“Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia”. Al Climate Action Summit di New York Greta Thunberg questa settimana non ha usato giri di parole davanti ai leaders di tutto il mondo, accusati di non fare abbastanza per il salvare il pianeta dal cambiamento climatico. Purtroppo non sono solo i sogni di Greta e quelli delle generazioni future ad essere stati rubati. Anche il regno animale avrebbe qualcosa da dire sugli effetti del costante innalzamento delle temperature, perché sebbene gli animali rispondano all’antropocene con una buona dose di resilienza e di adattamento, tali risposte sono spesso insufficienti o sono troppo lente per far fronte al rapido aumento delle temperature. Sono state queste le conclusioni dello studio “Adaptive responses of animals to climate change are most likely insufficient”, pubblicato su Nature Communications da un team internazionale di 64 ricercatori guidato da Viktoriia Radchuk, Alexandre Courtiol e Stephanie Kramer-Schadt del Leibniz-Institut für Zoo-und Wildtierforschung (IZW).
Il gruppo di scienziati si è chiesto se e in che misura i cambiamenti climatici possano diventare una minaccia per le specie animali e lo ha fatto analizzando i risultati di oltre 10.000 indagini scientifiche pubblicate su autorevoli riviste di settore. “La nostra ricerca si è concentrata sugli uccelli perché i dati completi su altri gruppi erano scarsi - ha spiegato la Radchuk - e ha dimostrato che le specie potrebbero resistere nel loro habitat in riscaldamento, purché si adattino velocemente ai cambiamenti climatici”. Purtroppo dagli studi effettuati fino ad oggi appare “improbabile che ciò avvenga perché anche le popolazioni che rispondono con un cambiamento adattativo lo fanno a un ritmo tale da non garantire la loro esistenza futura”. La cosa più preoccupante dello studio è che i dati analizzati includono per lo più specie molto comuni e abbondanti, note per il loro buon adattamento ai cambiamenti climatici, alcune delle quali di casa o di passaggio anche sulle nostre montagne, come la cinciallegra (Parus major), la balia nera (Ficedula hypoleuca) o la gazza comune (Pica pica).
Per Kramer-Schadt, che guida il Dipartimento di dinamica ecologica del Leibniz-IZW, “Rimangono ancora da analizzare le risposte adattive delle specie rare o in via di estinzione. Temiamo che le previsioni sulla persistenza della popolazione di tali specie di interesse conservazionistico possano essere ancora più pessimistiche”. Per questo gli scienziati sperano che questa indagine stimoli la ricerca sulla resilienza di tutte le popolazioni animali di fronte al cambiamento climatico globale, “contribuendo a un migliore quadro predittivo utile a guidare tutte le future azioni di gestione della conservazione animale”. Il rischio, altrimenti, è quello di cancellare dai sogni e dall’infanzia delle future generazioni la bellezza e l’importanza ecositemica di una buona parte del regno animale, già minacciato anche da un’agricoltura intensiva che, come abbiamo visto la scorsa settimana, con i suoi veleni sta sensibilmente riducendo il numero degli uccelli migratori che popolano stagionalmente anche il paesaggio alpino.
Alessandro Graziadei
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