Se i tagli alla spesa pubblica costringono sempre più ong ad una affannato fund raising, la filantropia di alcuni privati non conosce limiti. Alcune settimane fa, Bill Gates con la sua fondazione e Warren Buffet sono stati all’origine di una gigantesca operazione filantropica “Givin Pledge” attraverso la quale 38 miliardari americani, di quelli che riempiono le classifiche di Fortune e Forbes, le bibbie del denaro, si sono impegnati a versare come minimo la metà della loro fortuna in opere caritative. Un'infinità di soldi: 600 miliardi secondo le stime più attendibili.
L’iniziativa sembra fare altri proseliti a cominciare dall’imprenditore cinese Chen Guangbiao, accreditato di una fortuna di 5 miliardi di yuan (circa 580 milioni di euro) che ha annunciato di voler destinare alla sua morte tutti i suoi averi in progetti di beneficenza. Un gesto generoso, ma con prospettive di lungo termine, dato che Chen ha appena 42 anni.
Meno attendista è stata invece la scelta senza precedenti del finanziere George Soros, che ha annunciato un dono di 100 milioni in dieci anni, la più importante donazione mai effettuata ad una no-profit, a Human Rights Watch Da sempre attratto dalla “società aperta” teorizzata dal flosofo Karl Popper, il neoiperliberista Soros, ha rivelato che si tratta della prima di una serie di donazioni che intende fare e che ha spiegato “sono in parte dovuta alla mia età. Se in principio volevo dare tutti i miei soldi da vivo, mi sono accorto che si tratta di un piano irrealistico. Ci penserà la mia fondazione a proseguire il mio lavoro”.
Negli Stati Uniti la beneficenza è qualcosa di pubblico, fatto anche di gesti vistosi ed eclatanti come questo. Molti imprenditori ci tengono a far sapere quanti soldi hanno e quanti hanno devoluto ogni anno e questo fa parte integrante delle politiche d'immagine aziendale. Bisogna inoltre aggiungere che il sistema di deduzioni fiscali incoraggia e rende conveniente la filantropia, cosa che in Italia non accade.
Solo apparenza quindi? “Si pensa che gli americani siano generosi perché ricchi. La verità è che siamo ricchi perché generosi”. A dirlo è Claire Gaudiani, docente di Filantropia alla New York University e autrice del libro “L’economia del Bene”. Lei non ha dubbi: gran parte delle fortune economiche e sociali del suo Paese risalgono alla grande generosità del popolo Usa, definita a suo tempo da John F. Kennedy “un gioiello della nostra tradizione”.
E sul fatto che gli americani siano generosi come nessun altro al mondo non v’è dubbio: il libro della Gaudiani documenta come nove statunitensi su dieci praticano una qualche forma di elargizione. Insomma, l’ammontare delle donazioni Usa (212 miliardi di dollari secondo le ultime statistiche) valgono il 2% del PIL e, dato fondamentale, provengono per il 75% da singoli individui.
Per Human Rights Watch, in ogni caso ed indipendentemente dall’origine dell’operazione, il regalo comporta soprattutto una grande sfida, sia nel proprio impegno in difesa dei diritti umani, sia nella ricerca di nuovi fondi e nuovi finanziatori. Secondo il principio Challenge Grant, HRW deve impegnarsi a trovare altri 100 milioni di dollari presso altri donatori privati. “È un principio che ci costringe a non addormentarsi sui doni” dell’Open Society Foundations spiegano i responsabili di Human Rights Watch. “100 milioni di dollari supplementari è un obiettivo che possiamo centrare” assicura la portavoce di HRW, Emma Daly.
Per il momento, la donazione di Soros consentirebbe all’organizzazione umanitaria di rafforzare la sua presenza nelle regioni più “calde” in termini di violazione dei diritti umani, aumentare il numero di sedie internazionali e intensificare le sue attività di ricerca. Per tutti quelli che non hanno il patrimonio di Soros, ma non vogliono rinunciare a fare del bene, il libro di Tonia Mastrobuoni “Il voto nel portafoglio. Cambiare consumo e risparmio per cambiare” ne ricorda due: con il volontariato oppure modificando alcuni semplici stili di vita.
Alessandro Graziadei
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