Si è chiusa ieri a Roma presso la sede della Fao l’ultima fase del “Negoziato sulla terra” tra i Governi e la Società civile per redigere le “Linee guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste” volute dal Comitato per la Sicurezza Alimentare (Cfs) della Fao stessa. Le linee guida volontarie sono uno strumento del sistema delle Nazioni Unite che fissa elementi necessari, ma non obbligatori per l’azione dei Governi, che sono stati richiesti con forza dalle molte realtà invitate al negoziato, comprese le italiane Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (Aiab), Crocevia, Fair e Terra Nuova. Un’occasione importante se pensiamo che le questioni della terra sono un ambito dove troppo spesso i più basilari diritti umani vengono violati, in particolare il diritto al cibo e a produrre cibo, minacciati entrambi dal sempre più diffuso fenomeno del land grabbing, cioè dell’accaparramento di terre coltivabili a fini speculativi.
Per arrivare a questo appuntamento romano iniziato il 2 marzo le organizzazioni sociali hanno, fino ad oggi, sviluppato un lungo processo interno di consultazioni in tutti i continenti, sostenute dal Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare (Ipc), cha ha portato all’elaborazione di una propria versione delle linee guida sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste. Un valore aggiunto “dal basso” per il dibattito e i suoi contenuti visto che “la presenza organizzata dei piccoli produttori di cibo e di organizzazioni della società civile dentro al negoziato stesso, come partecipanti effettivi e paritetici - ha sostenuto Crocevia - ha imposto una discussione delle decisioni proposte, spesso parola per parola” con l’obiettivo di difendere prima di tutto “la sicurezza alimentare di chi produce e di chi consuma”.
In effetti il negoziato romano coinvolgendo contadini, pescatori artigianali, popoli indigeni, pastori nomadi, giovani e donne rurali è stato, ha detta di Crocevia, “un esempio unico di confronto tra piccoli produttori di cibo utile a recuperare la dignità e il rispetto che la Comunità internazionale deve ad ogni membro rappresentato”. “Una contadina canadese o un pescatore artigianale africano che discute, negozia, si oppone e rigetta un testo proposto dagli Usa o dall’Unione Europea, da un grande e potente paese esportatore dell’America Latina o dalla delegazione del governo cinese, torna a casa, nei campi o sul lago, con più capacità e strumenti per poter affrontare chi gli ruba la terra o il pesce. Con più forza per costruire la propria vita senza soccombere alla sopraffazione e all’oppressione”.
Certo il summit appena concluso non cambierà il mondo, né tanto meno darà a tutti la terra per produrre, ma le linee guida uscite da questa settimana romana, però, “aiutano a difendersi meglio, a riformare le leggi nazionali, ad evitare che ogni conflitto sull’uso della terra agricola diventi magari un conflitto fra poveri o peggio l’inizio di un conflitto violento che può, come spesso è successo, trasformarsi in guerra civile” ha puntualizzato Aiab. La parte approvata e condivisa, infatti, è stata fortemente ancorata ai diritti umani fondamentali la cui violazione può essere finalmente perseguita davanti a tribunali nazionali o internazionali. “Deportare pastori per piantare rose o rimuovere migliaia di coltivatori di riso per piantare palme da olio diventerà più difficile e ci si potrà difendere con più strumenti” ha concluso Aiab.
Così, se nei primi giorni dei lavori è stato approvato un accordo sugli investimenti responsabili, ponendo una serie di condizionamenti a chi investe sulla terra che ora non può più nuocere al sistema di produzione alimentare locale, questa non sembra essere l’unica conquista del Negoziato sulla terra. Tra le altre “linee guida” che cercheranno di vincolare i Governi di tutto il mondo a scelte alimentari più responsabili troviamo: “dare priorità alle riforme che prevedano la restituzione o la ridistribuzione delle terre per i piccoli produttori di cibo (Riforma agraria); assicurare la protezione giuridica dei diritti d’uso delle terre e dei diritti umani connessi all’uso delle terre; rafforzare il riconoscimento e la salvaguardia dei diritti fondiari e dei sistemi di gestione della terra dei popoli Indigeni e delle comunità tradizionali; riconoscere e proteggere i diritti collettivi e gli usi civici stabiliti sulle terre pubbliche e/o comuni; rafforzare i sistemi di implementazione, monitoraggio e valutazione delle attività degli Stati nell’applicazione delle linee guida; ed infine rafforzare le responsabilità e la capacità di risposta degli Stati di fronte ai cambiamenti climatici, ai disastri naturali ed ai conflitti violenti, per garantire il rispetto o il ripristino dei diritti di accesso ed uso delle terre da parte delle popolazioni locali colpite”.
Solo una lista di buoni propositi? Non solo. Pare che a Roma sia stata ri-definita la sovranità alimentare, questa volta mettendo nero su bianco che si tratta di “un processo che va costruito dal basso, a partire dai produttori che vanno tutelati e protetti”, ha concluso Mamadou Ba, portavoce del Conseil National de Concertation et de Coopérations des Ruraux del Senegal.
E dello stesso avviso è stato anche Jorge Stanley Icaza, di Ipc America Latina intervenuto ricordando Herman Kumara, presidente del National Fisheries Solidarity Movement (Nafso) dello Sri Lanka, bersaglio di minacce di morte e di tentativi di rapimento. “Quanto accaduto a Kumara ci ricorda quanto questo negoziato sia importante e profondamente connesso con quanto accade ogni giorno. Le lotte per l'accesso alla terra e alle risorse portano a episodi di violenza che si configurano come veri e propri genocidi. Per questo abbiamo bisogno di una legislazione che protegga in particolare le comunità indigene, prive di strumenti di tutela di fronte a questo fenomeno”.
E dello stesso avviso è stato anche Jorge Stanley Icaza, di Ipc America Latina intervenuto ricordando Herman Kumara, presidente del National Fisheries Solidarity Movement (Nafso) dello Sri Lanka, bersaglio di minacce di morte e di tentativi di rapimento. “Quanto accaduto a Kumara ci ricorda quanto questo negoziato sia importante e profondamente connesso con quanto accade ogni giorno. Le lotte per l'accesso alla terra e alle risorse portano a episodi di violenza che si configurano come veri e propri genocidi. Per questo abbiamo bisogno di una legislazione che protegga in particolare le comunità indigene, prive di strumenti di tutela di fronte a questo fenomeno”.
Un primo passo verso il tentativo di rendere la gestione della terra più responsabile è stato fatto, ma la battaglia per un cambio profondo delle politiche globali su terra, alimentazione e agricoltura è ancora lunga, difficile, e gli esiti - ha concluso Crocevia - non sono affatto scontati. “È chiaro che senza i movimenti gli accordi di governo non hanno capacità di impatto e che si esce dalla crisi solo adottando strumenti assolutamente innovativi, originali, capaci di metter in discussione le regole di mercato e la religione liberista”. Anche per questo dalle associazione impegnate fino a ieri nel confronto è arrivato durante la conferenza stampa di chiusura un monito che non sembra ammettere appelli: “In un periodo di crisi così profonda del modello economico, sociale ed ambientale dominante, lo spazio rurale resta quello più utile, più semplice ed il meno costoso per l’intera società per costruire occasioni di lavoro e creare ricchezza effettiva, fatta di beni e non di carta”. Ora il testo con le linee guida della società civile passa ai Governi. A loro spetta la responsabilità della sua applicazione nei singoli paesi e a livello internazionale.
Alessandro Graziadei
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