sabato 12 gennaio 2013

L’Italia dei profughi: quando dall’emergenza all’accoglienza?


Il Governo italiano, a poche ore dalla scadenza che era stata fissata in un primo momento al 31 dicembre, ha deciso di prorogare l’accoglienza per i profughi della cosiddetta emergenza nord Africa fino al 28 febbraio. L’intervento umanitario messo in atto dal Governo italiano ha riguardato fino ad oggi 28.123 stranieri in fuga dalla primavera araba giunti nel 2011, 28.431 rifugiati scampati alla guerra in Libia e altri 6.000 migranti provenienti dal Mediterraneo orientale. “Su tutto il territorio nazionale - ha spiegato il Viminale - è stata attivata un’accoglienza diffusa, con punte massime di oltre 26.000 profughi, nonché l’esame di oltre 39.000 richieste di asilo da parte delle Commissioni territoriali e delle loro Sezioni per il riconoscimento della protezione internazionale”. Tuttavia senza un percorso vero di inserimento e accompagnamento, che non era stato attivato nell’anno e mezzo trascorso dall’arrivo di questa massa di persone alla ricerca di un legittimo futuro migliore, l’autonomia e l’autosufficienza dei profughi è rimasta una chimera (non solo in Italia) e anche anche il New York Times ha acceso i riflettori sul paradosso italiano.
Quella del Governo, per il Progetto Meltingpot Europa, che dal 1996 è un importante osservatorio di comunicazione sul fenomeno dell’immigrazione, è però solo una soluzione tampone, “evidentemente dovuta più al pensiero dei problemi di ordine pubblico creato da migliaia di disperati pronti ad ingrossare le fila dei senza dimora”. “La proroga, - ha fatto sapere in un comunicato Meltingpot Europa - in buona sostanza, sembra solo un modo per superare l’inverno” nonostante la pressione esercitata sul Governo da parte di migliaia di cittadini, che con la campagna Diritto di scelta avevano contribuito alla decisione di rilasciare a tutti i profughi un permesso di soggiorno umanitario, forse con la speranza che, una volta ottenuto il documento, il numero più alto possibile lasciasse le strutture d’accoglienza per cercare fortuna altrove. In realtà con questa proroga per Meltingpot Europa si rischia solo di “Tenere col fiato sospeso migliaia di persone, un comportamento irresponsabile, che indica chiaramente lo stato confusionale in cui versa la politica nel nostro Paese, attenta alle proprie sorti parlamentari, ma lontana anni luce dai problemi veri, quelli che toccano la vita delle persone”, soprattutto di quelle che non votano.
La nota del Viminale con cui si annuncia la proroga del regime di accoglienza afferma che il Ministero dell’Interno, attraverso i Prefetti, che sono subentrati dal 1° gennaio nella gestione ordinaria, "garantirà agli stranieri ancora presenti una accoglienza finalizzata ad una loro progressiva uscita dal sistema anche attraverso programmi di rimpatrio volontario e assistito”. Insomma nonostante le associazioni che si occupano di diritti umani ci facciano sapere da mesi che la situazione del nord Africa sia tutt’altro che stabilizzata (una rapida scorsa agli appelli di Amnesty International a riguardo basta per farsi un’idea) l’Italia sembra pronta per rispedire al mittente dopo il 28 febbraio gli stranieri ancora sul patrio suolo, anche se il Ministero degli Interni si è affrettato ad assicurare che “La conclusione degli interventi straordinari non si concretizzerà nell’abbandono di quelle persone ancora bisognose di protezione”. In particolare il Ministero ha garantito per “tutti coloro che devono veder definita la loro procedura e per quelli che sono in attesa del rilascio di un permesso umanitario della durata di un anno che consente di svolgere un’attività lavorativa, interventi per favorire percorsi di integrazione e di inclusione nel territorio”.
La replica di Meltingpot Europa su questo punto è chiara: “Viene da chiedersi cosa significhi e come si intenda procedere per la progressiva uscita dei profughi dalle strutture di accoglienza, e in cosa consistono materialmente quegli ulteriori interventi per favorire percorsi di integrazione e di inclusione nel territorio, se ad oggi poco o nulla è stato fatto per arrivare ad un concreto superamento della fase emergenziale”. “Abbiamo visto nelle scorse settimane qual è stata la risposta alle mobilitazioni che, in molte città italiane, chiedevano a gran voce una soluzione vera per i migranti, fondata sul rispetto dei diritti umani e della dignità di chi è stato costretto a scappare da guerre e violenze: polizia in assetto antisommossa, manganelli e botte” ha dichiarato Meltingpot Europa.
Inoltre, a quanto pare (vedi inchiesta dell’Espresso), quella dell’accoglienza in emergenza è stata la parola magica per scavalcare procedure e controlli da parte di imprenditori e personaggi poco raccomandabili e l’assistenza ai migranti si è trasformata in un affare: bastava una sola telefonata per venire accreditati come “struttura d’accoglienza” e accaparrarsi 1.200 euro al mese per ogni persona. Una manna per centinaia di alberghi vuoti, ex agriturismi, case-vacanze disabitate, residence di periferia e colonie fatiscenti. Così ha concluso Meltingpot “Centinaia di milioni di euro, anziché costruire nell’anno e mezzo trascorso dagli sbarchi a Lampedusa effettive possibilità di autonomia e autosufficienza, sono stati buttati in un enorme buco nero”.
Forse anche per questo il Ministero ha tagliato le diarie destinate al mantenimento dei richiedenti asilo (da 46 a 35 euro pro capite) accrescendo così il rischio di vedere gli ospiti dormire all'addiaccio, rigettati da quelle strutture preposte all’accoglienza e dagli alberghi che potrebbero non accettare le nuove ristrettezze economiche. Una condizione denunciata nei giorni scorsi in un comunicato stampa anche dalla Caritas Ambrosiana: “Si rischia di lasciare per strada prima della fine dell'inverno proprio i soggetti più deboli, tra i quali anche donne con bambini che difficilmente potranno trovare soluzioni autonome. Usciti dai centri di accoglienza, i soggetti più fragili chiederanno aiuto alle Caritas e ai Comuni, appesantendo così il carico sostenuto da un welfare locale già costretto a rispondere a bisogni crescenti con sempre meno risorse”. Per questo la Caritas Ambrosiana ha chiesto che lo stato di emergenza sia prorogato almeno fino al 31 marzo, anche se “un mese in più non consentirà certo di dare nemmeno lontanamente risposta alla domanda di futuro espressa da questi migranti, ma potrà almeno evitare loro di affrontare difficoltà superiori alle proprie forze e di sovraccaricare una rete di aiuti già parecchio appesantita dai tagli al welfare e da una crisi economica che non allenta la presa”.
Il 28 febbraio è dietro l’angolo. Il Governo ha dichiarato in questi 60 giorni una particolare attenzione “nei confronti di soggetti vulnerabili e di nuclei familiari che potranno godere, se necessario, di ulteriori interventi nel sistema del Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e con le risorse dei Fondi europei”. Un primo passo. Il nostro auspicio, ovviamente, è che lo slogan lanciato nelle manifestazioni a sostegno dei diritti dei migranti dell’emergenza nord Africa nei mesi scorsi, quel “non più profughi ma cittadini”, si realizzi concretamente con il sostegno del un nuovo e forse più lungimirante Governo.
Alessandro Graziadei

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