sabato 25 marzo 2017

Globalizziamo e rinnoviamo l’energia!

Il World Energy Outlook 2016 (WEO) dell’International Energy Agency (IEA) con dati ancora provvisori per il 2016, ma definitivi per il 2015, ha certificato il nuovo slancio mondiale “verso un sistema energetico a più bassa intensità di carbonio e più efficiente”, un ottimo risultato, che però deve fare i conti con il trend di continua crescita dei fabbisogni energetici globali. In questo documento l’IEA dice espressamente anche che “la crescita attesa dei consumi mondiali di energia viene interamente assorbita dall’insieme dei paesi non-OCSE, mentre i trend demografici e i cambiamenti strutturali dell’economia, unitamente ai miglioramenti di efficienza, determinano una riduzione complessiva della domanda OCSE”. Per Marco Santarelli, direttore dell’Istituto Internazionale di Ricerca e Sviluppo ReS On Network di Londra, appare evidente che “Analizzando lo scenario globale, ci si aspetta che la domanda mondiale di energia, sempre secondo il WEO, aumenti di un terzo al 2040, con l’incremento principalmente guidato da India, Cina, Africa, Medio Oriente e Sud Est asiatico”.

Di questo passo per il WEO “entro il 2030 il consumo di energia pro capite raggiungerà il suo picco e, secondo le proiezioni contenute nello scenario più ottimistico, al 2060 il fabbisogno mondiale di energia primaria rallenterà sensibilmente”.  Che fare intanto, da qui al 2060, quando potremmo avere un pianeta più caldo di ben 3 gradi in confronto alle temperature del passato preindustriale? Per pensare l’energia del futuro bisogna approcciare il fenomeno non da un unico punto di vista o partendo solo da il proprio contesto nazionale, ma con una visione "globalizzata e rinnovabile". “Bisogna capire (e i vari incontri sul clima ce lo dovrebbero dimostrare, così come l’elezione di Trump negli USA) che quello che molti chiamano banalmente effetto farfalla, ovvero il propagarsi delle conseguenze di un evento in paesi a milioni di km di distanza rispetto a dove lo stesso viene generato, diventa il punto di riferimento” ha spiegato Santarelli. Una strada difficile, ma non impossibile, che deve spingere sia l’Europa che gli Stati Uniti (Trump permettendo) a fare sempre di più per compensare l’uso massiccio di combustibili fossili da parte delle economie in crescita e di quelle in via di sviluppo!

In Europa, per esempio, nel 2016 tutte le energie rinnovabili messe insieme hanno aggiunto l’86% di nuova potenza installata: 21,1 GW su 24,5 GW. Secondo “Wind in power  - 2016 European statistics”, il rapporto annuale di Wind Europe uscito lo scorso mese, a fare la parte del leone nelle rinnovabili in Europa è stata l’energia eolica, che ha rappresentato il 51% della nuova potenza installata nel 2016, connettendo in totale 12,5 GW alla rete, distribuiti tra i 28 Stati Membri dell’Unione europea. Tutto bene quindi? Per l’amministratore delegato di Wind Europe, Giles Dickson, “l’energia eolica è oggi parte integrante ed essenziale della fornitura di energia elettrica in Europa. È anche un settore maturo e significativo di per sé, che ha creato ad oggi 330.000 posti di lavoro e generato miliardi di euro di esportazioni europee. Con tutto il parlare che si fa di transizione ad un sistema low - carbon, però, si dovrebbe mirare a migliorare le strategie di lungo termine per l’industria eolica in Europa”. A quanto pare invece la politica governativa in materia di energia in Europa è spesso meno chiara e ambiziosa di quanto non lo fosse qualche anno fa. Solo 7 dei 28 Paesi Membri dell’Unione hanno target e politiche a sostegno delle rinnovabili da qui al 2020 e più della metà degli Stati membri non ha investito nulla in energia eolica lo scorso anno. In Italia per esempio, secondo Simone Togni, il presidente dell’Associazione italiana energia del vento (Anev), “l’eolico ha visto un periodo di transizione negli ultimi due anni che gli hanno fatto perdere terreno. Oggi dobbiamo recuperare la strada persa con un serio piano di sviluppo che consenta finalmente al Paese di sfruttare le significative potenzialità ancora disponibili”.

Intanto negli Stati Uniti secondo i dati preliminari del rapporto ”U.S. Solar Market Insight” elaborato da GTM Research e Solar Energy Industries Association (Seia), quello appena passato è stato un anno record per le energie rinnovabili. “In particolare il mercato solare degli Stati Uniti ha quasi raddoppiato il suo record annuale, superando i 14.626 MW di solare fotovoltaico installati nel 2016. Questo dato rappresenta un aumento del 95% rispetto al precedente record di 7.493 MW installati nel 2015”. Per Abigail Ross Hopper, presidente di Seia, “Quello che questi numeri dicono è che l’industria solare è una forza da non sottovalutare. La scelta economicamente vincente del solare sta generando a livello nazionale una forte crescita in tutti i segmenti di mercato, portando lavoro a più di 260.000 americani”. Per Cory Honeyman, di GTM Research, “nel 2016 il numero record di 22 stati hanno aggiunto ciascuno più di 100 MW diventando una valida alternativa al gas naturale”.

Chiaramente lo sviluppo del solare ha pagato anche in termini di qualità dell’aria, visto che nel 2015, per la prima volta in due anni, negli Usa l’inquinamento atmosferico è calato. A dirlo è una bozza di rapporto dell’Evironmental protection agency (Epa), secondo la quale tra il 2014 e il 2015 le emissioni di CO2 sono diminuite del 2,2%, anche se il calo è dovuto anche ad un inverno particolarmente mite che ha fatto diminuire i consumi di energia elettrica per il riscaldamento. In generale, però, nonostante un leggero aumento delle emissioni di gas serra nel 2010, 2013 e 2014, negli ultimi 10 anni le emissioni Usa hanno mostrato un declino dopo il picco raggiunto nel  2007. Eppure nonostante il boom del solare e dell’eolico, il presidente Trump ha promesso che taglierà gli incentivi e le facilitazioni fiscali alle energie rinnovabili (che hanno toccato livelli record durante l’amministrazione Obama) e abolirà il Climate Action Plan di Obama, il più ambizioso progetto mai approvato dagli Usa per ridurre le emissioni di gas serra delle centrali elettriche e dai trasporti. Vista la debole sensibilità ecologica e la mancanza di visione prospettica, solo i posti di lavoro e i numeri record del solare statunitense potrebbero far rinsavire "The Donald", che per ora preferisce ancora puntare su carbone e petrolio, diffidando dell'ambientalismo "fuori controllo".

Alessandro Graziadei

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