Perdere anche una piccola parte del patrimonio forestale mondiale significa destabilizzare il clima e cancellare la più importante miniera di biodiversità della terra. Per questo l’accordo raggiunto alla Conferenza sul clima di Parigi lo scorso dicembre, in particolare con la firma del REDD+ sulla riduzione delle emissioni da deforestazione, fa ben sperare per la salute dei nostri polmoni verdi. Almeno sulla carta, secondo l’accordo, molti finanziamenti internazionali contro il cambiamento climatico dovrebbero cominciare ad essere erogati, già da quest’anno, anche su progetti pensati per la conservazione delle foreste, gli unici strumenti naturali utili a limitare la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera grazie alla loro capacità di riconvertirla in ossigeno. Ma quella presa a Parigi non è l’unica buona notizia che arriva su questo fronte e vien quasi da pensare che nel 2016 sia stato finalmente compreso il valore del patrimonio forestale mondiale.
Lo scorso mese, infatti, il governo del Bangladesh ha esteso fino al 2022 il bando sul taglio degli alberi nelle foreste naturali del Paese, una misura volta a proteggere la biodiversità. Oggi solo poco più del 10% del territorio del Bangladesh è ancora coperto da foreste e molte delle 5.000 specie di piante del Bangladesh sono o a rischio estinzione o sono già scomparse in pochi anni. Come se non bastasse la deforestazione contribuisce alle periodiche inondazioni che si succedono nelle pianure alluvionali del sistema del Gange-Brahmaputra, un’area estesa su circa il 75% della nazione. Forse anche per questo il 21 agosto nel corso di una riunione del Consiglio dei ministri, presieduto dal primo ministro Sheikh Hasina, il Governo ha appunto approvato la proposta presentata dal Ministero dell'Ambiente e delle Foreste di estendere il divieto al taglio degli alberi nelle foreste naturali del Paese fino al 2022.
Ma negli scorsi mesi anche il mondo della moda ha voluto dare il proprio contributo contro la deforestazione, chiamato in causa dal fatto che buona parte delle fibre definite “sintetiche” vengono prodotte a partire dalla cellulosa ricavata dal legno degli alberi. Da mesi, infatti, aumentano le aziende che hanno risposto all’invito dell’associazione canadese Canopy per adottare una policy più responsabile nei confronti delle foreste. Gli ultimi a sottoscrivere la proposta a fine maggio, sono stati Esprit, l’inglese Tesco, la canadese Simons e la svedese KappAhl. “Queste aziende leader nel settore dimostrano che l’approvvigionamento da foreste minacciate non è più di moda”, ha commentato Nicole Rycroft, fondatrice di Canopy. “Grazie all'impegno di oltre 65 marchi di abbigliamento, stiamo cambiando tutta la filiera del rayon. Ora stiamo lavorando con i produttori di viscosa in Cina, dove cercheremo di ottenere un serio impegno per le foreste entro l'anno prossimo”. L’obiettivo di Canopy è eliminare la deforestazione dall’intera filiera internazionale delle cosiddette fibre sintetiche entro il 2017 e per questo l’ong sta lavorando anche con i produttori di rayon e viscosa per implementare i propri impegni paralleli. “Alcuni produttori che rappresentano circa 65% della produzione mondiale hanno già preso impegni formali e verificheremo nei prossimi mesi gli sforzi di questi produttori per eliminare le controverse materie prime dalla loro catena di approvvigionamento tutelando così molti paesaggi forestali in via di estinzione” ha concluso la Rycroft.
E mentre il mondo della moda da il proprio contributo contro la deforestazione il Governo giapponese ha annunciato in febbraio che designerà 13.600 ettari di terra e 3.700 ettari di mare nella regione Yanbaru di Okinawa ad un parco nazionale, con l’obiettivo di soddisfare i criteri UNESCO per l’inclusione del nuovo parco nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità. Il ministero dell’Ambiente ha per questo annunciato “nuove misure di protezione dell’area di Yanbaru, nella parte settentrionale dell’isola principale di Okinawa e delle isole Amami nella vicina prefettura di Kagoshima, puntando al riconoscimento della zona come Patrimonio Mondiale entro il 2018”. La zona rappresenta un habitat con caratteristiche uniche per la sua vegetazione subtropicale ed è possibile che nei prossimi anni il Governo prenderà in considerazione l'espansione del parco su un’ulteriore area di 7.800 ettari di terreno, attualmente dato in concessione temporanea all’esercito degli Stati Uniti.
Dal Texas, infine, è arrivata negli scorsi mesi un’altra “good news”: il Servizio Forestale degli Stati Uniti ha rinunciato temporaneamente a cedere altre parti della Davy Crockett National Forest alle compagnie petrolifere per l’estrazione di petrolio e gas. Nella zona lo sfruttamento petrolifero è già presente sin dal 1970 su gran parte del territorio della foresta nazionale, ma i gruppi ambientalisti locali si erano opposti lo scorso aprile all’asta per l’affitto di nuovi terreni, sia per proteggere le foreste, sia per evitare un’ulteriore estrazione di combustibili fossili. “Siamo soddisfatti per la decisione del Servizio Forestale di sospendere l’asta per dare il tempo all’opinione pubblica di esprimere preoccupazioni, ma pensiamo che in generale non si debbano più vendere contratti di locazione per lo sfruttamento petroliero o di gas”, aveva detto Wendy Park, del Center for Biological Diversity. Anche per gli ambientalisti a stelle e strisce “lo sfruttamento di preziose foreste pubbliche deve finire” e “i combustibili fossili devono restare sottoterra se vogliamo evitare di peggiorare ulteriormente gli impatti dei cambiamenti climatici”.
Alessandro Graziadei
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