Junichi Sato e Toru Suzuki, ribattezzati i “Tokyo Two”, sono due membri di Greenpeace che hanno denunciato la corruzione del sistema giapponese di caccia alle balene e per questo sono stati condannati ad un anno di reclusione con l’accusa di furto e violazione di domicilio. Ma per il direttore esecutivo di Greenpeace International Kumi Naidoo “Junichi e Toru hanno agito per far sapere al mondo la verità sulla caccia alle balene smascherando il contrabbando di carne di cetaceo all’interno del finto programma scientifico giapponese di caccia”.
Facciamo un passo indietro. Junichi e Toru sono stati arrestati più di due anni fa nelle loro abitazioni a Tokyo, mentre più di 40 poliziotti perquisivano la sede di Greenpeace Japan, sequestrando cellulari, documenti e computer. I “Tokyo Two” spiega Naidoo “sono restati in carcere senza alcuna formale accusa per 23 giorni, il massimo del tempo consentito dalla legge giapponese, poi sono stati accusati di furto e violazione di domicilio e rilasciati su cauzione solo il 15 luglio”.
Per Amnesty International, i due hanno ammesso di aver rubato una cassa con 23 chili di carne di balena, ufficialmente destinata alla ricerca scientifica, affermando di aver agito allo scopo di denunciare il problema del traffico di questa carne, che viene ancora venduta con sostanziosi profitti. Inoltre, dopo aver prelevato la cassa, i due pacifici e verdi attivisti l'hanno rimessa ai procuratori di Tokyo tenendo una conferenza stampa per presentare le prove di altri episodi di corruzione in questo settore. I pubblici ministeri non hanno badato al “perché” ed hanno fatto scattare le manette. Il processo è così iniziato il 15 febbraio e s’è concluso l'8 giugno 2010 con la richiesta di una pena di un anno e sei mesi, il periodo detentivo più lungo mai chiesto per un attivista di Greenpeace in quarant'anni di storia. Adesso è arrivata la dura sentenza: un anno di carcere, con sospensione della pena in tre anni di libertà vigilata.
Per Greenpeace si tratta di “una sentenza sproporzionata ed ingiusta”. Junichi Sato e Toru Suzuki, sono stati ritenuti colpevoli di furto e violazione di domicilio “solo per aver smascherato il contrabbando di carne di balena a bordo della Nisshin Maru, la nave fattoria della flotta baleniera giapponese, nell'assoluta violazione delle regole del programma baleniero, finanziato dai contribuenti giapponesi” e dimostrando di fatto che le balene vengono cacciate per venderne la carne e non per effettuare ricerche scientifiche.
Mentre in mezzo mondo, Roma compresa, Greenpeace sta protestando contro questa sentenza Kumi Naidoo è seriamente preoccupato: “Gli attivisti non sono dei criminali e trattarli come tali pone un forte freno al progresso della società, sminuendo il valore della democrazia. La libertà di denunciare scandali in maniera pacifica non è solo un elemento fondamentale di ogni democrazia, ma un diritto che deve essere difeso. Greenpeace continuerà a ritenere questo caso una priorità internazionale finché questa condanna ingiusta non verrà ribaltata”.
Greenpeace ricorda che «durante una visita in Giappone, all'inizio di quest'anno, anche Navi Pillay, il Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha espresso preoccupazione rispetto a questo caso, in particolare riferendosi alla libertà di espressione e associazione». Ma l'imbarazzo più grande per i politici giapponesi sembra essere adesso quello interno, dove una crescente fetta della popolazione non è più d'accordo con la caccia alle balene e pensa che dietro questa dura condanna ci sia la volontà di coprire i traffici mai interrotti sulla carne dei cetacei.
Nel 1986 la caccia alla balene per fini esclusivamente commerciali fu sospesa a causa della diminuzione del numero degli esemplari. Questo non ha però impedito a nazioni quali Giappone, Islanda e Norvegia di sfidare il divieto, e continuare a cacciare le balene giustificando le operazioni sotto la voce “ricerca scientifica”.Proprio per questo negli ultimi anni si sono incrementati notevolmente gli scontri tra le navi giapponesi e quelle degli attivisti del gruppo Sea Shepherd e Greenpace che sono riusciti a impedire circa il 50 per cento delle uccisioni, portando il numero di balene catturate per stagione da 900 a 500.
Oggi il tema della caccia ai cetacei è ancora caldo. La Commissione Internazionale sulla Caccia alle Balene (IWC) è giunta in giugno ad una nuova proposta di regolamentazione della caccia alle balene per i prossimi dieci anni fissando dei limiti precisi alla quota di esemplari uccisi dal Giappone: dai 935 ai 400 nel 2011 e a 200 entro il 2015. Stessa cosa per Islanda e Norvegia, ma con numeri differenti. Nell’anno della biodiversità questo è un ennesimo brutto segnale. La IWC travolta da scandali di offerte di denaro e di prostitute dal Giappone in cambio dei voti per continuare il ricchissimo commercio della carne ha, infatti, preso la decisione senza precedenti di avviare una discussione a porte chiuse, lasciando fuori la società civile e i rappresentanti dei media.
Di fatto si tratta di ridare dopo 24 anni di moratoria internazionale il via libera alla caccia alle balene nelle coste giapponesi, senza precludere la caccia a specie di balene a rischio di estinzione. Una decisione che al momento è rimasta lettera morta, ma che forse spiega il clamore dietro alla storia dei “Tokyo Two” e invita tutti a dire basta a questo ignobile mercato.
Alessandro Graziadei
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