Il Paese più inquinato al mondo è il Bangladesh, seguito dal Pakistan e dall’India, mentre il primato delle città più tossiche è tutto indiano. È quanto emerge da uno studio effettuato dalla BBC che ha evidenziato come il livello d’inquinamento si sia ridotto in Cina, nazione che in passato deteneva il podio di Paese più “irrespirabile” al mondo, a tutto svantaggio delle tre nuove tigri asiatiche, dove il boom economico, demografico e di consumi va di pari passo con una deregolamentazione ambientale che avrà conseguenze pesanti sia sulla salute dei cittadini di questi paesi che sul cambiamento climatico che il pianeta sta subendo per mano dell’uomo. L’articolo dell’agenzia britannica cita in particolare il rapporto sulle città più inquinate al mondo intitolato “World Air Quality Report”, stilato da IQ Air Visual, una piattaforma che monitora in tempo reale la qualità dell’aria in migliaia di città, e realizzato in collaborazione con Greenpeace indagando durante il 2018 i livelli di inquinanti di 3mila centri urbani sparsi su tutto il pianeta Gli esperti hanno rilevato che su 20 centri urbani più inquinati al mondo, 15 si trovano in India 2 in Pakistan, 1 in Bangladesh e solo 1 in Cina.
In assoluto, la città più inquinata al mondo è Gurugram, centro tecnologico a sud-ovest di Delhi dove si trovano le sedi di grandi multinazionali come Uber e TripAdvisor. Segue al secondo posto Ghaziabad (nell’Uttar Pradesh) e Faisalabad (in Pakistan) sull’ultimo gradino del podio. Nuova Delhi è “solo” all’undicesimo posto, e nelle scorse settimane proprio la capitale indiana è stata avvolta da una coltre di smog. Un’emergenza denunciata già in novembre dal Comitato di esperti nominati dalla Corte Suprema indiana, dopo che l'inquinamento ha raggiunto un livello “molto preoccupante” facendo toccare all'Indice di Qualità dell’Aria (Iqa), che misura i veleni che quotidianamente respiriamo nelle città, il valore di 480. L’indice è un parametro che su scala giornaliera rappresenta sinteticamente il livello di inquinamento atmosferico e consente di avere un riscontro immediato del livello di rischio che corre la popolazione. Normalmente da quota 150 in su, l'aria è giudicata “pessima” per chi la respira, per questo Epca, l’organismo per la prevenzione e il controllo dell’inquinamento in India ha fermato tutti i cantieri nella capitale per alcuni giorni, ha bloccato le attività svolte nella cintura industriale di Delhi che utilizzano petrolio o carbone, le scuole sono state invitate a non organizzare attività all’aperto per i bambini ed è anche scattato il provvedimento, già annunciato da tempo, delle targhe alterne.
Ma se questa è la condizione dell’India in Cina si sta veramente meglio? Come vi avevamo anticipato nella classifica delle prime 20 città più insalubri al mondo c’è spazio per una sola città cinese: si tratta di Hotan, nella regione autonoma del Xinjiang, che compare all’ottavo posto. In realtà la differenza tra Cina e India, sostengono gli esperti, è che mentre Pechino ha da tempo vietato la diffusa pratica di bruciare i residui del raccolto per fertilizzare i campi in vista della semina dell’anno successivo, Delhi li ha limitati solo quest’anno soprattutto nelle tante zone rurali a nord della capitale che nella stagione autunnale diventano un ricettacolo di fuochi. Secondo il professor Thomas Smith della London School of Economics and Political Science, “è sbagliato sottovalutare l’impatto dei roghi agricoli, anche se di norma le persone credono che le cause maggiori siano i gas di scarico delle automobili e delle industrie”. Il blocco degli incendi dei campi agricoli negli Stati che circondano Dheli era stato preceduto, ad ottobre, dal bando per i fuochi artificiali per la festa indù del Diwali (la festa delle lanterne), consentendo la vendita solo di petardi “green” e rispettosi dell’ambiente. Tuttavia, entrambi i provvedimenti non sembrano aver portato agli effetti sperati.
Ma la situazione critica dell’aria di Delhi è una costante autunnale anche a Ulaan Baatar, la capitale della Mongolia che si trova “solo” al 72 esimo posto della classifica del World Air Quality Report. Qui l’aria è diventata talmente irrespirabile che i bambini stanno sviluppando gravi problemi respiratori tali da compromettere la loro salute. A quanto pare i bambini sono la categoria più affetta dalle patologie legate allo smog perché il loro respiro è più veloce rispetto a quello degli adulti e per via della bassa statura che li rende più esposti alle polveri tossiche che sono dense e si concentrano a pochi centimetri dal terreno. Ma l’inquinamento eccessivo provoca non solo difficoltà di respirazione, ma anche danni permanenti agli organi interni in fase di crescita, come reni e polmoni. I rischi valgono anche per i feti nell’utero materno, dato che le particelle inquinanti più sottili riescono ad essere assorbite dal sangue e dalla placenta aumentando esponenzialmente il rischio di aborti e disabilità. Le ultime ricerche scientifiche sui più piccoli delineano uno scenario ancora più grave: l’inquinamento atmosferico provocherebbe, infatti, anche il diabete infantile e malattie cardiovascolari, disturbi che a loro volta sono tra le cause della leucemia e dei disturbi del comportamento. Così tanti genitori hanno iniziato a lasciare i piccoli da parenti e amici nelle campagne, dove l’aria è pulita, visto che quest’anno il livello di polveri sottili PM 2.5 della capitale mongola ha superato di 133 volte i limiti fissati dalla World Health Organization (Who) principalmente a causa del carbone utilizzato per riscaldare le case e le ger, cioè le tipiche tende mongole.
Lo studio evidenzia, quindi, un dato allarmante: le città asiatiche dove non vengono rispettati i limiti imposti dalla Who alla quantità di polveri sottili presenti nell’aria che respiriamo sono la maggioranza e più precisamente il 99% di quelle che si trovano in Asia meridionale e l’89% delle località esaminate in Asia orientale. La Who, infatti, fissa a 10 µg/m3 (microgrammi per metro cubo) la concentrazione massima annuale di particolato PM 2.5 nell’aria, la sostanza tossica talmente sottile che riesce a penetrare nei polmoni, e da questi, nel sangue. Per questo l’organizzazione delle Nazioni Unite stima che ogni anno muoiono almeno sette milioni di persone a causa di problemi respiratori legati all’inquinamento atmosferico, un costo umano immenso, che per la Banca Mondiale ha anche un costo economico pari a 225 miliardi di dollari. Nonostante gli esiti nefasti della recente COP25 sarebbe consigliabile non rimandare a lungo il problema...
Alessandro Graziadei
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