sabato 30 marzo 2019

Cosa è cambiato...?

È uscito lo scorso 7 febbraio e mi ha fatto subito pensare all’insuperabile Tom Hanks nei panni di Forrest Gump. Certo il paragone è impegnativo, ma “Copperman” l’ultimo film del regista Eros Puglielli che vede Luca Argentero nei panni di Anselmo, un uomo con una leggera forma di autismo che riesce a fare della vulnerabilità la sua forza, non poteva non ricordarmi il capolavoro del 1994 diretto da Robert Zemeckis. Nei ringraziamenti finali del film compare, tra gli altri, il nome del neuropsichiatra infantile Luigi Mazzone e del Centro Aita, specializzato nei disturbi dello sviluppo, che hanno aiutato la produzione a documentarsi prima di girare la rappresentazione di una condizione complessa come l’autismo, dimostrando come forse anche dal cinema italiano stia arrivando il messaggio di un cambiamento culturale nell’approccio alla disabilità. Un cambiamento a lungo atteso visto che lo scorso 3 marzo è caduto il decimo anniversario della ratificava della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), un documento diventato indispensabile per garantire il godimento dei diritti umani e civili delle persone con disabilità e che la Fish – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap aveva salutato nel 2009 “come un’occasione storica per la promozione di una nuova cultura riguardo alla condizione delle persone con disabilità e delle loro famiglie nel nostro Paese”. 

In generale, la Convenzione, ha permesso l’elaborazione di un quadro normativo nuovo e più complesso, obbligando le pubbliche amministrazioni a rimodellare i propri procedimenti e a spostare l’asse di tutela della disabilità dalla mera assistenza medica ad una azione volta ad eliminare ogni forma di discriminazione intesa come “qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo”. Per la prima volta dal 2009 al centro del dibattito sull’esclusione sociale è stata posta la persona e la disabilità non ha più esaurito l’identità del suo portatore. Ma a 10 anni dalla ratifica quanto di quell’approccio così diverso, basato sui diritti e non sull’assistenza è diventato realtà? Per Roberto Speziale presidente nazionale di Anffas Onlussentito da Vita.it, “dal 2009 sono stati compiuti notevoli progressi nell'attuazione della Convenzione e nell'applicazione delle legislazioni, strategie, politiche e programmi, ma ancora lungo è il percorso per raggiungere la sua piena attuazione”.

L’Italia è stata tra i primi paesi firmatari della CRPD ed è stata il primo paese a redigere le "Linee Guida" sulla disabilità dotandosi di un "Piano di Azione per la disabilità", in linea con gli standard internazionali di riferimento. Grazie a questa volontà politica di trasferire in prassi la Convenzione e nato sempre nel 2009 l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità con funzioni consultive e di supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche nazionali in materia di disabilità. Un organismo che rientra nell’ambito dei meccanismi di coordinamento che gli Stati hanno l’obbligo di implementare per promuovere e monitorare l’attuazione della Convenzione. Eppure nell’agosto 2016, a Ginevra, il Committee on the Rights of Persons with Disabilities ha incontrato una delegazione del Governo Italiano per comunicare le osservazioni conclusive sul primo rapporto inviato dall’Italia riguardante l'iter di attuazione dei principi e delle disposizioni contenute nella Convenzione. Per Speziale il documento, articolato in 88 punti, contiene pochi apprezzamenti e molte preoccupazioni, a cominciare “dalla declinazione in una prospettiva per lo più medico-sanitaria della disabilità” e dall'esistenza di molteplici definizioni di disabilità in tutti i settori e in tutte le regioni, il che porta ad una disparità di accesso al sostegno ed ai servizi” che non sono ancora sottoposti ad “una normativa vincolante a livello sia nazionale, che regionale”.

