sabato 25 ottobre 2014

Popoli indigeni: tra tragici anniversari e nuove violenze

In occasione del Columbus Day lo scorso 12 ottobre, Survival International, il movimento per i popoli indigeni dedicato dal 1969 ai loro diritti, ha ricordato i recenti casi di popoli indigeni americani soggetti a violenza genocida. “Le società industrializzate sottopongono i popoli indigeni a violenza genocida, schiavitù e razzismo per rubare loro terre, risorse e forza lavoro in nome del ‘progresso’ e della ’civilizzazione’”, ha commentato Stephen Corry, Direttore generale di Survival, in occasione di questo tragico anniversario. “Sin dagli albori dell’Età della ‘scoperta’ questi popoli sono stati vittime innocenti di una colonizzazione aggressiva della loro terra. Descrivendoli come arretrati e primitivi, gli invasori hanno giustificato uno sterminio sistematico e crudele che continua ancora oggi”. Solo in Brasile vivono circa 100 tribù incontattate e sono oggi le società più vulnerabili del pianeta, minacciate quotidianamente dalla violenza di chi ruba loro terra e risorse, e da malattie verso cui non hanno resistenza, come l’influenza e il morbillo.

Qualche esempio? I Kawahiva del Brasile centrale rischiano lo sterminio perché i taglialegna e gli allevatori invadono la loro terra. Un pubblico ministero ha però da poco aperto un’indagine per genocidio a seguito di prove che suggeriscono che gli Indiani “vengono deliberatamente presi di mira dai taglialegna e sono costretti a vivere costantemente in fuga”. Nello stato brasiliano di Rondonia, cinque Akuntsu sono gli ultimi sopravvissuti di un genocidio che ha spazzato via gran parte della tribù. Nel 1985, infatti, “gli investigatori governativi scoprirono un’intera casa comunitaria abbattuta dalle ruspe, prova di un brutale massacro ad opera di sicari”. Anche l’invasione violenta e la distruzione della foresta degli Awá del Brasile per mano di taglialegna e allevatori armati è stata definita un genocidio dagli esperti brasiliani. “A seguito della campagna internazionale di Survival, in gennaio gli invasori sono stati sfrattati dal principale territorio Awá; tuttavia, finora il governo non ha implementato un programma permanente di protezione territoriale per impedire il ritorno degli invasori” ha aggiunto Survival .

Altri casi di genocidio includono il brutale attacco al villaggio Yanomami di Haximu in Venezuela, vicino al confine con il Brasile, da parte dei cercatori d’oro nel 1993. “Sedici Yanomami furono uccisi tra cui anziani, donne e bambini, ma quattro degli imputati nel processo che seguì al massacro furono ritenuti colpevoli di genocidio in una sentenza senza precedenti”. In aprile anche gli Aché del Paraguay hanno intentato uno storico caso giudiziario per il genocidio che hanno subito tra gli anni ’50 e ’60 quando furono decimati dagli attacchi omicidi dei coloni, che catturarono gli indigeni per venderli come schiavi. Dei passi importanti lungo la strada dei diritti dei popoli indigeni che fanno ben sperare.

Così in America, ma la situazione al momento non è più rosea nelle "vere" Indie! Qui alcuni popoli indigeni vengono sfrattati illegalmente dalle loro terre ancestrali nel nome della conservazione, in particolare dalle Riserve delle tigri, anche se non esistono prove che la loro presenza danneggi la fauna locale. Oltre a subire minacce e persecuzioni, ricevono promesse di risarcimento in terra, case e denaro, ma spesso ricevono poco o nulla. L’ultimo caso lo scorso mese, quando dopo aver ricevuto promesse sul riconoscimento dei loro diritti forestali, alcuni Munda della Riserva delle tigri di Similipal, nello stato di Odisha, hanno incontrato i funzionari del Dipartimento forestale indiano e “si sono sentiti minacciati e costretti con l’inganno a firmare un documento di sfratto stilato dagli agenti forestali” ha raccontato Survival.

Secondo le testimonianze raccolte da Survival i rappresentanti Munda non sapevano cosa dicesse il documento (la maggior parte di loro non sa leggere o scrivere in Oriya, la lingua in cui era scritto), e solo in seguito è stato detto loro che non c’è terra disponibile in cui possano essere trasferiti. “Nel firmare questo foglio siamo stati ingannati, e ora abbiamo molta paura delle conseguenze - ha raccontato alla ong un uomo Munda - ma preferiamo morire piuttosto che lasciare il villaggio”. Oggi, all’interno della Riserva delle Tigri di Similipal, rimangono solo tre villaggi abitati dalle tribù Kol e Munda. Nel dicembre 2013, trentadue famiglie sono state sfrattate e trasferite in un villaggio di reinsediamento fuori dalla foresta. Privati della possibilità di accedere ai prodotti della foresta e senza case adeguate, sono stati costretti a vivere miseramente sotto squallidi teli di plastica, e ora dipendono totalmente dagli aiuti governativi.

Eppure il Forest Rights Act indiano riconosce il diritto dei popoli indigeni a vivere nelle e delle foreste, a gestirle e proteggerle. “Molte delle foreste indiane in cui le tigri sono sopravvissute, sono state custodite dai popoli indigeni, che sanno prendersi cura del loro ambiente meglio di chiunque altro - ha concluso Corry - Ma ora il governo utilizza minacce e inganni per costringere i popoli indigeni ad andarsene nel nome della conservazione, lasciandoli nella miseria. Come se non bastasse, le foreste delle tribù vengono aperte ogni anno a migliaia di turisti, e il bracconaggio e il disboscamento illegale dilagano". Forse è giunto il momento che anche le realtà impegnate nella conservazione della flora e della fauna si schierino apertamente contro questa enorme ingiustizia. 

Alessandro Graziadei

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