sabato 26 marzo 2011

Italia: il business dell’oro blu in bottiglia

A pochi giorni dai festeggiamenti e dalle iniziative per la Giornata Mondiale dell’Acqua e nel giorno della manifestazione nazionale a favore dei referendum abrogativi delle leggi sulla privatizzazione dell’acqua e per la reintroduzione dell’energia nucleare nel nostro paese, torniamo a parlare “dell’oro blu”, questa volta in bottiglia. Legambiente e la rivista Altreconomia hanno, infatti, da poco presentato il dossier Acque Minerali: la privatizzazione delle sorgenti in Italia (.pdf) per fare il punto della situazione sulla gestione idrica del bel paese a pochi anni dai documentati libri di Luca Martinelli “Imbrocchiamola” e “L’acqua è una merce”.
Il dato che emerge è chiaro, l’Italia tende ad usare troppa acqua con le bollicine e con 192 litri di acqua minerale pro capite si conferma il paese con il più alto consumo di acqua in bottiglia in Europa (nella maggior parte dei casi in plastica). Un volume di affari di 2,3 miliardi di euro, rimasto invariato rispetto allo scorso anno, ma in continua ascesa negli ultimi trent’anni con produzione consumi che dal 1980 ad oggi sono aumentati di 5 volte.
Una crescita smisurata, supportata da enormi investimenti pubblicitari, cui però non è corrisposto un proporzionale aumento delle tariffe pagate dalle società imbottigliatrici alle Regioni italiane, di fatto le proprietari delle sorgenti di demanio pubblico. Secondo il dossier, infatti, è ancora un obiettivo lontano l’adeguamento delle leggi regionali alle linee guida nazionali approvate nel 2006 e che prevedono tre tariffe: “da 1 a 2,5 euro per metro cubo o frazione di acqua imbottigliata; da 0,5 a 2 euro per metro cubo o frazione di acqua utilizzata o emunta; almeno 30 euro per ettaro o frazione di superficie concessa”.
“Eppure - ha spiegato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente - per l’altissimo valore della risorsa idrica e l’impatto ambientale, causato dai consumi da primato delle acque in bottiglia, le Regioni dovrebbero attivare al più presto un lavoro di revisione dei canoni di concessione per l’imbottigliamento dell’acqua che porterebbe anche ad un forte incremento dei fondi incassati”. Al contrario, oggi le Amministrazioni con i canoni incassati non riescono nemmeno a raggiungere una quota sufficiente a coprire le spese necessarie per i controlli o per lo smaltimento delle bottiglie di plastica utilizzate.
Proprio per questo Legambiente e Altraeconomia sono salite in cattedra e hanno dato le pagelle al far west dei canoni di concessione. Tra le regioni bocciate perché prevedono i canoni solo in base alla superficie della concessione e non sui metri cubi di acqua imbottigliata, ci sono Liguria, Molise, Emilia Romagna, Sardegna, Puglia e la Provincia autonoma di Bolzano. Tra le regioni rimandate perché prevedono canoni in funzione dei volumi di acqua, ma al di sotto di 1 euro per metro cubo imbottigliato, ci sono Piemonte, Basilicata e Campania. Promosse con riserva per aver previsto il doppio canone sulla superficie della concessione e sui volumi di acqua, superiore o uguale a 1 euro a metro cubo sono il Veneto, la Val d’Aosta, le Marche, la Provincia autonoma di Trento, la Lombardia, l’Umbria, il Friuli Venezia Giulia, la Toscana. Infine tra regioni promosse perché hanno previsto i canoni nazionale per le concessioni sulle acque minerali sono solo 2: Lazio e Abruzzo.
Quanto basta per corrispondere ai danni ambientali di questa industri estrattiva e distributiva? Non sembra se dal 2003 si parla dell’acqua minerale come di uno tra gli otto mali che affliggono l’acqua in Italia. “Se venissero fissate tariffe adeguate, assisteremmo a un riallineamento dei prezzi al consumo, che sarebbero più corrispondenti ai reali costi della minerale - ha dichiarato Pietro Raitano, direttore del mensile Altreconomia - vedremmo anche meno pubblicità e il bisogno indotto di acqua in bottiglia si ridimensionerebbe, portando il nostro Paese nella media europea, con il vantaggio di vedere in giro meno camion carichi di bottiglie e meno plastica tra i rifiuti”. Infine aumenterebbero le possibilità di recuperare fondi da destinare a nuove finalità ambientali a fronte di un business che prevede l’utilizzo di oltre 350mila tonnellate di PET (solo un terzo viene riciclato), per un consumo di circa 700mila tonnellate di petrolio e l’emissione di quasi 1 milione di tonnellate di CO2.
Che si tratti di una battaglia tra acque o semplicemente per il buon senso, l’impegno delle Regioni e dello Stato contro ogni privatizzazione sarà fondamentale. “L’acqua e la sua gestione sono questioni centrali nel nostro Paese - ha concluso Ciafani - lo hanno confermato 1 milione e 400mila cittadini che si sono impegnati in prima persona per chiedere a Governo e Parlamento di modificare la legge che impone la privatizzazione del servizio idrico tramite un referendum” e che in queste ore lo stanno ricordando a gran voce dal cuore di Roma.
Alessandro Graziadei

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