domenica 14 aprile 2019

Quel passo avanti nelle politiche per la conservazione...

Quando alla fine di maggio nel Golfo di California terminerà la stagione della pesca al totoaba, le vaquitas (Phocoena sinus) quante saranno? Secondo l’associazione animalista Sea Shepherd e alcuni biologi marini tra i quali Jorge Urban, biologo dell’Universidad Autònoma de Baja California Sur, ad oggi rimangono soltanto 22 esemplari di questi piccoli e rari cetacei, un numero che spinge inesorabilmente queste focene verso l’estinzione. Quello che le tiene in vita è probabilmente l'attivismo degli ambientalisti di Sea Shepherd che con la nave Farley Mowat e l’aiuto di alcuni droni vanno a caccia delle reti usate dai pescatori di totoaba nelle quali rimangono spesso impigliate le vaquitas. In Cina le vesciche natatorie di questo grosso pesce sono considerate un afrodisiaco e al dettaglio possono arrivare a costare migliaia di dollari l’una, per questo sul mercato dei totoaba vive un’intera generazioni di pescatori messicani. Così quella che sembra essere “solo” una battaglia per la biodiversità in sfregio ai diritti animali è in realtà anche un dramma umano e sociale. 

In queste settimane i pescatori hanno intensificato gli attacchi contro gli ambientalisti sparando contro la Farley Mowat e i droni che Sea Shepherd utilizza per individuare dall’alto le reti abusive calate per catturare i totoaba. Il risultato ha portato a dei veri conflitti a fuoco con la Marina e la Polizia federale messicana che hanno sparato proiettili di gomma contro gli assalitori, ma al momento non sembrano in grado di impedire ai pescatori di calare le reti il cui uso è vietato nell’area dagli anni '90, proprio per preservare le vaquitas. Secondo Sunshine Rodriguez, leader dei pescatori di San Felipe, Baja California, “Il commercio illegale di totoaba non ha portato ricchezze in città: il divieto totale delle reti ha paralizzato la flotta da pesca e i rimborsi governativi destinati a compensare la perdita del reddito da pesca non sono pagati da almeno tre mesi”. La diretta conseguenza è che i pescatori stanno indebitandosi, prendendo in prestito denaro dal cartello dei trafficanti cinesi e messicani di totoaba per comprare nuove reti e dando vita ad un circolo vizioso in cui i lavoratori del settore sono sempre più indebitati. Per Rodriguez l’idea che i pescatori guadagnino migliaia di dollari per ogni totoaba "è un mito, in realtà i commercianti illegali sino-messicani continuano a tagliare il prezzo e i pescatori stanno morendo di fame".

Anche secondo Andrea Costa dell’Elephant Action League “I prezzi del totoaba  sembrano essere in calo” e questa “È la prima buona notizia per la vaquita da molto, molto tempo”. Costa, che ha passato un anno e mezzo a lavorare sotto copertura per capire come funziona il commercio di totoaba, concorda con Rodriguez su un punto: “La strategia del governo messicano di concentrarsi quasi esclusivamente sulla repressione dei pescatori non funzionerà mai. A meno che non lo faccia anche con gli intermediari e i commercianti. Se concentra tutti i tuoi sforzi solo sui pescatori, rimuovendo solo le reti, fallirà e spargerà solo sangue, non solo della vaquita, ma di tutta la vita marina nel Mar di Cortez”. Per ora le forze dell’ordine sono riuscite ad arrestare 16 commercianti in Cina e ad identificare alcuni commercianti illegali di totoaba della comunità cinese della Baja California, ma intanto il Mare di Cortez, che un tempo Jacques Cousteau definì “l’acquario del mondo”, subisce danni a lungo termine molto probabilmente irreversibili.

Eppure dalle vaquitas e dalla loro "cultura" potremmo imparare molto. Un folto team internazionale di ricercatori che lavorano su una vasta gamma di specie considerate “intelligenti” come elefanti, corvi, scimpanzé e appunto cetacei, nello studio Animal cultures matter for conservation” pubblicato lo scorso 8 marzo su Science, sostiene che “per pianificare gli interventi internazionali di salvaguardia della biodiversità bisogna tener conto delle culture animali”. A detta della principale autrice dello studio, la britannica Philippa Brakes dell’Università di Exeter, “Oltre ai geni, anche la conoscenza è moneta corrente importante per la fauna selvatica. Quindi oltre a conservare la diversità genetica, dobbiamo lavorare per mantenere la diversità culturale all’interno delle popolazioni animali, come riserva per la resilienza e l’adattamento. Questo è un importante indicatore della nostra comprensione del mondo naturale, che richiederà cambiamenti nella legislazione internazionale sulla fauna selvatica”. Secondo il team di ricercatori, quindi, “L’apprendimento sociale di un’ampia gamma di specie è importante sia per la pratica di conservazione, sia per la politica di conservazione, che dovremmo mettere in atto per preservare qualsiasi ecosistema"

ma come? Non basta evitare l’estinzione degli animali, ma nel caso di animali particolarmente intelligenti come le vaquitas, sarebbe fondamentale preservarne anche un numero sufficiente elevato per non intaccarne i comportamenti sociali e culturali della specie. Per gli autori dello studio pubblicato su Science, infatti, alcune popolazioni possono essere meglio delineate attraverso lo studio del loro “comportamento culturale” che evidenzia come per alcune specie, “proteggere gli individui che fungono da depositi di conoscenza sociale può essere altrettanto importante che procurarsi del cibo”. Per questo secondo la Convention on the Conservation of migratory species of wild animals (Cms – Convenzione di Bonn), che opera sotto l’egida dell’United Nations environment programme (Unep)  “è oramai fondamentale catalogare l’ampia diversità di comportamenti culturali all’interno del regno animale e sviluppare metodi per identificare gli individui che sono i custodi di importanti conoscenze sociali all’interno delle loro comunità e richiedono una protezione speciale”. Un passo avanti nella definizione delle politiche della conservazione che apre una prospettiva affascinante e innovativa su come interagire e tutelare gli animali. 

Per Fernando Spina, dirigente dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e presidente del Cms Scientific Council, che ha partecipato allo studio insieme ad altri ricercatori italiani “Questo nuovo approccio offre un'opportunità per studiare modi innovativi di proteggere e comunicare il mondo naturale: capire che altre specie hanno una vita sociale ricca e che condividono informazioni importanti l’una con l’altra, fornisce una nuova prospettiva inestimabile. Con l’aumento del degrado degli habitat in tutto il mondo, tali informazioni possono essere fondamentali per un’efficiente conservazione degli animali”. Un’idea pionieristica che dovrebbe avere importanti ripercussioni su come ci approcciamo alla conservazione, ma che deve fare i conti con la nostra incapacità di salvare, prima ancora che la culturale animale, la sua biodiversità.

Alessandro Graziadei

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