Potrebbe sembrare un tardivo pesce d'aprile ma, purtroppo, è una notizia vera. “Il governo del Ruanda - ha denunciato Survival International - ha approvato un programma di miglioramento delle condizioni abitative della popolazione, che con la distruzione di tutti i tetti di paglia del paese ha lasciato migliaia di Pigmei Batwa senza casa”. L’intervento governativo, che nelle intenzioni doveva trasferire i batwa all’interno di nuove e più sicure strutture abitative, si è, infatti, realizzato solo parzialmente, tanto che negli ultimi mesi, “le famiglie batwa che si sono viste distruggere le loro case sono già state centinaia, e ora si ritrovano costrette a vivere all'aperto anche durante l’imminente stagione delle piogge”.
Secondo il governatore della Provincia meridionale del Ruanda, le demolizioni sarebbero state necessarie perchè “la gente sembrava contenta di vivere nelle capanne e non mostrava nessuna intenzione di abbandonarle”. In questa sola provincia si parla di 30.000 capanne di paglia distrutte solo negli ultimi tre mesi.
In tutto il paese però le operazioni di re-insediamento abitativo, a differenza di quelle si sgombero e demolizione procedono a rilento e tra i gruppi più colpiti ci sono i Pigmei Batwa, “il popolo più emarginato della società ruandese - ha puntualizzato Francesca Casella, direttrice di Survival Italia. - sottoposto quotidianamente a discriminazioni e a forme molto radicate di razzismo”.
“Distruggere le case dei Batwa per lasciarli ad inzupparsi d’acqua sotto la pioggia suona come uno scherzo paradossale" ha commentato Stephen Corry, direttore generale di Survival International. "Ma purtroppo non lo è. Quel che il governo sta facendo per il presunto bene di questo popolo è deplorevole e arrogante. Non si migliorano le condizioni di vita delle persone demolendo le loro case contro la loro volontà e lasciandole sole, all'addiaccio e senza più nulla”.
Ma nonostante le proteste di Survival International, le autorità ruandesi hanno pianificato di distruggere tutti i tetti di paglia del paese entro il mese di maggio di quest'anno. “Questo distruttivo schema prevede che le famiglie che ne hanno la possibilità si procurino case nuove a proprie spese. I più poveri, inclusi quasi tutti i batwa, avrebbero dovuto ricevere delle lamiere mentre, per malati e anziani, sarebbe previsto il trasferimento in case nuove” ha spiegato la Casella.
Il condizionale è d’obbligo in questa operazione che, ha concluso Francesca Casella, non sembra favorire ne la popolazione ruandese, ne tanto meno i batwa. “L’unico intervento governativo che potrebbe realmente migliorare la loro condizione è infatti una riforma della terra che riconosca i loro diritti collettivi sulle foreste e le sue risorse.”
I Pigmei, non solo batwa, stanno subendo da decenni discriminazioni e violenze disumane in tutta l’Africa centrale e la situazione non sembra migliorare fuori dal Ruanda. “Qui nella Repubblica Centraficana - ci ha spiegato Valentina Favero, operatrice di Coopi da tre anni impegnata nella tutela dei diritti dei pigmei - gli Aka sono sottoposti ad ogni forma di discriminazione e di violenza da parte dell'etnia Bantù dominante”.
In un paese grande due volte la Francia, ma con solo 4 milioni di abitanti, i pigmei faticano a sopravvivere: cacciati dal loro ambiente naturale, la foresta, per far posto alle multinazionali del legname o ai grandi parchi naturali e perseguitati a causa di antichi pregiudizi che sembrano simili a quelli dei popoli colonizzatori. “Timidi, sensibili, non violenti, rispettosi delle donne, i pigmei oggi rischiavano l’estinzione, pur essendo tra i popoli considerati indigeni tribali, autoctoni, difesi a livello internazionale” ha denunciato la Favero tornata in Italia da poco più di un mese.
Per questo Coopi da un decennio sta tentando di tutelarne i diritti. “L'obiettivo - ha concluso Favero - è aiutare i Pigmei, oggetto di emigrazioni forzate, ad inserirsi nei nuovi contesti abitativi e sociali, conservando le loro preziose tradizioni: da pesci fuor d'acqua ad anfibi in grado di sopravvivere”. Un compito delicato che significa fornire conoscenze di sicurezza alimentare, agricoltura, educazione, diritti umani e civili, senza cancellare il patrimonio di conoscenze e di valori preziosi.
Lo stesso allarme e la stessa preoccupazione sul futuro dei pigmei in Africa è stato lanciato in questi giorni da un’altra donna, la fotoreporter Raffaella Milandri che di ritorno dal suo ultimo reportage in Camerun attraverso 14 villaggi pigmei non ha dubbi: “ridotti in schiavitù e costretti alla subordinazione dalla violenza dei più forti, i pigmei sono in pericolo”. Per questo attraverso la proiezione del video documentario realizzato in Camerun e la cui anteprima è in programma il 17 aprile alle 21.00 all'Auditorium di Ascoli Piceno, la Milandri lancerà ufficialmente una nuova campagna per la difesa dei diritti dei pigmei.
“Contatterò il CERD dell'Onu - ha concluso la Milandri - farò una raccolta di lettere e firme da inviare al Parlamento del Camerun. Riprenderò il mio ciclo di conferenze sui popoli indigeni e ovviamente mostrerò queste testimonianze. [...] Mi appello a chi mi legge fin da ora. Facciamo qualcosa. Chi è armato di buona volontà, mi contatti. I pigmei sono un popolo in agonia e in pochi anni rischiano di scomparire nell’indifferenza di tutti.
Alessandro Graziadei
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