Mentre a due mesi dalle elezioni europee la Rai promuove con alcuni spot la storia dell’Unione europea e ne celebra i vantaggi per i cittadini, la Coldiretti mette in guardia da alcune più che dubbie scelte in materia di sicurezza alimentare: “oltre la metà della spesa è ancora anonima per colpa delle contraddittoria normativa comunitaria”. Come è possibile? Almeno sulla carta l’Unione persegue una politica di sicurezza alimentare che mira a proteggere la salute e gli interessi dei consumatori garantendo allo stesso tempo il regolare funzionamento del mercato interno. “Per raggiungere tale obiettivo, - si legge tra le sue direttive in materia - l’Unione provvede a elaborare e a fare rispettare norme di controllo in materia di igiene degli alimenti e dei prodotti alimentari, salute e benessere degli animali, salute delle piante e prevenzione dei rischi di contaminazione da sostanze esterne. Inoltre prescrive norme volte a garantire l’adeguata etichettatura di tali prodotti”. Questa politica è stata riformata all’inizio degli anni 2000 all’insegna del cosiddetto approccio “dai campi alla tavola” per garantire la sicurezza degli alimenti e dei prodotti alimentari commercializzati nell’Unione in tutte le fasi della catena di produzione e distribuzione e si applica sia ai prodotti alimentari prodotti nell'Unione che a quelli importati da paesi terzi.
Un buon proposito che per la Coldiretti rimane ancora molto distante dalla realtà visto che dalle burocrazie dell’Unione sono arrivate incomprensibili decisioni sulla tavola che allontanano cittadini ed imprese dall’Europa: “Nell’Unione dei rigore dei conti si consentono invece trucchi ed inganni nel momento di fare la spesa con l’appiattimento verso il basso della qualità alimentare anche a danno di Paesi come l’Italia che possono contare su primati qualitativi e di sicurezza alimentare” ha affermato lo scorso 6 luglio il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Non si tratta di una novità per il numero uno della Coldiretti: “L’Unione Europea, negli ultimi anni, ha dato il via libera ad allucinanti novità nel piatto, senza dimenticare le alchimie degli ingredienti che hanno snaturato anche gli alimenti più comuni” per dare spazio a quei Paesi che non possono contare su una vera agricoltura e puntano su trucchi, espedienti e artifici della trasformazione industriale per poter essere competitivi sul mercato del cibo.
Qualche esempio? In tutta l’Unione è già possibile incorporare la polvere di caseina e caseinati, al posto del latte, nei formaggi fusi. Un autentico raggiro che viene legalmente servito sulle nostre tavole: “Già oggi una mozzarella su quattro in vendita in Italia è stata ottenuta con semilavorati industriali, chiamati cagliate, che vengono dall’estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea”. Similmente in tutta Europa circolano liberamente imitazioni low cost del Parmigiano reggiano e del Grana padano realizzate fuori dall’Italia senza alcuna indicazione della provenienza e con nomi di fantasia che ingannano i consumatori sulla reale origine. “Le importazioni dei cosiddetti similgrana in Italia sono raddoppiate negli ultimi dieci anni con gli arrivi da Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia che hanno raggiunto un quantitativo stimato in 83 milioni di chili” ha spiegato Moncalvo.
Anche vino e olio, altri due prodotti tipici di quell’Italia che ospiterà l’EXPO 2015 e che dovrà spiegarci come “nutrire il pianeta”, rischiano oggi la stessa sleale concorrenza. Come? Per l’Unione è possibile aumentare la gradazione del vino attraverso l’aggiunta di zucchero oppure a partire da polveri “miracolose” contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di creare "etichette più prestigiose" con la semplice aggiunta di acqua. Lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei paesi del Mediterraneo e in Italia, che ha combattuto una battaglia per impedire un “trucco di cantina” e affermare definitivamente la definizione di vino quale prodotto ottenuto interamente dall’uva. Difficile orientarsi in una scelta consapevole anche quando si tratta di scegliere le bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati visto che è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” previste dalla normativa comunitaria per far conoscere la provenienza delle olive ai consumatori. L’Italia è il maggior importatore mondiale di olio di oliva, ma solo un italiano su quattro, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe, ritiene che la gran parte dell’extravergine in vendita sia ottenuto totalmente o per la maggior parte con olio straniero, come dire che in pochi sanno con cosa condiscono le loro pietanze.
“Storica - ha proseguito la Coldiretti - anche l’imposizione dell’Unione all’Italia di aprire i propri mercati anche al cioccolato ottenuto con l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao”. Non se la passa meglio il miele, visto che l’Unione Europea ha dato il via libera alla vendita senza alcuna indicazione sull’eventuale presenza di polline contaminato OGM, nonostante il boom delle importazioni da Paesi a rischio contaminazione, come la Cina che nel 2013 è diventata addirittura secondo fornitore dell’Italia. E non solo di miele. In Italia sono stati importate grazie alle norme europee ben 155 milioni di chili di concentrato di pomodoro nel 2013 pari a circa il 15% della produzione di pomodoro da industria in Italia di cui quasi 58 milioni di chili dagli USA e 29 milioni di chili dalla Cina.
Ma almeno sulla carne siamo al sicuro? Non proprio. L’Unione Europea consente anche per alcune categorie di carne, come per il vino, la possibilità di non indicare l’aggiunta d’acqua fino al 5%, ma per wurstel e mortadella tale indicazione può essere addirittura elusa, anche se il contenuto di acqua supera tale percentuale, secondo la nuova normativa comunitaria definita con il Reg. 1169/2011 dell’Unione. Come se non bastasse le norme che obbligano ad indicare la provenienza nelle etichette per la carne bovina, non lo fanno per quella suina o per i prosciutti, “Una mancanza di trasparenza che sta mettendo in crisi l’allevamento suino italiano - ha concluso la Coldiretti - e il risultato è che gli inganni del finto made in Italy sugli scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero”. Infine, addio ad alcuni piatti tipici tradizionali italiani costretti ad essere modificati dai vincoli sanitari europei, mentre nessuna misura è stata adottata per impedire che la carne o i formaggi derivanti da animali clonati o della loro progenie arrivi sulla nostra tavola nonostante le numerose importazioni da Paesi come Canada, Argentina, Brasile, Stati Uniti dove tale pratica si è rapidamente diffusa da anni. Attualmente, secondo quanto riportato dalla Commissione europea, “la clonazione non è utilizzata per la produzione alimentare all’interno dell’Unione Europea, ma ci sono evidenti rischi per le produzioni importate dall’estero”.
Si passa, così, “dal formaggio senza latte al vino senza uva, dal cioccolato senza cacao, alla carne annacquata”… ed è lecito aspettarsi da questa Europa un impegno maggiore nella tutela del consumatore e del prodotto alimentare di qualità, prima che le scelte di qualche tecnocrate rendano ancora più lontani i cittadini da un’Europa dove lo scorso maggio ha vinto quasi ovunque il partito del non voto con il suo 57,9% sul totale degli aventi diritto.
Alessandro Graziadei
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