Lo scorso aprile, nell’ultimo giorno utile per trovare un accordo ed evitare il processo, la Volkswagen ha raggiunto un compromesso con le autorità Usa per chiudere il caso scoppiato dopo la scoperta delle centraline truccate di diversi modelli di auto a gasolio risultate molto più inquinanti di quanto dichiarato dalla casa produttrice. In base all’intesa, annunciata a San Francisco dal giudice Charles Breyer, la casa di automobilistica tedesca o riacquisterà le quasi 500mila vetture coinvolte nello scandalo o dovrà garantire gli interventi necessari per riportare le emissioni delle autovetture vendute ai livelli di legge compensando i clienti danneggiati. Volkswagen dovrà inoltre creare un fondo destinato a finanziare misure di protezione dell’ambiente negli Stati Uniti. Anche se l’ammontare totale della spesa non è stato reso noto, solo il costo dell’operazione di riacquisto di tutte le auto coinvolte nello scandalo si aggirerebbe attorno ai 7 miliardi di dollari, cifra alla quale Volkswagen dovrà aggiungere anche i 5 milioni di Euro che l’8 agosto l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm o Antitrust) ha chiesto alla casa automobilistica di Wolfsburg per la manipolazione del sistema di controllo delle emissioni inquinanti in Italia.
La pratica dell’Antitrust riguarda la commercializzazione sul mercato italiano, a partire dall’anno 2009, di alcuni autoveicoli diesel della Volkswagen la cui omologazione è stata ottenuta con le stesse tecniche che sono costate la multa a stelle e strisce, cioè attraverso l’utilizzo di un software in grado di alterare il comportamento del veicolo durante i test di banco per il controllo delle emissioni inquinanti riducendo artificialmente le emissioni ossidi di azoto (NOx) rispetto a quelle potenzialmente emesse durante il normale utilizzo del veicolo su strada. “L’Autorità - si legge in una nota dell’Antitrust - ha ritenuto tale condotta scorretta ai sensi del Codice del Consumo poiché gravemente contraria agli obblighi di diligenza professionale e idonea, altresì, a falsare in maniera rilevante il comportamento economico dei consumatori, inducendoli ad assumere una scelta di consumo che non avrebbero altrimenti preso qualora consapevoli delle reali caratteristiche dei veicoli acquistati”. Se non fosse sufficiente l’Autorità ha ritenuto scorretta anche la presenza, in vari cataloghi informativi diffusi dal Gruppo, di messaggi pubblicitari che attribuiscono al produttore una particolare sensibilità ambientale e una specifica attenzione al livello delle emissioni inquinanti delle proprie autovetture. “Secondo l'Antitrust tali messaggi, alla luce di quanto emerso nel corso del procedimento, sono suscettibili di indurre in errore i consumatori, con riferimento alla vocazione ambientale, alla responsabilità sociale rivendicata dal produttore, nonché alle affermazioni del rispetto delle normative vigenti in materia”.
Ma la Volkswagen sarà poi l’unica pecora nera? Qualche dubbio mi viene e non solo perché ne guido da anni una. Già in gennaio anche il colosso francese Renault, oggetto di un’inchiesta in Francia voluta dal Governo di Manuel Valls dopo lo scandalo scoperto in Usa, aveva richiamato 15 mila vetture prima della loro messa sul mercato. Lo aveva annuncia il ministro dell’Ecologia, Ségolène Royal dopo che alcuni controlli in condizioni reali, effettuati dal Ministero, avevano mostrato valori inquinanti che sforano i limiti europei. Secondo la Royal, i controlli “dovranno d’ora in poi riguardare le emissioni quando la temperatura ambientale è molto alta, oppure sotto i -17 gradi, perché in quelle condizioni l’impianto di filtraggio degli scarichi non lavora più” quando le soglie di inquinanti, limitati per legge, vengono regolarmente infrante. Adesso però si viene a sapere dal Financial Times del 22 agosto che il report del governo francese presentato il 1 agosto scorso “ha omesso altri dati scomodi sull’inquinamento provocato da alcuni modelli della casa automobilistica Renault, di cui lo Stato è azionista al 20%”. Secondo le osservazioni di tre membri di questa commissione indipendente, composta in totale da 17 persone, nel report finale non c'è traccia dei dati inerenti le emissioni di NOx del modello Captur della Renault che hanno rilevato una presenza di ossido di azoto tra le nove e le undici volte superiore ai limiti stabiliti dall’Unione Europea (non diversa da quella di alcuni modelli di 500x della Fiat che hanno fatto registrare emissioni quasi 17 volte superiori ai limiti Ue). Eppure nelle conclusioni non si fa nessun cenno alla presenza di emissioni nocive, ma si avanza solo una “richiesta di vederci più chiaro”. Come mai? “Il report è stato fondamentalmente scritto dallo Stato e loro hanno deciso cosa sarebbe rimasto confidenziale”, ha detto il membro della commissione Charlotte Lepitre, dirigente dell’associazione ambientalista France Nature Environnement.
La casa automobilistica francese ha immediatamente negato l’utilizzo di software per modificare i risultati dei test, spiegando che “i modelli sono conformi alle leggi e alle norme di ciascun mercato nel quale sono venduti” e il ministero dell’Ambiente francese ha respinto ogni accusa di aver occultato delle informazioni, spiegando che il report finale tiene conto delle opinioni di tutti i membri della commissione. Ma è importante ricordare che la manipolazione dei dati reali delle emissioni delle automobili non è un tema nuovo e non riguarda solo la Volkswagen e la Renault. Al contrario, secondo uno studio del 2014 di Transport and environment, appare chiaro come il gap fra i controlli in laboratorio e quelli su strada è un’abitudine che per il trasporto privato è passata in media dall’8% del 2001 al 31% del 2013. Per le nuove auto diesel le emissioni di ossidi di azoto sono in media cinque volte superiori su strada rispetto al limite consentito e solo un’auto su dieci rispetta il livello promesso anche su strada. Per alcuni modelli il divario è così grande che da anni era già emerso il sospetto che l’auto fosse in grado di rilevare quando è sottoposta o meno ad un test utilizzando un “impianto di manipolazione” (defeat device) che abbassi artificialmente le emissioni durante la prova.
Del resto in Europa gli addetti ai lavori conoscono da tempo altre tecniche che le case automobilistiche utilizzano per manipolare i dati dei test sul livello d’inquinamento e di emissioni prodotte, con il sostanziale beneplacito di Stati membri e Commissione europea. Come? Non si calcola l’energia consumata dall’aria condizionata; la batteria viene caricata prima del test; si utilizzano condizioni di temperatuta esterna “ideali”; si modificano i freni perché facciano meno resistenza… Il tutto alla luce del sole e grazie ad un sistema di controlli obsoleto e non indipendente rispetto ai costruttori stessi, che finanziano direttamente le agenzie di certificazione. Forse anche per questo non è un caso che il trucco sia stato “scoperto” negli Usa dove i test sono fatti da organismi indipendenti e il 10%-15% delle auto sono ritestate a campione. Così in questa battaglia permanente tra la nostra salute e le lobby dei costruttori non ci resta che domandarci: chi non bara sulle emissioni in Europa?
Alessandro Graziadei
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