In Italia le politiche di tutela ambientale che interessano i centri urbani sono spesso legate a ministeri diversi, con un grande spreco delle già scarse risorse a disposizione e spesso pochi risultati in termini di sostenibilità. Eppure è nelle città che si gioca la sfida cruciale dei cambiamenti climatici, perché lì si produce oltre la metà delle emissioni di gas serra del Pianeta. Per questo l’attenzione di Legambiente, Ambiente Italia e de Il Sole 24 Ore si è concentrata anche quest'anno sull'analisi delle performance ambientali dei capoluoghi di provincia con la ricerca Ecosistema Urbano 2019, che ha esaminato oltre 30.000 dati, valutati in base a 18 parametri che hanno determinato la classifica delle performance ambientali delle principali città del Belpaese. Se nel rapporto presentato a fine ottobre spiccano le eccellenze come Trento che sale dal quarto al primo posto, seguita da Mantova, Bolzano, Pordenone e Parma, in generale la ricerca ha fatto emergere sia un’Italia dinamica, attenta alle nuove scelte urbanistiche, ai servizi di mobilità, alla progressiva restituzione di vie e piazze ai cittadini, all’impegno contro lo spreco alimentare e alla tutela degli spazi naturali, sia aree urbane ancora alle prese con emergenze, criticità e performance ambientali scadenti o pessime, a cominciare dall’allarme inquinamento o la critica gestione del ciclo dei rifiuti.
Il rapporto, realizzato grazie ai dati raccolti attraverso i questionari inviati da Legambiente ai 104 comuni capoluogo, avverte che per cercare una chiave di lettura sintetica dell’andamento delle performance ambientali delle città, bisogna abbandonare le solite coppie nord/sud, centri urbani grandi/piccoli o ricchi e poveri. “Nelle prime 20 posizioni si trovano, infatti, città grandi come Bologna, comuni del sud come Cosenza, capoluoghi non ai vertici delle classifiche del PIL come Oristano, a confermare che la regola che l’Italia del buon ecosistema urbano è principalmente l’Italia che fa bene e spende bene le sue risorse, che si evolve e pianifica le trasformazioni future” e non per forza il grande centro urbano, ricco e del nord Italia. Si tratta di un’Italia che nel complesso migliora la sensibilità verde delle sue città e di conseguenza anche la qualità della vita, ma che ha ancora molta strada da fare: non sempre sa gestire l’allarme smog, è talvolta incapace di assicurare un corretto ciclo dei rifiuti, amplia spesso il divario tra chi produce progressi nel trasporto pubblico e chi ha mezzi pubblici non adeguati alle esigenze di mobilità delle persone, non sempre ha reti idriche adeguate, presenta ancora incredibili falle nella depurazione dei reflui fognari, o ha fatto poco per rimediare ad una drammatica insicurezza stradale che lascia ancora sul campo migliaia di morti e decine di migliaia di feriti ogni anno.
Per Mirko Laurenti, responsabile di Ecosistema Urbano di Legambiente e Lorenzo Bono, di Ambiente Italia, la ricerca offre “Un’occasione per ragionare di un’agenda nazionale urbana per mettere in rete le città e renderle sostenibili, sicure e inclusive con i sindaci e gli amministratori dei capoluoghi", trasformando così in nazionale una questione solo apparentemente locale. Occorre lavorare in sinergia per capire "come dare gambe e risorse economiche ai municipi, come favorire un processo nuovo che affronti insieme i temi delle periferie e dell’inclusione, della mobilità e dell’accessibilità, della casa e del lavoro, delle competenze per l’economia locale e circolare, della qualità dell’aria e dei terreni, del consumo di suolo e dello spazio pubblico”. Per Legambiente il rapporto 2019 dimostra soprattutto “che il cambiamento è possibile, anzi è a portata di mano, quando c’è davvero la voglia di creare discontinuità con il passato e di mettere in campo azioni per ridurre gli impatti ambientali e migliorare la qualità delle città e la qualità della vita”. Non è impossibile, basta pensare che tra le 31 esperienze selezionate in tutta Italia, si evidenziano quelle di capoluoghi come Catania, Pescara, Bari e Palermo, che pur non ottenendo risultati ottimali nel dossier, hanno saputo portare avanti singole iniziative di qualità.
Certo non sempre è così! Nelle ultime ventidue posizioni, si trovano alcuni grandi centri urbani: Napoli, Bari, Torino, Roma, Palermo, ciclicamente vittime di piccole-grandi emergenze, ora lo smog di Torino e Roma, ora i rifiuti di Napoli, Palermo e Roma, o l’acqua a Bari. Per non parlare dell’emergenza traffico che interessa più o meno tutti i grandi centri urbani d’Italia: Roma e Torino hanno ben più di 60 auto ogni 100 abitanti e il trasporto pubblico di Roma capitale fa scuola, ma in negativo. In coda alla graduatoria si piazzano Vibo Valentia, Siracusa, Catania. Se Vibo Valentia non risponde a nessuna domanda inviata da Legambiente da tre anni e Siracusa da un biennio, Catania, invece, colleziona una serie di performance non proprio esaltanti: “perdite della rete idrica oltre il 45%; una delle produzioni di rifiuti più alte in assoluto messa assieme con un anacronistico 7,7% di rifiuti raccolti in maniera differenziata e meno di venti centimetri quadrati di suolo a testa riservato a chi cammina”. Che fare? Per il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, “Per andare oltre gli impegni dell’Accordo di Parigi, non basta quanto si sta facendo: va impressa un’accelerazione alla transizione energetica, orientandola anche verso una maggiore giustizia sociale, vanno spinte le città a correggere in chiave ecologica l’edilizia e i rifiuti, i trasporti e l’industria, creando occupazione, green e circular economy, stimolando la domanda di prodotti eco-compatibili, di consumi sostenibili, lo sviluppo di filiere agroalimentari di qualità e a basso impatto ambientale”.
La sfida, insomma è ripartire da quanto di buono è stato fatto da molte amministrazioni è proiettare le nostre città nel futuro, ragionandone a livello complessivo e centrale per costruire realtà sostenibili, funzionali e funzionanti localmente. Come? Per Laurenti “Bisogna considerare la civitas con l’uomo e l’ambiente al centro dello sviluppo sostenibile per innescare in modo strutturale quei cambiamenti capaci di guardare al futuro e che oggi si vedono solo a macchia di leopardo, per iniziativa di amministrazioni e sempre più spesso grazie a singoli cittadini, comitati o associazioni”.
Alessandro Graziadei
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