Secondo Speziale quindi la sostanza è questa: “l’implementazione della Convenzione richiede politiche, che non ci sono". Il Governo ha reso pubblico un Programma d'azione per il prossimo biennio, ma non lo ha finanziato. Ora siamo in prossimità dell’avvio del secondo rapporto di monitoraggio, ma ancora non si vedono attuate nessuna delle raccomandazioni fatte dopo il primo. Che fare? Per il presidente dell’Anffas la sostenibilità della Convenzione nei paesi che l’hanno ratificata non deve essere demandata solo alla politica, “deve dipendere in gran parte dalla capacità della società civile di conoscere e far rispettare i diritti riconosciuti dalla stessa. Solo dove si sviluppa una voce forte e consapevole delle associazioni che lavorano per la tutela delle persone con disabilità ci può essere il rispetto dei diritti e l’attuazione delle soluzioni più appropriate per garantire la piena inclusione delle persone con disabilità, compresa la definizione e la messa in esercizio di politiche pubbliche più appropriate”. Fino ad oggi in Italia non è mai stata fatta una vera campagna informativa per la diffusione della Convenzione Onu e del Protocollo Opzionale tra le associazioni, le famiglie, gli operatori e le pubbliche amministrazioni, le quali spesso rimangono ancorate al vecchio modo di vedere la disabilità, con tutte le discriminazioni e limitazioni che ne conseguono. “La verità è che la Convenzione Onu in Italia è largamente inattuata perché in gran parte sconosciuta. La fatica è proprio nel far comprendere che la Convenzione Onu non è un libro dei sogni, ma qualcosa che se tradotta in concreto dà dignità, diritti, e capovolge i paradigmi” ha concluso Speziale.

Dello stesso parere è anche Giampiero Griffo, componente del Consiglio mondiale di Disabled Peoples’ International (DPI), presidente di DPI Italia e, da gennaio di quest'anno, anche coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale. Se per Griffo a livello internazionalela la Convenzione è diventata uno standard condiviso, visto che il 91,6% degli stati membri l’ha ratificata, “l'approccio generale alla disabilità in Italia, non è quello dei diritti umani suggerito dalla Convenzione, ma è ancora un approccio medico-sanitarioche prevale sia a livello nazionale che regionale, violando quindi lo spirito della Convenzione”. Il risultato? “Noi persone con disabilità non siamo vulnerabili, ma siamo per così dire vulneratiperché mancano nel nostro Paese strumenti di empowerment”.  Si tratta di un problema di abilitazione più che assistenziale. “Una volta stabilizzato, io non ho bisogno di servizi riabilitativi ma abilitativi, che mi consentano di scegliere gli elementi che sono alla base di miei desideri. Questo approccio non c'è, perché mi vengono assegnati servizi predefiniti che non entrano nel merito della mia vita” ha spiegato Griffo a Redattore Sociale. Poco è stato fatto anche per quanto riguarda la vita indipendente e la vita in comunità, obiettivi previsti dalla Convenzione nell’articolo 19, tanto che oggi  “nel nostro Paese 273 mila persone con disabilità sono segregate in istituzioni, in cui costi di gestione mensili pro capite oscillano tra i 3.500 e i 6 mila euro. Noi sappiamo che bastano molti meno soldi per vivere in casa propria, avendo i sostegni di cui si ha bisogno”. 

Anche se in questi 10 anni, qualcosa di positivo è stato fatto in più settori, l’obiettivo è che la Convenzione diventi, anche in Italia, finalmente prassi oltre che legge, e per farlo è necessario cambiare paradigma, “perché io ho un'esigenza di cittadinanza, oltre che di salute. E ho quindi bisogno di politiche che mi permettano di partecipare liberamente e attivamente alla vita della comunità” ha concluso Griffo. Magari a cominciare dal lavoro, visto che la disoccupazione fra persone con disabilità supera oggi l’80% nonostante la legge 68 del 1999 sulle categorie protette nel lavoro, una legge che se seriamente applicata potrebbe dare risposte al 6-7% degli attuali disabili disoccupati. Eppure oggi non è applicata e non c’è un monitoraggio degli inadempienti.

Alessandro Graziadei

Nessun commento:

Posta un commento