paesi. È ancora prevista dalle leggi di 58 paesi ma, nel 2013, è stata applicata solo in 22 paesi. Un passo avanti, ma il cammino è ancora lungo. In particolare in occasione della XII Giornata mondiale contro la pena di morte, la Coalizione mondiale con Amnesty International hanno voluto mettere in evidenza come gli stati continuino ad usare la pena capitale nei confronti di persone con disabilità mentale e intellettiva, in evidente violazione degli standard internazionali. “Gli standard internazionali stabiliscono che le persone che soffrono di disabilità mentale e intellettiva non devono subire questa sanzione estrema. Tuttavia, in molti casi tale condizione non viene accertata durante il procedimento penale. Gli standard internazionali sulla disabilità mentale e intellettiva sono importanti salvaguardie a tutela di persone vulnerabili: non hanno lo scopo di giustificare crimini orrendi, ma stabiliscono dei criteri in base ai quali la pena di morte può essere o meno inflitta” ha dichiarato Audrey Gaughran, direttrice del programma Temi globali di Amnesty.

Fermo restando che la Coalizione è contraria alla pena di morte “in ogni circostanza, in quanto è un’estrema punizione crudele, disumana e degradante che viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti” oltre a “non avere alcun effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione”, Amnesty ha voluto ricordare come “nei paesi che ancora ne fanno uso, gli standard internazionali, compresi quelli che la vietano la pena capitale nei confronti di determinate categorie di persone vulnerabili, devono essere rispettati, in vista dell’abolizione definitiva. Tali paesi devono inoltre assicurare che vi siano risorse per svolgere valutazioni indipendenti e rigorose su chiunque rischi la pena di morte, dal momento in cui viene incriminato fino alla fase successiva alla sentenza”.

L’associazione ha documentato casi di persone con forme di disabilità condannate o già messe a morte in paesi trai quali Pakistan, Stati Uniti e Giappone. Se questi paesi non riformeranno i loro sistemi di giustizia penale, molte altre persone con disabilità mentale e intellettiva rischieranno l’esecuzione. “Chiediamo ai governi di tutti i paesi che ancora usano la pena di morte di istituire immediatamente una moratoria sulle esecuzioni come primo passo verso l’abolizione. Quello che mettiamo in luce oggi è un altro esempio dell’ingiustizia della pena di morte” ha concluso Gaughran facendo alcuni attuali esempi. Per l’ong in Pakistan, Mohammad Ashgar, diagnosticato schizofrenico paranoide nel 2010 nel Regno Unito e da qui rinviato in Pakistan, è stato condannato a morte nel 2014 per blasfemia. Negli Usa, invece, Askari Abdullah Muhammad è stato messo a morte il 7 gennaio 2014 in Florida per un omicidio commesso in carcere nel 1980. Aveva una lunga storia di malattia mentale e gli era stata diagnosticata una schizofrenia paranoide. Il 9 aprile, il cittadino messicano Ramiro Hernandez Llanas è stato messo a morte in Texas nonostante sei successivi test sul quoziente intellettivo avessero dimostrato la sua disabilità intellettiva e dunque l’incostituzionalità della sua condanna a morte. In Florida, Frank Walls e Michael Zack, due condannati a morte con gravi traumi mentali, hanno esaurito tutti gli appelli contro l’esecuzione. In Giappone, infine, molti prigionieri sofferenti per malattie mentali sono stati già impiccati, altri rimangono nel braccio della morte come Matsumoto Kanji. Sebbene i suoi avvocati stiano chiedendo un nuovo processo dal 1993, potrebbe essere impiccato in ogni momento nonostante abbia sviluppato disabilità mentale a seguito di un avvelenamento da mercurio durante la detenzione.

Uno dei casi saliti al disonore delle cronache in Giappone, ma non certo l’unico. Amnesty International ha chiesto a tutti i suoi attivisti, infatti, di mobilitarsi in particolare per Hakamada Iwao 78 anni, condannato a morte per omicidio nel 1968 al termine di un processo iniquo. Era stato interrogato dalla polizia per 23 giorni di seguito, 12 ore al giorno, senza poter incontrare un avvocato e aveva inutilmente denunciato che la polizia gli aveva estorto la confessione con la forza. “È la persona che ha trascorso il più lungo periodo di tempo nel braccio della morte, 45 anni - hanno spiegato gli attivisti di Amnesty - Durante decenni di isolamento completo, ha sviluppato numerosi e gravi problemi di salute mentale. È stato rilasciato provvisoriamente nel marzo 2014 in vista di un possibile nuovo processo”.  Adesso Amnesty sta promuovendo un appello al pubblico ministero del Giappone chiedendo di salvargli la vita.

Per l’associazione ACAT che dal 1974 si batte contro la tortura e la pena dei morte nel mondo “rivedere una sentenza di morte non vuol dire abdicare alla giustizia, ma raddrizzarla” visto che sempre più spesso le prigioni sembrano essere i centri di salute mentale del 21° secolo. “Tutto ciò ci induce a una riflessione circa il fallimento della società nel fornire un’adeguata assistenza e sostegno alle persone con malattia mentale e disabilità intellettiva le quali, in generale, presentano un rischio più elevato di manifestare azioni/reazioni violente, essendo, al tempo stesso, più a rischio rispetto alla media, di diventare vittime di violenza” ha spiegato ACAT Italia. “Sono numerosi i casi di persone che, in assenza di cure mediche adeguate, hanno continuato a commettere atti di violenza. È necessario, quindi, che vengano rispettati gli standard internazionali sulla disabilità mentale e intellettiva che rappresentano una forma di tutela per le persone vulnerabili”. 

Anche ACAT Italia ha così fatto proprio l’appello della Coalizione mondiale contro la pena di morte ai governi di tutto il mondo, chiedendo loro, come Amnesty “di mettere in atto le azioni necessarie a impedire che le persone con disabilità mentali e intellettive vengano inviate nel braccio della morte e che le condanne già emesse non vengano eseguite”, rinnovando l’invito agli Stati non abolizionisti ad abolire la pena di morte e ai paesi abolizionisti a sostenere tutte le iniziative a favore della sua abolizione universale.

Alessandro Graziadei

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